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Rimmel è una delle cose più immense della musica italiana. L’album e l’omonima canzone che racchiudono l’arte poetica di Francesco De Gregori, videro la luce nel 1975.
Franco Baresi aveva 15 anni e, già al tempo, era soprannominato “Piscinin” prima di cedere spazio e gloria al più pomposo nomignolo di “Kaiser Franz” in onore di Franz Beckenbauer. Il paragone regge e reggerà nel corso dei decenni calcistici: Franco Baresi, genio, anticipo, tackle, purezza e scorza. Tra i più completi liberi nella storia.

Anzi no. Completo tecnicamente, incompleto e incompiuto per quello che tanto ha dato al mondo del pallone e tanto poco ha ricevuto. Pallone ingrato. Dalle pagine chiare e ricche di trionfi con il Milan, legato sempre e per sempre (altra citazione di De Gregori) ai rossoneri, alle pagine scure della Nazionale.
Dalle pagine chiare di un Mondiale, quello del ’94, che l’ha visto leader anche fuori dal campo, con il recupero record in 20 e poco più giorni dall’infortunio al menisco, alle pagine scure del triste epilogo americano. Il sogno americano frantumato dagli 11 metri.

Franco Baresi, l'ultimo difensore

Il capitano della Nazionale allenata da Arrigo Sacchi si infortunò nella sfida contro la Norvegia. Era appena la seconda partita del girone. Che si fa, si torna a casa? Nemmeno per scherzo.
Decise di operarsi immediatamente, a meno di 24 ore dall’infortunio. Voleva rientrare a tutti i costi sperando in un successo dietro l’altro dei suoi compagni di squadra. A 34 anni si è saggi e stolti abbastanza per fare di tutto pur di acciuffare l’ultimo treno della vita: un Mondiale con la fascia di capitano.
Dopo sette giorni dall’operazione lasciò la clinica, senza stampelle e raggiunge il ritiro degli azzurri. «Un miracolo», dissero gli altri strabuzzando gli occhi.

Franco non crede ai miracoli, ma li sa fare (ancora De Gregori): in difesa è il leader, elegante, ordinato, deciso e sportivo. Dopo l’operazione non aveva bisogno di allenarsi, che gli serviva? Conosceva Sacchi, Maldini, Costacurta e Tassotti. Blocco Milan sinergico e amici di tante sfide.
Rimesso in piedi e in ottime condizioni fisiche e muscolari, non così scontato se si gioca a luglio, il 17, in un clima umido che sbalzava i gradi oltre i 40°.

Franco Baresi, un nome e un numero: 6 per sempre

La finale contro il Brasile è una delle sue migliori partite si sempre. Con il numero sei sulle spalle, annienta gli attaccanti verdeoro da Romario a Bebeto. Solo i crampi lo buttano a terra, ma al 120’ dopo i supplementari e prima dei calci di rigore.
Visto i continui rimandi a De Gregori, sarebbe lineare dire che non è da questi particolare che si giudica un giocatore. Vorremmo, quasi con paterna consolazione ripeterlo ancora oggi, dopo più di 20 anni, a Franco Baresi. Sussurrargli parole dolci e di conforto dopo il tiro, travolto dalla stanchezza, calciato alto, oltre la traversa.

E’ un eroe fragile, un eroe incompiuto e forse anche per questo è eterno nei ricordi degli appassionati. Perché si è dimostrato umano. Una divinità che, a 34 anni, dopo aver recuperato in meno di un mese da un infortunio serio, dopo i rigori falliti e la coppa del Mondo alzata dal Brasile, si è lasciato andare in un genuino pianto.
La Gazzetta dello Sport gli diede 9. A un passo dalla perfezione.

Sergio Pellissier e il Chievo Verona, un rapporto simbiotico in cui parli del giocatore e pensi alla squadra. E viceversa. Un po’ come accade con Totti e la Roma, Del Piero e la Juventus, Puyol e il Barcellona, Raul e il Real Madrid, Giggs e il Manchester United, Lahm e il Bayern Monaco.

