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Kakà

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Cristiano Ronaldo – Messi – Messi – Messi – Messi – Cristiano Ronaldo – Cristiano Ronaldo – Messi – Cristiano Ronaldo – Cristiano Ronaldo. Sembra un testo futurista, ma così in maniera estesa, crea un ulteriore impatto. Un decennio governato da un’unica oligarchia: dieci edizioni del Pallone d’oro spartite tra il giocatore ex Real Madrid (anche se ha iniziato a collezionare trofei quando era ancora al Manchester United) e quello del Barcellona.

C’è un dopo, l’interruzione dell’egemonia e ha il nome e le fantasia di Luka Modric, vincitore dell’edizione 2018 del Pallone d’oro. Ma c’è stato un prima. Un’era precedente che ai nostri occhi sembra millenaria. E l’ultimo re di un impero calcistico un po’ più “umano” è stato Kakà. Nel 2007, la stella del Milan dall’eterno viso fanciullesco, dopo esser stato il trascinatore nella cavalcata che ha portato la Champions League contro il Liverpool, la Supercoppa Europea contro il Siviglia e il Mondiale per Club contro il Boca Juniors, trionfa anche nei riconoscimenti individuali, conquistando il Pallone d’oro dopo Fabio Cannavaro. Un voler rimarcare quanto di leggendario fatto quell’anno: il migliore al mondo è il brasiliano numero 22.

Ma in quel trofeo luccicante c’è il germe della “rivolta” perpetrata dal fantasmagorico duo: Kakà per innalzare il premio di France Football ha scalzato proprio Ronaldo, arrivato secondo, e Lionel Messi, giunto terzo. Da quel momento solo nel 2010 non vedremo sul podio entrambi i fuoriclasse: in quell’anno, infatti, fu all-in blaugrana con gli ambasciatori Xavi e Iniesta ad aprire le porte della gloria all’argentino.

San Siro è stata la navicella spaziale di Kaká, uno che veniva da un altro pianeta, è all’Old Trafford, nell’andata della semifinale di Champions del 2007, che mise in mostra, in mondovisione, tutto quello che aveva fatto vedere dal suo arrivo in Italia nell’estate del 2003: in particolare, una straordinaria capacità nel ribaltare l’azione, tagliando il campo a velocità supersonica e sempre con la palla al piede (destro o sinistro che fosse), sempre a testa alta e sempre con estrema purezza del gesto.

Di lui si dirà sempre che è stato un giocatore elegante, nonostante le galoppate e gli strappi di direzione. E se all’Old Trafford – il tempio del calcio – innalzò davanti a CR7 il manifesto della sua arte, fu con la maglia del Brasile che Kakà ammutolì sul campo Messi.
Bisogna riavvolgere le lancette di un anno, è il 3 settembre 2006 e mentre in Italia si contano i danni di calciopoli nonostante una Coppa del Mondo appena sollevata, in giro per il globo è già tempo di amichevoli nazionali per impostare i nuovi cicli. E a Londra si gioca un’amichevole che di “fraterno” non ha nulla: Brasile contro Argentina. La nuova Seleçao di Dunga rifila tre reti all’Albiceleste: doppietta di Elano, 3-0 di uno straripante Kakà, con Robinho “man of the match”.

Anche in estate, anche a settembre dopo un Mondiale, il ragazzo del Milan veste il suo smoking bianco. Entrato al 59’ al posto di Daniel Carvalho, a un minuto dal 90’, fa quello che gli riesce meglio: prende palla dalla difesa approfittando di un errato controllo di un giocatore argentino, alza lo sguardo e punta la porta nonostante tre/quarti di campo ancora da fare. Parte, si lascia alle spalle lo stesso giocatore, supera il cerchio di centrocampo, procede incalzante, poi tocco a cambiare direzione in uscita che manda a terra il difensore Milito e tocco che sa di sentenza mentre Abbondanzieri prova a intercettare il tiro in uscita bassa.

 

E’ il gesto di una carriera, ripetuto all’impazzata seminando avversari lungo la pista verde, ma questo è speciale perché è partito proprio rubando palla a Messi e superandolo in velocità in una corsa generazionale. Messi ha ancora 19 anni, va detto, ma ha le stimmate del campione. In quell’istante però, in quei quattro secondi di partita, l’ordine delle cose ha ristabilito il suo flusso: nell’ultima fase dei mortali, Kakà è di un altro pianeta.

Il ritorno di Gigi Buffon alla Juventus apre interrogativi sull’apporto tecnico che l’ex Psg potrà dare alla squadra di Sarri. Il portiere ha già assicurato che non prenderà la maglia numero 1 di Szczęsny (avrà la 77) e lascerà la fascia di capitano a Chiellini. Probabile un suo impiego a singhiozzo in A per fargli superare il record di presenze di Maldini, fermo a quota 647 (Gigi è a 640). E poi c’è la Champions League, una benedetta ossessione sia per Buffon che per la Juventus.

Il richiamo della casa madre al figliol prodigo è una storia che non occupa solo le pagine evangeliche. Ecco 5 ritorni nel calcio che, spesso, non sono andati come previsto.

Kakà

Tra il 2003 e il 2009 ha incantato il mondo con le sue giocate in rossonero che gli sono valse, tra le altre, due Champions e un Pallone d’Oro. Poi dieci anni fa il passaggio al Real Madrid, dove però non riesce a ripetere le gesta milaniste. Nel 2013 torna al Diavolo con la stessa maglia, la 22, ma con esiti diversi. Una stagione, qualche gioia (9 reti), diversi guai fisici e un anno dopo la risoluzione del contratto.

Il ritorno di Kakà al Milan nel 2013

Henry

L’ex allenatore del Monaco è stato una bandiera dell’Arsenal tra il 1999 e il 2007, vincendo due Premier e 3 Fa Cup. Poi il passaggio al Barcellona dove riesce a vincere la Champions nel 2009.A gennaio 2012 il ritorno ai Gunners ma solo per un rodaggio in vista della stagione americana con i Red Bulls di New York. La seconda esperienza inglese si chiude con sole 7 presenze in cui riesce comunque a segnare 3 gol.

Il secondo Henry all’Arsenal nel 2012

Torres

Da poco ritiratosi dal calcio giocato, El Niño è cresciuto nelle giovanili dell’Atletico Madrid prima di diventarne una bandiera per 7 anni, tra il 2000 e il 2007. Dopo le esperienze a Liverpool, Chelsea e la fugace apparizione al Milan, Torres torna al Calderon nel 2015. Si fermerà tre stagioni, diventando il quinto miglior goleador della storia colchoneros, ma dando sempre l’impressione di essere la copia sbiadita del primo Torres.

Torres con l’Atletico nel 2015

Schevchenko

C’è stato un momento negli anni Duemila in cui al Milan, come la Juve oggi, andavano di moda i ritorni. Dopo Kakà anche Schevchenko sente la nostalgia di casa e torna in rossonero nel 2008, dopo essere stato un monumento del club tra il 1999 e il 2006 (secondo marcatore di tutti i tempi). Il secondo Sheva, però, ha perso lo smalto dei bei tempi. Zero gol in campionato, due totali in 26 presenze. Dopo un anno l’ucraino fa le valigie, rientra al Chelsea primo di un altro ritorno alla Dinamo Kiev.

Quando tornò al Milan nel 2008 Sheva non era più lui

Tevez

Quella tra l’apache e il Boca Juniors è una lunga storia d’amore. L’esplosione del suo talento alla Bombonera, poi le esperienze al Corinthians e in Europa anche alla Juventus dopo Manchester. Infine nel 2015 il secondo rientro al Boca, la nuova fuga in Cina allo Shanghai prima del terzo rientro nel 2018, con la storica finale (persa) nella Libertadores contro il River.

