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Le camionette della polizia e della guardia di finanza negli stadi, le immagini riprese in diretta dalla trasmissione “90° minuto”, gli arresti. Non per colpa di tafferugli sugli spalti da parte dei tifosi, ma a finire in manette furono calciatori professionisti e di dirigenti di squadra di Serie A e Serie B. Il 23 marzo 1980 il pallone tricolore finì in galera, il primo scandalo calcioscommesse, il Totonero, match truccati attraverso scommesse clandestine.

Questo è lo sfondo torbido di quei primi giorni di primavera. Tra le società indagate nell’inchiesta oltre ad Avellino, Bologna, Juventus, Lazio, Milan, Napoli, Pescara, c’era anche il Perugia di Paolo Rossi, alla fine squalificato per due anni, costretto a saltare gli Europei del 1980 in casa. Passato inevitabilmente in secondo piano, quel 23 marzo 1980 il Perugia segnò anche un momento storico per il calcio italiano: fu la prima società in Serie A a debuttare ufficialmente con un sponsor sulla propria maglia.

Già negli anni Settanta i club avevano provato qualche escamotage per raggirare le rigide regole della Figc che imponeva sulle casacche dei giocatori solo lo sponsor tecnico. Con il passare degli anni, il mondo del calcio italiano si fece sempre più insofferente verso i divieti federali, tanto che oltre agli addetti ai lavori anche i mass media, con il Guerin Sportivo capofila, si fecero portavoce di una campagna a favore dell’arrivo della pubblicità sopra le maglie da calcio. L’Udinese, in Serie B, nella stagione 1978-1979 provò a fare breccia sfruttando cavilli burocratici apponendo il nome della ditta Gelati Sanson sui pantaloncini della squadra. Con annessa multa di 10 milioni di euro.

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Il tabù però era destinato a cadere e passò solo un anno: il 26 agosto 1979 con l’esordio in Coppa Italia della prima maglia di calcio italiana griffata da uno sponsor, quella del Perugia.  Artefice di ciò fu il presidente dei grifoni, Franco D’Attoma, il quale per reperire i 700 milioni necessari al prestito in Umbria dell’attaccante Paolo Rossi, si accordò col gruppo alimentare IBP Buitoni-Perugina da cui ne ottenne 400; in cambio, il nome del loro pastificio Ponte sarebbe comparso sulle divise e sui capi d’allenamento della squadra. La Figc ancora non contemplava la presenza di un logo diverso da quello del fornitore sui capi tecnici dei calciatori, così come la stessa Lega aveva respinto in estate l’ingresso della pubblicità sopra le mute da calcio italiane. Dato che l’unica forma di sponsorizzazione all’epoca permessa era quella relativa l’abbigliamento tecnico, in quarantott’ore D’Attoma aggirò le regole federali fondando un maglificio col nome del pastificio, la Ponte Sportswear, che di diritto figurava come semplice fornitore tecnico delle casacche — potendo quindi comparire formalmente, col suo marchio, anche su di esse —, ma che di fatto fu il primo vero sponsor di maglia del calcio italiano.

Inizialmente la Federazione non tollerò questo escamotage e multò la società umbra per 20 milioni, imponendo inoltre l’esclusione dalle divise perugine del logo Ponte prima dell’inizio del campionato; tuttavia D’Attoma, a sua volta squalificato, non si perse d’animo e proseguì nei suoi intenti commerciali, apponendo il nome dello sponsor sopra tute e altri indumenti di gioco dei biancorossi nonché, in maniera pionieristica, perfino sulle reti e sull’erba dello stadio Renato Curi. Pochi mesi dopo, al termine d’una discreta trafila burocratica, la Lega Nazionale Professionisti autorizzò infine il Perugia a scendere in campo col marchio pubblicitario sulle proprie maglie; il “secondo” debutto dello sponsor — stavolta coi crismi dell’ufficialità — avvenne in Serie A il 23 marzo 1980, nella trasferta all’Olimpico contro la Roma persa per 4-0.

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Un ultimo passaggio su Paolo Rossi: tornò a giocare il 29 aprile 1982, disputando solo le ultime tre partite di campionato con la Juventus; nonostante lo scarso numero di gare giocate il ct Enzo Bearzot lo inserì nella lista dei convocati per il Mondiale del 1982.

Un salto nel…verde. La Puma, azienda di abbigliamento sportivo e sponsor tecnico della Nazionale italiana di calcio, ha presentato la nuova terza maglia Italia. Puma, per la scelta delle trame e del nuovo brand, si è ispirata a una grafica che richiama il Rinascimento, una celebrazione del passato, del presente e del futuro della cultura italiana. Il kit fa parte di una più ampia collezione caratterizzata dalla grafica rinascimentale creata in esclusiva per la Figc con l’obiettivo di dare un’ondata di novità sia in campo che fuori.

 

Ma a colpire è ovviamente il colore verde della maglia. Potremmo facilmente pensare a una novità assoluta, ma anche qui c’è un legame con il passato: la Nazionale maggiore dell’Italia, infatti, è scesa in campo solo in un unico precedente vestendo di verde, durante la partita amichevole giocata il 5 dicembre 1954 allo stadio Olimpico di Roma e vinta 2-0 contro l’Argentina.  Segnarono Frignani e Galli e quel match fu ricordato anche per il debutto di Juan Alberto Schiaffino.

In realtà, in quel periodo, la Federazione decise di puntare sul verde per vestire la Nazionale juniores: verde come la speranza, per augurare un florido futuro a quei ragazzi che rappresentavano l’avvenire del calcio italiano. La maglia verde venne utilizzata dalla Nazionale juniores fino al 1960: fino ad allora, infatti, l’azzurro era rimasto per anni un’esclusiva della Nazionale maggiore, un obiettivo da raggiungere per i giovani.

La nuova maglia dell’Italia, farà il suo esordio il 12 ottobre in occasione di Italia – Grecia nello stesso stadio Olimpico dove 65 anni fa fu protagonista la precedente maglia verde e, come si legge sul sito della Figc «il kit segna una nuova era per la Nazionale nel momento in cui un gruppo di giovani calciatori sta conquistando un ruolo importante nella rosa Azzurra (12 calciatori tra quelli in raduno da oggi a Coverciano hanno 25 anni o meno)».

Fonte: Gazzetta dello Sport

Undici leoni, un’esortazione per chi andrà in campo e un tributo per un tecnico che è come se scendesse in battaglia coi suoi giocatori. Lo store ufficiale del Bologna in Galleria Cavour ha ideato la maglia “11 Mihajlovic”, una trovata assolutamente simbolica di carica e vicinanza per il momento che stanno vivendo il tecnico serbo e il club rossoblù.

Più che una “maglia-dedica” per l’allenatore serbo sembra essere un incitamento per i calciatori e i tifosi a stringersi intorno al proprio tecnico e a remare tutti dalla stessa parte. Anche il numero, l‘unidici, è tutt’altro che casuale e si lega in un certo senso all’hashtag scelto dalla società per questa stagione: #WeAreOne, siamo una cosa sola. La richiesta che arriva è quindi di vedere “undici Mihajlovic”: i supporter del Bologna sognano di vedere sempre in campo lo spirito del loro tecnico e che, in parte, hanno già visto a Pisa per l’esordio stagionale in Coppa Italia.

L’allenatore serbo sta portando avanti la sua battaglia contro la leucemia, monitorando la squadra da lontano giorno dopo giorno e come ha sottolineato il suo vice De Leo è “più combattivo che mai”. Il suo esempio può essere importante per i giocatori che, a loro volta, vogliono provare a dargli la forza per superare questo brutto momento.

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La maglia è stata ideata dallo store ufficiale ed è, ovviamente, solo un simbolo visto che nella numerazione ufficiale l’11, in realtà, appartiene a Ladislav Krejci, che certamente sarà ben lieto di vedere il suo numero accostato a quello dell’allenatore ma avrà qualche responsabilità in più rispetto al solito. Sinisa Mihajlovic ha indossato la maglia numero 11 per quasi tutta la carriera, ininterrottamente dal 1996 fino al ritiro, e per questo motivo il nuovo inatteso regalo è ancora più apprezzabile. Un filo diretto che va dal periodo del campo ad oggi.

 

Diceva Enzo Ferrari che “Le auto da corsa non sono né belle né brutte. Diventano belle quando vincono”. Probabilmente è quello che si augurano anche i tifosi quando le loro squadre del loro cuore rivoluzionano il proprio stile in nome del marketing e del business. Provate a far vedere a un supporter della Juventus l’anteprima delle nuove maglie che il club bianconero indosserà nella prossima stagione. Almeno i colori sono salvi, e neanche del tutto visto che c’è l’ingresso dell’unica striscia presente (rosa) in omaggio alla Juve che fu agli inizi del ‘900. Il resto è rivoluzione. Via le strisce, ecco un quadrato bianconero diviso a metà.

Anno nuovo, maglia nuova

Il web si è subito scatenato. Oltraggio alla storia, tradizione violentata, paragoni immediati coi fantini dell’ippica (tema tanto caro ad Allegri). Scenario copia incolla di quanto accaduto già nel 2017 con un nuovo restyling dalle parti dello Stadium con il cambiamento del logo. Eppure, da allora, le due J stilizzate sono diventate marchio identificativo ed efficace del brand Juventus. E così come il mercato impone, la maglia è la prima immagine di un club, prim’ancora di sciarpe, campioni, figurine. E se le regole degli affari prescrivono rapidi cambiamenti, il calcio moderno (che di quel mercato è il prodotto) non può esimersi dall’adeguarsi ai nuovi modelli di vendita.

I precedenti

D’altronde i tempi delle maglie senza numero e sponsor sono preistorici. La Juventus non è la prima squadra a innovarsi senza perdere del tutto la propria storia. Il Barcellona è, nel calcio, forse il caso più eclatante. La maglia blaugrana negli anni è diventata un quadrato, poi a fasce orizzontali e infine, il prossimo anno, sarà a scacchi. E tornando in Italia anche l’Inter si conferma sensibile al tema con la divisa a strisce nerazzurre in diagonale nella stagione 2019-2020. I calciofili dovrebbero ritenersi fortunati. Oltreoceano, in Nba, le franchigie dei club cambiano maglia e persino nome quasi ogni anno.

Quindici anni di carriera in una sola istantanea. Anzi, in una sola maglia realizzata cucendo lembi di tutte le casacche oranje che Wesley Sneijder ha indossato in vita sua. E’ lo speciale ringraziamento con cui l’ex calciatore dell’Inter ha voluto dire addio alla sua lunga esperienza con la nazionale olandese, chiusa ufficialmente giovedì 6 settembre 2018 con la vittoria in amichevole per 2-1 dell’Olanda sul Perù.

 

Seduto su un divano al centro del campo alla Johan Cruijjff Arena di Amsterdam guardando il “best of” delle sue giocate, assieme a sua moglie e ai suoi figli. E tutt’attorno i tifosi intonavano per l’ultima volta il suo nome, mentre Wesley non ha saputo trattenere le lacrime.

Dal suo esordio in nazionale maggiore, a 18 anni e 10 mesi, voluto da Dick Advocaat e mandato in campo il 30 aprile 2003, passando per una sola presenza nell’Under 21, il mese prima, l’avventura arancione del 34enne di Utrecht è stata entusiasmante e inarrivabile: l’eroe del triplete nerazzurro è il recordman di presenze con l’Olanda (134 gettoni) dopo aver superato Van der Sar nel giugno 2017, nessuno meglio di lui anche al Mondiale sia per presenze (17 come Van Persie) sia per numero di gol in una singola edizione (5 in Sudafrica). Ma c’è dell’altro: Wes ha segnato 31 reti, due in più di una leggenda come Cruijff.

Indelebile il ricordo soprattutto della cavalcata del Mondiale del 2010, concluso solo in finale al cospetto della Spagna e di Iniesta. Così sulla maglia piena di “toppe”, oltre al numero 10, campeggia sulla manica sinistra la patch della manifestazione sudafricana e sotto al logo della nazionale olandese, il tributo al match contro il Brasile del 2 luglio 2010 deciso proprio dalla doppietta del fantasista (il secondo gol, inusuale, di testa).