Il capitano del Chievo ha vestito la maglia clivense in modo stabile dal 2002 fino all’età di 40 anni. E’ l’ultimo baluardo della squadra dei miracoli targata Delneri all’inizio degli anni Duemila. Una particolarità: è stato l’ultimo giocatore in attività a inserirsi nella speciale classifica dei marcatori più anziani in Serie A, piazzandosi al quinto posto: l’ultimo gol per i clivensi arrivò il 27 gennaio del 2019, nel match contro la Fiorentina valido per la 21^ giornata di campionato, all’età di 39 anni e 290 giorni. Può vantare il titolo di miglior marcatore in Serie A del Chievo, con 112 reti. È inoltre il calciatore con più gol nel derby di Verona, ben quattro.

6° posto – In questa speciale classifica ha scalzato Paolo Maldini, ora al sesto posto. Ben 29 gol in campionato, di cui l’ultimo risale al 30 marzo 2008 nella gara contro l’Atalanta all’età di 39 anni e 278 giorni.

4° posto – Francesco Totti può vantare diversi record, tanto per restare in tema e citarne uno: è il marcatore più anziano nella storia della Champions League, con l’ultimo gol segnato a 38 anni e 59 giorni. È inoltre il secondo miglior marcatore di sempre della Serie A, con l’ultimo gol che arrivò il 25 settembre del 2016, nella partita contro il Torino, due giorni prima del suo quarantesimo compleanno, nella trasferta allo stadio “Olimpico Grande Torino” contro i granata. Aveva 39 anni e 364 giorni.

3° posto – Medaglia di bronzo per lo zar, Pietro Vierchowod. L’ultimo gol nel campionato italiano lo segnò a 40 anni e 47 giorni con la maglia del Piacenza, squadra con la quale chiuse la carriera, nell’ultima giornata del campionato 1998/99, il 23 maggio del 1999, nella partita pareggiata 1-1 contro la Salernitana.

2° posto – Al secondo posto il leggendario Silvio Piola: è il miglior marcatore di sempre nella storia del campionato italiano con 274 reti; è il calciatore con più gol in una singola partita nel campionato italiano, addirittura 6; ed è anche il miglior marcatore nella storia della Lazio con 149 gol. Possiede anche il terzo posto tra i migliori marcatori con la maglia della Nazionale italiana. L’ultimo gol lo segnò all’età di 40 anni e 131 giorni, il 7 febbraio del 1954 in un Novara-Milan valido per la 19^ giornata di campionato, terminato sul risultato di 1-1.

1° posto – Questa speciale classifica è vinta da Alessandro Costacurta che segnò l’ultima rete della sua carriera nel giorno del suo ritiro. Il 19 maggio 2007 timbrò su rigore il gol che gli permette di essere il calciatore più anziano ad aver mai segnato nella massima serie: 41 anni e 25 giorni.

E’ uno tra i simboli più tatuati dagli statunitensi, scrive, nel saggio critico “No logo”, l’autrice Naomi Klein. Parliamo dello Swoosh, il logo universalmente riconosciuto della Nike, una delle società d’abbigliamento che più si è legata allo sport e alle gesta degli atleti. Con un fatturato che nel 2015 ha superato  i 30 miliardi di dollari, negli anni, Nike è diventato il primo produttore mondiale di accessori e abbigliamento sportivo, soprattutto per il calcio, il basket, il tennis e diverse discipline atletiche.

Nike Inc. nasce il 25 gennaio 1967, su idea di un allenatore, Bill Bowerman, e di uno studente di Economia, Phil Knight, per importare scarpe sportive dal Giappone. Fu scelto Il nome “Nike” perché nella mitologia greca l’omonima dea simboleggiava la vittoria. A guardar bene, infatti, lo Swoosh rappresenta la  dinamicità stilizzata della dea alata Nike di Samotracia.