L’eterno ritorno di Tevez al Boca Juniors

Prima di Neymar al Paris Saint Germain, prima delle megalomani operazioni di mercato in terra inglese con gli acquisti in difesa tra Manchester City e Liverpool. Prima della bolla creata da sceicchi e fondi asiatici, c’era l’Italia che come il Klondike era una miniera d’oro per numero di talenti e operazioni di calciomercato. Ma quali sono state le operazioni più costose che hanno visto coinvolta la Serie A sia in entrata che uscita? Ecco la top10

 

#10 Christian Vieri

Nella Liga, con la maglia dell’Atletico Madrid, segna 24 gol in 24 partite. Primo posto nella classifica marcatori e quindi la conquista del Trofeo Pichichi, unico italiano a vincerlo. La Lazio di Cragnotti, dunque, decide di riportarlo in Italia nell’estate 1998 dopo una sola stagione in Spagna. Ma Vieri, nella capitale rimane poco: è sensazionale il suo passaggio all’Inter l’anno successivo con Moratti che vuole regalare a Lippi l’ariete per puntare allo scudetto. L’operazione per portare a Milano il 25enne ex-Juve è, fino a quel momento, la più costosa di sempre: quasi 90 miliardi di lire offerti alla Lazio (nel prezzo è compreso il cartellino di Simeone, valutato 21 miliardi) ovvero 48 milioni di euro.

#9 Gaizka Mendieta

Sono gli anni dello strapotere della Lazio e di Cragnotti prima del crack fallimentare. I laziali non solo dominano in Serie A e si fanno valere anche in Europa sul rettangolo di gioco, ma fanno la voce grossa anche nel calciomercato. L’oggetto dei desideri è lo spagnolo Mendieta, capitano e leader del Valencia con il quale, dopo aver vinto la Coppa del Re e la Supercoppa spagnola nel 1999, disputa due finali consecutive di Champions League, perdendole entrambe contro Real Madrid e Bayern Monaco. Eletto miglior giocatore della competizione nella stagione 2000-2001, la Lazio, nella stessa estate dopo aver ceduto Nedved alla Juventus, decide di piazzare il colpo versando nelle casse valenciane 89 miliardi di lire (48 milioni di euro) diventando così il secondo acquisto più costoso nella storia del club biancoceleste dopo Hernan Crespo.

#8 Gianluigi Buffon

Quelle di inizio millennio sono estati calde, caldissime per il mercato dei calciatori, soprattutto in Italia che di talenti ne ha ancora e mantiene un prezioso fascino a livello europeo e internazionale. Così sempre nell’estate 2001, mentre Mendieta valigie in mano passa dalla Spagna all’Italia, percorso inverso – destinazione Madrid – lo fa Zinedine Zidane che lascia la Juventus per accasarsi al Real. Con i soldi incassati, la Juventus decide di investire massicciamente nel mercato facendo razzia del meglio che c’è in giro. Sfumato lo scudetto anche (ma non solo) per alcune incertezze del portiere Van Der Sar, Moggi bussa alla porta del Parma e chiede Buffon, 23 anni e un futuro certo da campione. Così, dopo aver perfezionato l’acquisto di Lilian Thuram dal Parma, sempre dagli emiliani, la Juventus acquista Buffon per 75 miliardi di lire più la cessione a titolo definitivo di Jonathan Bachini, valutato 30 miliardi (in totale 52,88 milioni di euro). Il portierone è quell’anno l’acquisto più oneroso nella storia della società bianconera, record mantenuto fino al 2016.

#7 Hernan Crespo

L’avevamo già chiamato in causa con l’operazione Mendieta. Sì, perché Gaizka è il secondo acquisto più costoso nella storia della Lazio: al primo posto c’è l’attaccante argentino Hernan Crespo. Crespo nel 2000 ha 25 anni, gioca nel Parma e con i ducali vince Coppa Italia, coppa Uefa e Supercoppa Italiana. La Lazio con il tricolore sul pezzo investe ben 110 miliardi di lire (56,81 milioni di euro) per aggiudicarsi el Valdanito. Il suo trasferimento risultò essere il più costoso nella storia del calcio mondiale, seppur per pochi giorni: nello stesso mese, infatti, il portoghese Luis Figo viene acquistato dal Real Madrid per 143 miliardi di lire.

#6 Edison Cavani

Edinson Cavani si è affermato come uno dei giocatori più prolifici d’Europa. È passato dal Napoli al PSG nel 2013 ed è adesso parte di quello che è probabilmente il miglior attacco d’Europa. Il suo trasferimento da 64 milioni e mezzo di euro adesso sembra un affare se si pensa al mercato gonfiato ed Edison, attualmente, è il miglior marcatore nella storia del club transalpino. Scommesse calcio oggi vedono il PSG tra i favoriti per la conquista della Champions League in quanto possono disporre anche della star brasiliana Neymar per rinforzare il loro attacco. Dai uno sguardo all’infografica per vedere i maggiori ingaggi della Serie A.

#5 Kakà

Mezzo milione in più rispetto all’affare Cavani – PSG, in quinta posizione c’è la cessione di Kakà nel 2009 al solito Real Madrid che, ciclicamente, mette piede nel supermercato Italia. Kakà, figliol prodigo del Milan, già promesso a gennaio al Manchester City decide di rimanere in rossonero, ma la cessione è solo rimandata e approda così nell’universo Galacticos assieme a Cristiano Ronaldo. La faraonica campagna acquisti del Real Madrid di Florentino Perez continuò con l’ingaggio del francese Karim Benzema dal Lione per 35 milioni, degli spagnoli Raul Albiol dal Valencia, Alvaro Arbeloa e Xabi Alonso dal Liverpool e Esteban Granero dal Getafe.

#4 Zlatan Ibrahimovic

Zlatan nella sua ossessiva ricerca di vincere la Champions League, dopo aver dominato in Italia prima con la Juventus e poi con l’Inter accetta il passaggio al Barcellona, nella stessa estate del doppio colpo merengues Kakà – Cristiano Ronaldo. La società spagnola paga 46 milioni di euro all’Inter più la cessione del camerunese Eto’o, valutato 20 milioni. Inizialmente è previsto anche il prestito per un anno del bielorusso Hleb, con diritto di acquisto da parte dei nerazzurri per 10 milioni, ma è saltato, e quindi il Barcellona versa altri 3 milioni circa per concludere l’affare per una valutazione totale di 69.5 milioni di euro.

#3 Zinedine Zidane

L’avevamo già accennato. Eccoci al gradino più basso del podio. Sua maestà Zinedine Zidane che nel 2001 si trasferisce dalla Juventus al club Real Madrid che, per averlo tra le sue file sborsa 150 miliardi di lire (77,5 milioni di euro), realizzando il più costoso trasferimento di un giocatore nella storia del calcio fino a quel momento. Con i bianconeri, il talento francese gioca complessivamente 212 partite e segna 31 gol, di cui 24 in Serie A.

#2 Gonzalo Higuain

Tra acquisti e cessioni, sul podio c’è sempre la Juventus. Gonzalo Higuain, a modo suo, ha segnato la storia della Serie A: arrivato in Italia nel 2013, comprato dal Napoli per sostituire proprio Cavani, el Pipita nella stagione 2105-2016 fa il botto. Entra nella top ten dei migliori marcatori della storia del Napoli, toccando quota 70 reti complessive;  va a segno per sei giornate consecutive, eguagliando la striscia positiva di Maradona nella stagione 1987-88; supera  Cavani per gol segnati in una stagione, fino ad allora il miglior cannoniere stagionale nella storia degli azzurri e il 14 maggio, nel 4-0 dell’ultima giornata contro il Frosinone, realizza la tripletta che gli consente di chiudere il campionato con 36 reti in 35 partite, vincendo la classifica marcatori e superando il record assoluto di reti in un singolo campionato italiano, fino ad allora detenuto da Nordahl nella stagione 1949-50, ed eguagliando inoltre quello di Rossetti che resisteva dal 1928-29, quando il campionato si disputava a più gironi. Con questo bigliettino da visita niente male, la Juventus decide di fare follie e sborsa ben 90 milioni di euro per averlo. Il suo trasferimento è il più costoso nella storia della Serie A.

#1 Paul Pogba

Ma se la Juventus ha potuto sborsare questa cifra è perché nella stessa sessione di mercato, nell’estate 2016, il Manchester United bussa alla porta dei bianconeri per riportarsi a casa il gioiellino Pogba lasciato partire troppo in fretta. La cifra è da capogiro: per riacquistare a titolo definitivo il suo ex calciatore, il club inglese sborsa una somma complessiva di 105 milioni di euro. In Italia si rompe il muro dei 100 milioni di euro per un’operazione di mercato. Si tratta in quel momento del trasferimento più oneroso nella storia del calcio, superato l’estate successiva dai 222 milioni sborsati dal PSG per Neymar.

Il calciomercato spesso lascia increduli di fronte alle decisioni dei calciatori, che raramente rifiutano offerte imperdibili, cambiando maglia a seconda dei loro interessi.

Ma sarà davvero così? La storia calcistica ci insegna che un calciatore ha anche degli ideali legati alla propria squadra e spesso rifiuta il cosiddetto salto di qualità verso una squadra considerata “big”.

Proprio di recente è un giocatore del Bologna che si è reso protagonista di un rifiuto che ha fatto subito notizia: si tratta di Simone Verdi, che ha gentilmente declinato l’offerta del Napoli per rimanere ancorato alla sua maglia.

Non c’è da stupirsi se non ha colto quella che per molti era considerata la sua grande occasione. Molti prima di lui hanno fatto lo stesso e il passato conserva ancora tutti i nomi di chi ha detto no.

Il primo e sconvolgente rifiuto storico è stato quello di Gigi Riva, grande giocatore del Cagliari, che non ha ceduto alle lusinghe della Juventus che voleva a tutti i costi conquistare il suo talento. Siamo negli anni ’70 e, nello stesso periodo, un altro calciatore diventato celebre per le sue prestazioni in campo fu oggetto di un’allettante proposta del Napoli, seccamente rifiutata. Stavolta il protagonista è Paolo Rossi, che oggi commenta con queste parole la scelta di Verdi:

Credo abbia avuto timore di non sapere quante gare avrebbe potuto giocare, perché sul fatto che il Napoli sia competitivo non ci sono dubbi. Questione di titolarità o anche di crescita graduale? Se da una parte credo sia un obbligo del giocatore cercare di migliorare, ecco, penso altresì che Verdi abbia ritenuto il momento non opportuno, che la sua fase di crescita definitiva potrà raggiungere l’apice con altri cinque mesi di titolarità in un Bologna in cui gioca sicuro

Poi è stata la volta di Francesco Totti, emblema della fedeltà assoluta alla propria maglia giallorossa. Nonostante le offerte eccezionali da parte del Real Madrid, il calciatore non ha mai voluto abbandonare la Roma.

Ma la lista è ancora lunga e comprende anche nomi come Kakà, che rinunciò al Manchester City per rimanere fedele al Milan, e Totò Di Natale, che non cedette alla corte insistente della Juventus, nonostante l’Udinese fosse pronto a lasciarlo andare.

Più recenti in ordine di tempo arrivano i rifiuti di altri grandi nomi nel calcio internazionale: Marek Hamsik è un altro di quelli che hanno detto no. Il calciatore rifiuta l’occasione offerta dal Milan per rimanere a giocare con il Napoli.

Ma non è l’ultimo a chiudere questa carrellata di rifiuti storici: Milinkovic-Savic, Domenico Berardi e Nikola Kalinic sono altri illustri nomi che hanno fatto saltare trattative già in atto, spinti da motivazioni più forti degli interessi economici che ruotano attorno al calciomercato.

Che Verdi sia un’eccezione non è quindi affatto vero, ma che si approvi o meno la sua decisione, bisogna prendere atto del coraggio che ha avuto a dire di no. Chi prima di lui ha seguito lo stesso percorso oggi non può che appoggiarlo e sostenerlo.

Qualche mese fa aveva confermato la decisione di lasciare l’Orlando City non chiudendo però la porta a un’altra esperienza calcistica. Poche ore fa, però, la decisione di appendere gli scarpini al chiodo e ora ci chiediamo: quale sarà il futuro di Kakà?

La nostalgia del campo la sentirà eccome, per uno che ha calcato palcoscenici importantissimi come la Champions League e il Mondiale. Il profumo dell’erba e l’adrenalina del campo gli mancheranno ed è per questo che un’idea per il Kakà post calciatore sarebbe quella di vederlo nelle vesti di mister.

Magari, dopo l’ultima parentesi all’Orlando City, la strada sarebbe quella di seguire le orme di Zinedine Zidane, fuoriclasse e campione in campo e da qualche anno anche in panchina. In effetti Zizou è un prototipo da seguire dato anche il carisma e soprattutto per i successi ottenuti in poco tempo alla guida del Real Madrid.

Kakà sa benissimo che non sarà semplice seguire le orme del francese.

Il suo passaggio da giocatore ad allenatore è da prendere come modello: prima ha appreso il meglio dai suoi ex allenatori, poi si è riposato, ha lavorato con i giovani e quando si è reso conto di essere pronto, è stato amato dal suo club e ha raggiunto successi incredibili.

Ovviamente se ciò dovesse accadere, i primi a sperarci saranno i tifosi del Milan che hanno sempre amato il 22 brasiliano. Vederlo sulla panchina rossonera, ancor più di come è successo per Rino Gattuso, i supporters rossoneri andrebbero in visibilio. Qualche settimana fa non aveva declinato nulla a un suo possibile futuro come mister del Milan, dato che è stata la sua casa per molti anni e dove ha lasciato il cuore.

Di una cosa è certo Kakà non lascerà il mondo del calcio. Se non dovesse decollare l’ipotesi panchina, potrebbe coprire il ruolo di dirigente sportivo o manager.

Non gli spaventa affatto l’idea di dover rimettersi in gioco, anzi:

Mi sono preparato molto per diventare un calciatore professionista e voglio farlo per questo nuovo ruolo. Il fatto di esser stato un gran giocatore non significa che sarò un buon dirigente. Voglio prepararmi per questo da ora in poi, studiare e stare vicino ad alcuni club, specialmente quelli in cui ho giocato.

La stagione in Major League Soccer entra nel vivo. Sta per concludersi la Regular Season e vogliamo fare il resoconto degli Italians che giocano nel campionato di soccer Americano, in vista della fase finale.

Come ben sappiamo il la stagione del calcio statunitense si divide in Western ed Eastern Conference. I nostri cinque italiani, che giocano in America (tutti in Eastern Conference), hanno saputo mettersi in mostra anche quest’anno.

Tra tutti, però, ha bisogno di un capitolo a parte, Sebastian Giovinco. La Formica Atomica ha ancora una volta fatto uno stagione sopra tutti e ha guidato il Toronto Fc alla fase finale della stagione, chiudendo al primo posto la classifica della Eastern Conference.

Il numero dieci della squadra canadese ha chiuso con 16 reti la classifica marcatori e sei assist, contribuendo appieno al risultato finale in classifica generale.

Le belle prestazioni in campo hanno dimostrato che l’attaccante classe ’87 è ancora in ottime condizioni e potrebbe essere utile anche all’Italia in vista dei playoff oltre che in un Mondiale futuro nel 2018. Lo stesso Sebastian ha ribadito di pensare all’azzurro, ma che forse il ct Ventura “snobba” il campionato a stelle e strisce.

Tantissime le belle reti realizzate da Giovinco, non ultima l’imparabile punizione contro l’Atlanta United. Ma oltre ai gol, The Atomic Ant (come lo chiamano in Usa) è oramai parte di un gruppo solido che sogna di arrivare in fondo alla stagione e provare a vincere il titolo MLS, sfuggitogli di mano lo scorso anno ai rigori davanti ai propri tifosi.

Un altro focus importante ha bisogno un veterano del calcio italiano e azzurro: Andrea Pirlo. Il campione del mondo 2006 ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo al termine del 2017. Con il New York City Fc è riuscito a piazzarsi al secondo posto in classifica, volando così ai playoff della fase finale. Il talento bresciano proverà a guidare i suoi compagni a una storica vittoria che per lui sarebbe una vera e propria ciliegina sulla torta dopo una quantità innumerevole di trofei vinti lungo tutta la sua carriera. Il Maestro (come lo chiamano a New York), dopo il calcio, dedicherà il suo tempo alla famiglia e al relax, tuttavia nelle prossime settimane cercherà di dare il massimo per la squadra.

Un’annata un po’ storta l’hanno vissuta i due italiani del Montreal Impact: Marco Donadel e Matteo Mancosu che non sono riusciti a strappare il pass per i playoff e che quindi escono di scena per questa stagione. Il centrocampista ex Fiorentina ha avuto problemi fisici che lo hanno tenuto lontano dai campi per parecchio tempo, nell’ultima parte della stagione si è rivisto con più costanza e bellissima è stata la rete realizzata contro il Toronto in un caldissimo derby.

Mancosu ha realizzato sei reti in questa stagione in 26 presenze. Un’annata poco prolifica per l’attaccante sardo che tanto bene ha fatto lo scorso anno.

Infine, per chiudere con gli Italians oltreoceano c’è il napoletano Antonio Nocerino che gioca nell’Orlando City.

A dir la verità la poco entusiasmante stagione dei Lions dal punto di vista calcistico ha dato spazio maggiore alla notizia dell’addio di un grande campione come Kakà. Il calciatore brasiliano ha deciso di lasciare il club americano, ma non ha ancora scelto se ritirarsi o provare un’altra esperienza altrove. Tornando a Nocerino, l’ex Milan ha giocato quasi tutte le gare di campionato ma forse è mancato quel guizzo in più alla sua squadra per provare a fare il salto di qualità.

Dario Sette

Genio in campo con la palla tra i piedi, rispettoso negli spogliatoi ma poco espressivo nel manifestare le proprie emozioni se non in casi eccezionali. Questo è Andrea Pirlo.
Durante la sua lunghissima carriera sorrisi ce ne sono stati con i trionfi di Milan e Juventus e con la maglia della Nazionale al Mondiale 2006 in Germania.

Sul rettangolo verde Pirlo ha sempre dimostrato di essere una spanna sopra gli altri e, anche quando lo hanno dato per finito, lui ha risposto come meglio non poteva: disegnando calcio e deliziando tutti gli appassionati di questo sport.

(“Dabbare”: una delle cose che Pirlo ha imparato a New York)

Da due stagioni, il centrocampista bresciano si è trasferito nel campionato di Major League Soccer nel New York City. Appena giunto in terra americana il pubblico, e non solo, lo ha subito osannato. In effetti anche i suoi compagni di squadra, Frank Lampard e David Villa, lo hanno voluto salutare con un corale “Welcome Maestro Pirlo!”. Sì perché tra i vari appellativi accostati al campione del mondo c’è proprio “maestro”: colui che con semplicità e raffinatezza crea calcio e chi lo segue ne scopre l’essenza.

E al New York City stiamo scoprendo dei lati ancora nascosti del talento con il numero 21. Tipo conoscere il suo programma televisivo preferito da bambino o il suo ultimo costume di Halloween e altre domande messe assieme in questo video:

Nella Grande Mela “il metronomo” (lo chiamano anche così) ha riscoperto i piaceri della vita oltre che dello sport. Riesce a vivere con più tranquillità tanto che arriva a fare cose che in Italia gli parevano impossibili come godersi una partita a golf, visitare i musei o addirittura fare la spesa.
Nell’immenso tran tran della metropoli statunitense, le persone che lo riconoscono per strada lo fermano per un selfie o per un autografo come una star Nba o del Football, dato che il calcio sicuramente non è il primo sport più seguito negli Stati Uniti.
Pirlo è molto seguito anche sui social. Con oltre 4 milioni di follower su Instagram, infatti, è uno dei calciatori più amati e cliccati d’America: relax, musica e golf sono le attività più postate dal regista bresciano.

Beautiful day in Arizona with friends ??⛳️⛳️

Un post condiviso da Andrea Pirlo Official (@andreapirlo21) in data:

Dal suo approdo nell’estate del 2015 si è piano piano ambientato in un paese e in un calcio differente da quello europeo e soprattutto italiano. Pirlo è rimasto a giostrare nella zona di campo in cui ha sempre padroneggiato e anche l’allenatore dei New York, Patrick Vieira (ex calciatore di Juve e Inter nonché campione del mondo con la Francia), gli ha dato le chiavi del centrocampo.


Pirlo si ritiene sempre lo stesso, ovviamente con qualche anno in più. Vive di calcio e vive di vittorie ed è per questo che nella stagione attuale vuole puntare alla conquista del campionato. L’obiettivo è quello di vincere la East Conference (nel 2016 sono giunti secondi), per poi spingersi avanti nei playoff (ai quarti nel 2016). Quest’anno si è aggiunto al gruppo un’altra conoscenza della Serie A, l’argentino Maxi Moralez, El Frasquito, ex numero 10 dell’Atalanta.
Proprio contro il sudamericano, Andrea Pirlo l’ha sfidato al gioco Pie in the face. L’italiano si è dimostrato più forte anche se poi si è lasciato andare all’assaggio della crema.

Gli manca l’atmosfera della Champions League ma cerca di non pensarci e di proseguire al meglio il campionato Mls. Tuttora non ha ancora deciso cosa fare nel prossimo futuro nonostante le tante voci parlino di un suo ritorno a Torino come ambasciatore nel mondo del club bianconero oppure a Londra come assistente tecnico del mister Antonio Conte nel Chelsea.
Per ora si gode la stagione nella Grande Mela e, tra una partita e l’altra, riesce anche ad essere protagonista di video divertenti: non ultimo quello girato con i gli Harlem Globetrotters che a suon di giocate provano vanamente ad impressionare il Maestro.

Oh, attenzione: Andrea Pirlo, anche sui campi di calcio americani, rimane ambasciatore di qualità. Specialista delle punizioni, guarda caso il primo gol in Mls è arrivato la scorsa stagione proprio da calcio piazzato, insieme a 11 assist vincenti per i compagni. Il Maestro parla una lingua universale.

 

Dario Sette

Sconfitto il Paraguay 4-2, l’analisi del nostro inviato in Colombia

Mister Hyde e Dottor Jeckyll. L’Italfutsal di Menichelli inizia il Mondiale con una vittoria che spalanca sì le porte alle qualificazione agli ottavi come prima del raggruppamento, battendo, però, 4-2 il Paraguay al termine di un match dai due volti.

Partenza falsa, e poi…

Al Coliseo El Pueblo di Cali, la Nazionale azzurra parte malissimo, regalando il vantaggio ai Guaranies, con un male posizionamento della difesa, su palla inattiva. Lima replica immediatamente alla marcatura iniziale di Salas. Ma ancora il Cholo sfrutta al meglio un contropiede tre contro tre per firmare il 2-1 con il quale si va al riposo.

italfutsal-colombia2016

Nella ripresa scende in campo un’altra squadra. Grinta, carattere e fluidità della manovra.

Così la rimonta degli Azzurri (foto: divisionecalcioa5.it) è servita: Romano duetta con Fortino e realizza il 2-2, Kakà firma il sorpasso ancora su schema da palla inattiva, capitalizzando al massimo l’espulsione per doppia ammonizione di Gary Ayala. Merlim chiude i conti: finisce 4-2. Italfutsal in vetta insieme al Vietnam che sconfigge 4-2 il Guatemala nell’altra sfida del girone C di Colombia 2016.

BRASILE E AUSTRALIA A BRACCETTO

A Bucaramanga, vincono anche Brasile e Australia. I campioni in carica verdeoro domano una coriacea Ucraina. Che non va al tappeto dopo il terribile uno-due griffato da Rodrigo e il leggendario Falcao. Gli ex sovietici riaprono l’incontro con Grystina, prima che un autogol di Sorokin sentenzi il definitivo 3-1.

L’ex Lazio Giovenali, invece, spinge i Canguri: prezioso 3-2 ai “deb” del Mozambico.