Esploso nell’Ajax, fucina di talenti, Sneijder è stato al Real Madrid prima di passare all’Inter di Mourinho che l’ha consacrato come tra i migliori nel panorama mondiale. Successivamente ha giocato nel Galatasaray, nel Nizza e dal gennaio 2018 è nell’Al Gharafa, formazione del Qatar.

 

 

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This T-shirt is made of all the shirts I played in for the Dutch national team in the last 15 years!! ⚽️? #GreatPresent

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Avvocato, l’importante è che non fumi Bonini, è lui quello che deve correre

Michel Platini è negli spogliatoi del vecchio Comunale di Torino, durante l’intervallo di una partita della Juve. Di fronte ha uno stupito Gianni Agnelli che lo vede fumare tra un tempo e l’altro. Accanto c’è il biondo di San Marino, il portaborracce di una squadra che negli anni ’80 vinse tutto anche grazie ai chilometri macinati da Massimo Bonini.

Prima di Manuel Poggiali e Alex De Angelis nelle moto, la Repubblica di San Marino ha avuto il suo alfiere nel centrocampista bianconero, premiato come miglior giocatore della storia di questo staterello di 33mila anime che si fa spazio nell’Italia centro settentrionale tra Emilia Romagna e Marche.

Il «nostro fantastico terzo straniero» dopo Platini e Boniek, come lo ribattezzava il presidente Giampiero Boniperti, è un predestinato già dalle giovanili disputate con la formazione della Juvenes nella sua Serravalle. Nel 1977, a 18 anni, arriva la chiamata dal Bellaria in serie C, primo capitolo di un mini tour in zona emiliano romagnola con Forlì e Cesena. La promozione in serie A gli vale la chiamata da Giovanni Trapattoni nel 1981 come erede di Beppe Furino nel centrocampo della Juventus.

La diga in mezzo al campo, il ruba palloni da smistare in avanti, il mediano di copertura per le scorribande offensive di Platini e Boniek, Rossi e lo stesso Tardelli che, grazie a Bonini, ha più vocazione offensiva nel suo ruolo.

Mi piaceva fare il mediano perché non ero al centro dell’attenzione, bensì del gioco. Dovevo correre tanto e bene e a me veniva tutto semplice. Si trattava di saper vedere il gioco, far correre la palla, occupare gli spazi per recuperare palloni e rilanciare gli attaccanti. Ma, soprattutto, c’era da mettere a posto la squadra, richiamare i propri compagni quando si perdeva un po’ il filo

(Intervista a Francesco Caremani su Storie di Calcio)

Bonini capitano del San Marino nel match contro l’Inghilterra che costò la mancata qualificazione inglese ai Mondiali ’94

Con la Juventus del Trap vince tutto: tre scudetti, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa europea, una Coppa dei Campioni (nella maledetta finale dell’Heysel) e una Coppa Intercontinentale.

Nel suo palmares c’è anche San Marino. Milita prima per nove volte nella nazionale italiana under 21 di Azeglio Vicini poi sceglie di indossare i colori della sua terra di nascita con 19 presenze. Una di questa passerà alla storia dei Mondiali, anzi delle qualificazioni alla Coppa del Mondo: è la sera del 17 novembre 1993, è la sera del match tra San Marino e Inghilterra, quella della sconfitta per 7-1, ma quel singolo gol segnato a tempo di record da Gualtieri costò la mancata qualificazione inglese ai Mondiali americani del 1994. E Bonini quella sera indossava la fascia da capitano.
Appesi gli scarpini al chiodo, Massimo Bonini sarà anche allenatore di San Marino tra il 1996 e il 1997 mentre oggi è il direttore tecnico della Federcalcio sammarinese.

Se hai la fortuna di nascere a San Marino è giusto che giochi nella tua Nazionale. Io sono nato qui e qui ho sempre vissuto alla grande. Avevo anche i nonni italiani, e avrei potuto, ma sarebbe stato assurdo. Ho già avuto la fortuna di giocare in una Juve stellare, con gente come Platini, e vincere tanto. Va bene così

(Corriere di Bologna, 30 maggio 2013)

La nuova maglia della nazionale di San Marino griffata Macron e acquistabile nello store online

 

Una terra coperta di ghiaccio, l’immensa ricchezza di acqua, l’anima di fuoco data dalla grandiosa presenza di vulcani e geyser. Tutto questo si ritrova e armonizza nella nuova divisa che Erreà Sport ha ideato per Ksi –La Federazione di Calcio islandese alla sua prima storica partecipazione ad un Campionato Mondiale.

Dopo la splendida avventura che li ha visti protagonisti agli Europei di Francia 2016, una nuova uniforme, originale ma fortemente legata all’identità di questa nazione, li accompagnerà ai Mondiali di Russia 2018.

Proprio ghiaccio, lava e acqua si fondono perfettamente nella nuova maglia Erreà realizzata per rappresentare al meglio la particolarità e la bellezza dell’Islanda e della sua Nazionale. Il fuoco che accende e scalda il cuore di questa terra e di questo popolo è l’elemento da cui partire per svelare la nuova divisa.
A causa del suo effetto, il ghiaccio, rappresentato simbolicamente dal bianco del colletto a V e da quello delle spalle, si scioglie gradatamente mescolandosi a lava lungo le maniche caratterizzate da una grafica a macchie quasi puntinata in cui si fondono il rosso e l’azzurro.
Proprio l’azzurro, acqua che si è sciolta grazie al calore, è il colore distintivo del corpo e dello sfondo della prima divisa che si presenta semplice e dalle linee pulite ma molto curata in ogni suo più minuto dettaglio.

Sul nostro store online potete acquistare la maglia ufficiale Erreà

La vestibilità aderente viene enfatizzata dalla combinazione di due tessuti. Il primo, collocato nella parte centrale, morbido, traspirante ed estremamente confortevole è impreziosito ed abbinato ad un secondo filato, una speciale rete posta lungo i fianchi della maglia. In modo emblematico, la rete cucita ai bordi, lascia trasparire il tessuto sottostante che, nel caso della divisa home, è rosso, come a sottolineare che sotto l’azzurro della casacca e della pelle scorre ed è sempre presente la potenza del fuoco e il battito della passione.

A enfatizzare la forte identità nazionale, la fierezza e il forte senso di comunità che contraddistinguono il popolo islandese, due sono gli elementi iconici riportati sulla nuova divisa: il motto già proposto per gli Europei 2016 “FYRIR ISLAND” (“Per l’Islanda”) posizionato all’interno del collo e la bandiera nazionale applicata sul retro della maglia.

 Ad accompagnare la nuova divisa e l’intera campagna di comunicazione, il claim “Legends are born without warningabbinatoalla potente ed epica immagine dei geysers, tra i fenomeni in assoluto più sorprendenti e spettacolari della superfice terreste. Rari e presenti solo in particolarissime zone del mondo tra cui l’Islanda, terra per eccellenza di queste incredibili sorgenti, i geysers rappresentano al meglio la forza e l’energia di questa Nazionale che ha saputo unire,nella sua peculiare identità,organizzazione, gioco dinamico e grande spirito energico.

Una squadra che non può più ormai considerarsi solo uno “splendido outsider” ma che in brevissimo tempo ha saputo conquistarsi l’attenzione, il favore e i riflettori della scena mondiale. Tutto questo con la potenza impressionante e la forza esplosiva di un geyser.

Le nuove divise di Ksi,come tutti i capi Erreà,sono certificate Oeko-Tex Standard 100. Tale prestigiosa certificazione, ottenuta dall’azienda nel 2007 come prima azienda in Europa nel settore del teamwear, garantisce che tutti i tessuti e i prodotti Erreà non sono tossici ne nocivi per la salute in conformità con le principali normative a livello internazionale e in rispetto dei più elevati e riconosciuti standard qualitativi e di sicurezza.

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