Dalle scarpe alle magliette, dagli orologi ai polsini, il brand è entrato prepotentemente nella nostra quotidianità, cavalcano lo slogan “Just do it” ed efficaci campagne pubblicitarie. Dallo spot girato dalla Nazionale di calcio brasiliana in aeroporto, a Michael Jordan, siamo rimasti incollati davanti allo schermo e ancora oggi ricordiamo con affetto queste pubblicità.
Qui di seguito, abbiamo raccolto gli spot che hanno aumentato la popolarità del marchio portandolo alla supremazia attuale:

1988 – La prima volta di “Just do it”

La prima volta che il mondo si accorge di queste tre semplici parole è in uno spot televisivo del 1988. Si vede Walt Stack, allora 80eene corridore, correre a petto nudo lungo il Golden Gate Bridge di San Francisco, mentre dice al pubblico che corre 17 miglia ogni mattina. “Just Do It” è stato un spartiacque per l’azienda: a metà degli anni ’80, infatti, aveva perso negli Stati Uniti il dominio sulla vendita delle scarpe sportive. Questo passo è stato decisivo per il definitivo rilancio;

1991 – Ci vuole il rock: Agassi e i Red hot

Esplode la carica degli anni ’90 e la Nike pensa di miscelare rock e sport, dimostrando di poter spaziare e accogliere le icone più trend del momento. Per la musica ecco i Red Hot Chili Peppers, mentre come atleta sportivo si sceglie il ribelle, alternativo e un po’ punk nell’anima: la folta chioma (che poi perderà) del tennista Andre Agassi;

1995 – La sfida infinita: Agassi contro Sampras

E’ ancora il tennis a proiettare la Nike in una nuova dimensione. Questa volta scende in strada, tra i comuni passanti. La forza espressiva del marchio è talmente forte da piazzare nello spot una delle rivalità sportive più acri e suggestive: Agassi contro Sampras. Lo spot “Guerrilla-tennis”, definito come uno dei migliori 25 sportivi da Espn, è un incontro improvvisato tra le vie di New York con gli spettatori sorpresi e poi entusiasti;

1996 – Il calcio va all’inferno

Com’è facilmente intuibile, il calcio (soccer) in America è partito un paio di gradini al di sotto rispetto basket, baseball o anche tennis. Nel corso degli anni è diventato sempre più popolare anche se la Nike, attenta anche al mercato europeo, ha sempre avuto un occhio di riguardo al calcio nostrano.
Nel 1996 fa centro con uno spot mitologico che vede Maldini, Ronaldo, Brolin, Rui Costa, Kluivert, Campos chiamati a salvare il calcio da orrendi e maligni diavoli. Il tocco finale è un must ancora oggi: Cantona che si alza il colletto e prima di perforare il portiere esclama: “Au revoir”.
La Nike, in seguito, realizzerà tante altre campagne sul calcio (ricordiamoci Ronaldo e il Brasile in aeroporto o tutto il capitolo sulla “gabbia” o il “joga bonito”), ma questo spot di metà anni ’90 è una tappa miliare e unica;

1996 – “I’m Tiger Woods”

Nello stesso anno, Nike decide di puntare e investire su un ragazzo, un golfista, da poco passato ai professionisti. Crede nelle potenzialità del ragazzo e gli dedica una campagna ad hoc semplice ed efficace, tanto da rimanere in testa per giorni e giorni. Bambini e ragazzini, in successione, pronunciano «I’m Tiger Woods»: è la presentazione al mondo di quello che per molti sarà considerato il più grande golfista di sempre e tra i migliori sportivi.
La carriera di Woods non ha bisogno di ulteriori parole: già nel 1997 vince il Masters a 21 anni e 3 mesi risultando il più giovane vincitore nella storia del torneo;

2001 – Dopo il rock, ora tocca all’hip hop

E’ probabile che quella generazione di ragazzini si sia appassionata all’hip hop e al basket vedendo questo spot. Una scarica di adrenalina, la voglia di prendere in mano la palla e fare acrobazie e freestyle. Sfondo nero, luci soffuse, un beat creato dal suono dei rimbalzi della palla e dalle scarpe che scivolano sul parquet e si sforna un autentico capolavoro. Divenuto icona del nuovo secolo, lo spot è stato riadattato anche in versione “calcistica”;

2003 – Ciao Michael Jordan

Michael Jordan è la leggenda del basket. Michael Jordan per quasi due decadi è stato uno dei volti più di successo della Nike che già verso la fine degli anni ’80 aveva scommesso su di lui. Basta pensare che esiste una linea, “Air Jordan”, costruita esclusivamente sull’icona dei Chicago Bulls.
Nel 2003, all’annuncio del suo reale e definitivo ritiro come giocatore dall’Nba, la Nike, in preda alla nostalgia, gira uno spot sulla falsariga di quelli passati. C’è il regista Spike Lee nelle vesti di Mars Blackmom (nome di fantasia di questo personaggio molto amico di Mj) che persuade e prova a convincere il numero 23 a ritornare a giocare.
Una serie di infinite telefonate e poi alla fine del video, si sente dall’altra parte della cornetta Jordan che saluta. Poi “tu-tu-tu”. E’ la conclusione di un pezzo inarrivabile di storia. Divertente e un po’ triste allo stesso tempo;

2005 – Con le traverse di Ronaldinho esplode internet

Nike introduce il concetto di “viralità”, fenomeno di ipercondivisione ed emulazione che si diffonde attraverso la rete. Bastano solo alcune parole: Ronaldinho, Barcellona, quattro traverse (più una quinta che si sente in chiusura dello spot). Il capolavoro è servito;

2013 – 25 anni di “Just do it”

La Nike, come visto con Spike Lee, ha ciclicamente chiesto la partecipazione di attori, registi e addetti allo spettacolo. Per celebrare i 25 anni dalla nascita dello slogan, si serve della voce di Bradley Cooper per narrare le gesta dello spot dal nome “Possibilities”.
E’ un invito a non mollare mai, a credere in quello che si fa: fatica, sudore e sconfitte forgiano gli atleti vincenti di domani. Così, si arriva a giocare assieme a Piqué (difensore del Barcellona) o a sfidare Serena Williams o LeBron James.
Inutile dirlo, la campagna è diventata subito virale, ottenendo più di quattro milioni di visualizzazioni nella prima settimana di lancio;

Ora la palla passa a voi: quali spot vi sono rimasti più impressi?

Il cognome Maldini in casa Milan equivale a leggenda. I successi di Cesare, la gloria di Paolo e ora cresce un giovane Daniel.

Sì perché i figli del grande ex capitano rossonero crescono in maniera rapidissima. Il primogenito è Christian classe ’96 e gioca come difensore nell’Alma Juventus Fano, il più piccolo è proprio Daniel: classe 2001 e gioca nelle giovanili del Milan come attaccante.

La giovanissima punta sta ben figurando nella 71esima edizione della Viareggio Cup che si sta tenendo questi giorni. Nell’ultima uscita ha addirittura realizzato una doppietta che ha permesso ai rossoneri di battere lo Spezia per 3-2.

La ciliegina sulla torta per il figlio d’arte è arrivata anche dalla maglia azzurra. Infatti il ct della selezione dell’Under 18, Daniele Franceschini, ha convocato Daniel in vista dell’amichevole con i coetanei olandesi.
Oltre seimila giorni dopo l’ultima volta di Paolo in azzurro (il nefasto ottavo mondiale 2002 contro la Corea), dunque un altro Maldini raggiunge la Nazionale varcando le soglie delle giovanili.

L’attaccante rossonero sin qui ha messo a segno 9 reti tra Primavera e torneo di Viareggio, facendosi appunto notare. Il cognome che porta sulle spalle è pesante ma è anche motivo di orgoglio per quello che la famiglia Maldini è stata per il mondo milanista.

Dotato di una buonissima tecnica, Daniel è bravo anche da calcio piazzato. Proprio la seconda rete contro gli spezzini è arrivata da calcio di punizione.

Virgil Van Dijk, attualmente, è sicuramente il difensore più forte della Premier League e tra i top 5 del mondo. C’è chi, però, ha voluto scomodare  un grande del passato per fare un paragone. Ovviamente in molti non l’hanno presa proprio bene.

Il confronto è stato fatto con l’ex capitano del Milan e della Nazionale italiana, Paolo Maldini, attraverso il profilo Twitter di un sito di scommesse online britannico.

Una domanda che ha smosso un po’ le acque. Spesso quando si creano paragoni con calciatori del passato si crea un gran bel scompiglio. In effetti così è stato anche per Van Dijk – Maldini: un confronto forse un po’ troppo esagerato e troppo pesante per il centrale olandese.

Le risposte al tweet, infatti, non si sono fatte attendere. Tantissimi commenti in cui si legge che i due non sono nemmeno da mettere in parallelo, per carriera, per trofei e per leadership.

Alla stessa età del capitano dei Reds, Paolo Maldini, che ha debuttato a 16 anni il 20 gennaio 1985, aveva vinto già tanto come quattro scudetti e tre Champions League oltre ad avere più di 400 presenze. Poco altro da aggiungere se non che Van Dijk è un centrale fortissimo che sta facendo la differenza con la maglia del Liverpool sia in Premier che in Champions. Tuttavia la strada per raggiungere ciò che ha fatto Maldini è quasi impossibile.

Tutti i numeri di Maldini con la maglia del Milan e dell’Italia

Quest dati fanno letteralmente crollare il confronto. Ironicamente sarebbe arrivata anche una risposta da parte dell’ex numero 3 rossonero

Paolo Maldini ha frantumato tanti record, come quello legato alle presenze tutte con la stessa maglia.

José Mourinho ama attirare l’attenzione su di sé. Sia quando vince sia, soprattutto, quando le sue squadre vanno male. Il suo Manchester United non è in un gran momento. Decimo in campionato, falcidiato dalle assenze (Fellaini, Lingard, Sanchez), ha perso male in casa contro la Juventus in Champions League più di quanto non abbia detto il risultato finale (0-1). Così, all’89’ del match di Old Trafford contro i bianconeri, ha deciso di fare uno dei suoi soliti show. Dopo aver involontariamente (?) disturbato Bernardeschi sulla linea laterale del campo, Mourinho è stato bersagliato dai cori di scherno dei tifosi juventini.  Mou, come è noto, non è uno troppo diplomatico o politically correct. Ha risposto a quegli insulti alzando le tre dita in segno di sfottò. Il messaggio, non troppo velato, si riferiva al Triplete centrato dall’Inter nel 2010. Scena fotocopia ripetutasi qualche giorno fa a Stamford Bridge. Il pareggio in extremis di Barkley ha reso burrascoso il finale di partita. I supporter del Chelsea non amano più molto il loro vecchio trascinatore e hanno iniziato a deriderlo. Mourinho ha nuovamente alzato le tre dita, ricordando le tre Premier vinte con i Bleus.


Allenatori che perdono la pazienza con i tifosi. Il tecnico di Setubal non è solo in questa speciale classifica.

Harry Redknapp – Oggi ha 71 anni, è un tecnico di lungo corso nel calcio inglese sulle panchine, tra le altre, di Bournemouth, Southampton, Tottenham, Portsmouth, QPR Rangers e una parentesi da ct della Giordania. Nel 1994 Redknapp allenava il West Ham e fu protagonista di una storia a metà tra realtà e leggenda. In quell’estate, durante un’amichevole tra gli Hammers e l’Oxford United, il manager ebbe un siparietto con un tifoso piuttosto critico verso il suo West Ham e in particolare con l’attaccante Lee Chapman. Sfortuna volle che quest’ultimo si infortunasse. Allora Redknapp, stufo di quanto stava sentendo dalle tribune, si rivolse alle sue spalle, individuando quel rompiscatole di supporter. Si chiamava Steve Davies. «Ehi tu, che parli tanto, sei bravo a giocare quanto a parlare? Sapresti fare meglio di Chapman?». Davies non si tirò indietro, prese la maglia numero 3 dal magazziniere, indossò gli scarpini e realizzò il sogno di ogni tifoso. Entrare in campo con la propria squadre del cuore. Ma chi è quel giocatore, si chiedevano giocatori e spettatori. «Come non lo conoscete? Non lo avete visto ai Mondiali? E’ Tittyshev, il bulgaro», esclamò divertito Redknapp. E Steve Davies detto Tittyshev fu annunciato dallo speaker ed entrò in campo. La leggenda narra che segnò addirittura un gol, poi annullato per fuorigioco. D’altra parte aveva giocato a Usa ’94, vero Harry?

Redknapp rimbrotta il tifoso critico, prima di invitarlo a scendere in campo

Cesare Maldini – Il 27 giugno 1998 la Nazionale italiana disputa gli ottavi di finale di Francia ’98 al Velodrome di Marsiglia contro la Norvegia. E’ l’Italia vicecampione del mondo a Usa ’94, con Pagliuca e Maldini, Costacurta e Albertini, Di Biagio e Dino Baggio, Del Piero e Vieri. Proprio Bobo sblocca la partita al 18’, cui segue la memorabile esultanza uno di fronte all’altro con Pinturicchio. Del Piero, reduce dall’infortunio muscolare in finale di Champions contro il Real Madrid, non è al meglio. Il ct Cesare Maldini ha Roberto Baggio in panchina, ma non lo fa entrare. I tifosi dietro la panchina iniziano a protestare, chiedono l’ingresso in campo del Divin Codino. Maldini padre lascia perdere per un attimo la partita nel secondo tempo e si mette a battibeccare con chi invocava la sostituzione con Baggio. Quasi per ripicca Del Piero esce, ma viene sostituito da Enrico Chiesa. Così imparate a discutere delle mie scelte, è il messaggio che viene recapitato da Cesare Maldini ai 60 milioni di commissari tecnici in Italia.

Carlo Mazzone – E’ probabilmente l’episodio più famoso di questa classifica. Quello che ha reso immortale il Sor Carletto da Trastevere. 30 settembre 2001, stadio “Rigamonti” di Brescia. C’è il derby, sentitissimo, tra le Rondinelle e l’Atalanta. Dopo il vantaggio di Roberto Baggio, gli orobici capovolgono la situazione con Sala, Doni e Comandini. A 15 minuti dalla fine gli ospiti sono avanti 3-1. Carlo Mazzone ha 64 anni, siede sulla panchina del Brescia dopo gli anni, tra le altre, di Ascoli e Roma. Dalla curva ospite inizia a sentire cori beceri che proprio non si aspettava. Ancora Baggio accorcia le distanze, 2-3 al 75’. Mazzone confida al suo storico vice, Leonardo Menichini: «Se famo er tre pari vado sotto a curva». E il pareggio arriva, a tempo scaduto con la tripletta del fuoriclasse con il codino. Carletto a quel punto si lancia in una corsa sfrenata verso il settore atalantino, Menichini non riesce a fermarlo. Quando torna a centrocampo esclama all’arbitro Pierluigi Collina: «Buttame fuori, me lo merito».

La corsa di Carlo Mazzone verso il settore dell’Atalanta

Roberto Mancini – I precedenti che riguardano l’attuale tecnico della Nazionale sono diversi, complice il suo carattere fumantino. Il primo episodio è datato 9 gennaio 2005. A San Siro l’Inter del Mancio ospita la Sampdoria di Novellino. Gli ospiti fanno un gran match e vanno avanti 2-0 con Tonetto e Kutuzov. Il Meazza mormora, bersaglio delle critiche è l’allenatore, staccato in classifica da Juve e Milan e affetto dalla pareggite, con 12 pari nelle prime 16 partite. Ma dall’86’ i nerazzurri mettono a segno una clamorosa rimonta in pochi minuti. Martins, Vieri e il gol nel recupero di Recoba firmano un’impresa memorabile. Al gol dell’uruguaiano, Mancini si gira verso la tribuna facendo esplodere tutta la sua rabbia verso chi l’aveva contestato anzitempo. Nel 2016, in occasione del derby contro il Milan perso per 3-0, Mancini viene espulso e quando esce dal campo mostra il dito medio ai tifosi rossoneri. La sua serata da incubo continua con la lite in diretta tv negli studi Premium con Mikaela Calcagno. Infine, lo scorso marzo, sulla panchina dello Zenit San Pietroburgo, il Roberto furioso se la prende su instagram su un tifoso che l’aveva insultato dopo il pareggio con il Rostov, invitandolo andare a quel Paese. Mancini gli replicava riferendosi, poco garbatamente, alla sorella del sostenitore russo.

Il dito medio di Mancini ai tifosi del Milan dopo un derby

Maurizio Sarri – Infine l’ex tecnico del Napoli, oggi al Chelsea, è stato al centro delle polemiche prima del match scudetto Juve Napoli dello scorso aprile. L’arrivo del pullman partenopeo all’Allianz Stadium è accolto, come purtroppo capita spesso, da insulti ripetuti alla squadra e alla città campana. Sarri non ci sta e mostra il dito medio ai tifosi che erano ai lati del bus. Dopo la partita, vinta per 1-0 con gol di Koulibaly al 90’, l’allenatore toscano rincara la dose:

Sarei anche sceso dal pullman perchè se uno mi sputa e mi insulta perchè napoletano, parola usata come un insulto, meritava che scendessi dal pullman

Il dito medio di Maurizio Sarri ai tifosi della Juventus

Dal giorno del suo esordio in Serie A, nel calcio degli adulti, sono passati quasi 22 anni. Era il 19 novembre 1995 e il ragazzino di soli 17 anni fece il suo debutto contro il Milan, salvando più volte il risultato che si stampò sullo 0-0. Era il Parma di Nevio Scala e quel ragazzo dal futuro promettente e roseo era Gianluigi Buffon.
Sono passati quasi 22 anni, dicevamo. Esprimendo quest’arco di tempo tra parate, record, vittorie e trofei vinti, Buffon ha inanellato 999 partite da professionista (si escludono i match giocati con le rappresentative under della Nazionale). Quella contro l’Albania, nel match valido per la qualificazione agli Europei, è il gettone numero 1000. Lo fa con la maglia della Nazionale, per la quale, ha difeso i pali per ben 168 volte; poi ci sono le 220 partite con la maglia del Parma e, infine, 612 con quella della Juventus.

Un traguardo destinato ad aggiornarsi di settimana in settimana, fino a quando, il portierone 39enne deciderà di appendere i guantoni al chiodo. Un onore riservato a pochi eletti. Eterni calciatori che fanno della fedeltà e della professionalità atletica e fisica, il fondamento dei loro successi.
Il portiere della Juventus, infatti, è il secondo giocatore italiano a riuscire nell’impresa dopo Paolo Maldini, che poi si è fermato a quota 1028, mentre a livello internazionale, chi ha giocato più di tutti è l’inglese Peter Shilton, con 1377 incontri ufficiali. Una cifra pazzesca. Anche lui portiere, uno che si è beccato due gol secolari di Maradona: uno con la mano e uno scartando mezza squadra inglese, semplicemente perché è Dio con le scarpe da calcio.

Buffon è tanta qualità condita dai numeri e dai record: detiene, infatti, il record di imbattibilità nella Serie A, avendo mantenuto la sua porta inviolata per 974 minuti nella stagione 2015-2016 (si parte dal gol di Antonio Cassano al 64′ di Sampdoria-Juventus terminata 1-2 del 10 gennaio 2016 e si arriva al rigore di Andrea Belotti al 48′ di Torino-Juventus, finita 1-4 del 20 marzo 2016). Ma non solo: sempre nel 2016, a Montecarlo, è stato premiato con il Golden Foot (riconoscimento con il calco del piede – in questo caso della mano – simile alla Walk of fame di Los Angeles) diventando il primo portiere nella storia a ricevere il premio.

In occasione dello speciale traguardo delle 1000 presenze, i giornalisti di Sky Sports inglese hanno omaggiato Buffon schierando l’undici tipo con tutti i migliori giocatori con cui ha giocato Gigi nella sua lunga carriera. Ovviamente Buffon difende i pali. Classico 4-4-2, in difesa si punta sui centrali del Parma, Thuram e Cannavaro (con quest’ultimo ha vissuto la gioia del Mondiale del 2006). Come terzini, da un lato Zambrotta, altro compagno di Berlino e spalla nella Juventus e dall’altro lato, ovviamente, Maldini.
A centrocampo, schierato a rombo, c’è un predominio a tinte bianconere: Pirlo, Nedved e Del Piero, mentre il quarto è Totti, assieme a lui, una delle ultime bandiere del calcio moderno. L’attacco è particolarmente ricercato: se da un lato era possibile aspettarci Ibrahimovic (alla Juventus di Capello dal 2004 al 2006), la seconda punta è addirittura Stoichkov, campione bulgaro che ha militato nel Parma nella stagione 1995-1996.

In attesa di capire se la Juventus riuscirà finalmente a vincere la Champions League (unico reale motivo che spinge Buffon a non ritirarsi ancora), possiamo solo credere che nel giro di qualche mese Buffon scardini anche quest’altro record innalzandosi a giocatore italiano con più presenze in assoluto.