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Sembra ieri il suo scatto a Les Deux Alpes, sembra ieri la maglia gialla al Tour de France e ancor prima quella rosa al Giro d’Italia.

Sembra ieri la bandana in testa, quando i caschi non erano ancora obbligatori, sembra ieri il suo sguardo concentrato, la stanchezza che si sentiva ma si doveva domare.

Marco Pantani, ovunque sia passato con la sua bicicletta, ha lasciato il segno. Un ciclista che, con la sua professionalità, schiettezza e correttezza, ha saputo conquistare proprio tutti, appassionati e no del ciclismo.

L’estate del 1998 è stata la sua estate, ma anche la nostra estate. Una doppietta storica nei due dei più grandi giri del mondo: Giro d’Italia e Tour de France. Bis che era riuscito a fare soltanto un altro grande eroe dello sport italiano: Fausto Coppi nel 1949 e nel 1952. