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Nell’inverno del 1891, il dottor Luther Halsey Gulick, responsabile del corso di educazione fisica all’International YMCA Training School, un college privato cristiano di Springfield, in Massachusetts, Stati Uniti d’America, era alla ricerca di un’attività che potesse distrarre e divertire i suoi studenti durante le lezioni di ginnastica che, a causa del freddo, si tenevano al coperto durante le giornate rigide.

Gulick si rivolse a James Naismith, un professore di educazione fisica canadese di 30 anni appassionato di football, atletica leggera, lacrosse e curioso di scoprire e apprendere nuove discipline. A lui fu chiesto di pensare a qualcosa da disputare indoor, facile e intuitiva da apprendere, con pochi contatti e soprattutto non dispendioso economicamente per non gravare sulle casse del college.

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In Ontario, la provincia più popolosa del Canada e da dove veniva Naismith,  i bambini giocavano a “Duck-on-a-rock” che consisteva nel posizione una pietra piuttosto grande su un’altra pietra o un ceppo d’albero e a turno i partecipanti lanciavano sassi contro l’oggetto, nel tentativo di farlo cadere dalla piattaforma. Di questo gioco, Naismith era attratto soprattutto dal tiro a parabola che si doveva dare al sasso; pensò inoltre ad alcuni giochi antichi, come l’azteco Tlachtli e il maya Pok-Ta-Pok e analizzò poi gli sport di squadra più in voga all’epoca come i già citati football americano, lacrosse, ma anche calcio e rugby.

Dopo circa due settimane di lavoro, Naismith scrisse cinque principi fondamentali in cui si prevedeva l’utilizzo di un pallone rotondo da toccare solo con le mani, era vietato muoversi tenendo il pallone saldo nelle mani, libertà di posizionamento dei giocatori e l’utilizzo di un “goal” da piazzare orizzontalmente in alto.

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Insomma, Naismith aveva di fatto gettato le basi di un nuovo sport: il 21 dicembre 1891 tradusse questi principi in tredici regole che divennero la base di ciò che il giornale studentesco universitario Triangle definì: «A new game». Lo stesso giornale pubblicò le regole il 15 gennaio 1892: nacque così ufficialmente il nuovo gioco, il basketball.

  1. La palla può essere lanciata in qualsiasi direzione con una o entrambe le mani.
  2. La palla può essere colpita in qualsiasi direzione con una o entrambe le mani, ma mai con un pugno.
  3. Un giocatore non può correre con il pallone, deve lanciarlo dal punto in cui lo ha preso.
  4. La palla deve essere tenuta in una mano o tra le mani; le braccia o il corpo non possono essere usate per tenerla.
  5. Non è possibile colpire con le spalle, trattenere, spingere, colpire o scalciare in qualsiasi modo un avversario; la prima infrazione da parte di qualsiasi giocatore di questa regola è contata come un fallo, la seconda squalifica il giocatore fino alla realizzazione del punto seguente o, se è stata commessa con il chiaro intento di infortunare l’avversario, per l’intera partita; non sono ammesse sostituzioni.
  6. Un fallo consiste nel colpire la palla con il pugno, nella violazione delle regole tre e quattro e nel caso descritto dalla regola 5.
  7. Se una squadra commette tre falli consecutivi, conterà come un punto per gli avversari; consecutivi significa senza che gli avversari ne commettano uno tra di essi.
  8. Un punto viene realizzato quando la palla è tirata o colpita dal campo nel canestro e rimane dentro, a meno che i difensori non tocchino o disturbino la palla; se la palla resta sul bordo e l’avversario muove il canestro, conta come un punto.
  9. Quando la palla va fuori dalle linee del campo, deve essere rimessa in gioco dalla persona che per prima l’ha toccata; nei casi dubbi, l’umpiredeve tirarla dentro il campo; chi rimette in campo la palla ha cinque secondi: se la tiene più a lungo, la palla viene consegnata agli avversari; se una squadra continua a perdere tempo, l’arbitro darà loro un fallo
  10. L’umpireè il giudice dei giocatori e prende nota dei falli, comunicando all’arbitro quando ne sono commessi tre consecutivi; ha il potere di squalificare un giocatore secondo la regola 5.
  11. L’arbitro è il giudice della palla e decide quando la palla è in gioco, all’interno del campo o fuori, a chi appartiene e tiene il tempo; decide quando un punto è segnato e tiene il conto dei punti con tutte le altre responsabilità solitamente appartenenti ad un arbitro.
  12. La durata della gara è di due tempi da quindici minuti, con cinque minuti di riposo tra di essi.
  13. La squadra che segna il maggior numero di punti nel tempo utile è dichiarata la vincitrice dell’incontro. Nel caso di pareggio, il gioco può continuare, se i capitani sono d’accordo, fin quando non viene segnato un altro punto.

All’iniziò vennero utilizzati dei cesti da frutta, posizionati a circa tre metri di altezza per impedire che fossero difesi fisicamente dai giocatori. Lo scopo del gioco era far entrare la palla nel cesto, e per farlo l’unico metodo era fare dei tiri a palombella, dolci e precisi. L’altezza dipese anche da motivi più concreti: erano appesi a una balconata, che era posizionata a quella distanza dal pavimento. All’inizio, i cesti non erano bucati, e ogni volta che qualcuno faceva un canestro bisognava tirare fuori la palla con un bastone di legno. 

Naismith organizzò la prima partita ufficiale l’11 marzo 1892 – secondo alcuni si giocò il 2 marzo: fu un incontro disputato tra una squadra di docenti ed una di studenti e vinsero i primi con il risultato di 5-1. Nel 1959 divenne uno dei primi membri del Basketball Hall of Fame, in qualità di contributore e lo stesso Hall of Fame fu ufficialmente denominato Naismith Memorial Basketball Hall of Fame in sua memoria.

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E’ ipnotica, invitante e soprattutto divertente. L’effetto ottico, poi, in uno stadio gremito, leva il respiro per il suo andamento ritmico e sinuoso che coinvolge chi ti sta accanto. Una  marea umana che si incunea nelle tribune, passa per le curve e rientra prima di svanire. Diffusa, oggigiorno, nelle manifestazioni sportive internazionali (dalle amichevoli di calcio alle Olimpiadi, passando per i Mondiali), la “Ola” è  una coreografia entrata a far parte di una tradizione ormai acquisita del culto sportivo. Però, c’è da chiedersi: chi l’ha inventata?

In molti, nel corso degli anni, si sono scervellati alla ricerca di una fonte attendibile dell’atto primordiale della genesi. Mitologie, racconti, testimonianze, ovviamente si mescolano rendendo il tutto estremamente torbido. Eppure, qualche anno fa, il quotidiano inglese The Guardian aveva chiesto ai suoi lettori di approfondire la materia, proponendo alcune date e accogliendo nuovi riferimenti.
Alcune risposte sono state esilaranti: un lettore ha sostenuto di esser stato il primo a farla, da solo, nel suo soggiorno nel 1954, mentre un altro ha giurato di averlo visto fare nel 1945, da quattro persone in una partita di softball giovanile in Canada. Poi c’è stato lo storico che ha detto: «Sono stati i nativi americani nelle grandi pianure durante la caccia che, in fila, alzavano le braccia ondulandole per disorientare il bisonte e portarlo in una certa direzione, in una trappola o su una scogliera». Dicono di averla vista anche in una corrida in Spagna nel 1930.

Com’è intuibile i casi di “avvistamento” sono più numerosi di quelli sugli Ufo. E il nome, di certo, non aiuta: “Ola”, infatti, è la versione spagnola di “onda”; nei paesi anglofoni è chiamata “Mexican wave” perché è diventata popolarissima, diramata in tutto il globo, grazie alle riprese televisive del Mondiale del 1986 in Messico vinti dall’Argentina di Maradona.
Ma l’onda ha un origine ancor più anteriore. Di cinque anni. La Ola, infatti, è nata come “The Wave” a Oakland, in California, negli Stati Uniti, il 15 ottobre 1981. Durante il match di baseball tra Oakland A’s e New York Yankees, circa 48.000 spettatori ondeggiarono simultaneamente, capitanati da Krazy George Henderson, un cheerleader professionista che può, dunque, considerarsi il genitore della coreografia.

Krazy George, padre della “Ola”

Ovviamente, come tutte le cose belle, anche l’Ola è nata fortuitamente: Henderson, infatti, afferma che  è nata per un ritardo di sincronia durante una partita di hockey al Northlands Coliseum di Edmonton, in Canada. La sua idea originale era quella di far alzare e far applaudire gli spettatore di un lato dell’arena con successiva risposta di quelli seduti sul lato sopporto.
Ma quella sera una sezione adiacente, sempre sullo stesso lato, ritardava di qualche secondo a saltare in piedi, così, incantati dal movimento, anche gli altri hanno iniziato a rispondere in ritardo. La partita di baseball del 1981, giocata all’Oakland Alameda Coliseum, fu l’occasione perfetta, visto la grande affluenza di pubblico, per sperimentare ufficialmente l’Ola. Ci furono alcune false partenze, tre o quattro, ma alla fine la folla capì l’idea di Krazy Henderson.

Tra le varie curiosità esiste un sito internet, StoptheWave.net, che organizza campagne contro questa coreografia perché, secondo alcuni fan, distrae il pubblico che perde l’adrenalina per l’incontro o anche perché spesso è fatto al momento sbagliato.
In occasione delle Olimpiadi di Pechino del 2009, la Ola divenne oggetto di studio: circa 300 persone furono incaricate di studiare nei dettagli la tecnica per replicarlo durante la manifestazione e trasformare, così, lo sport in una grande festa.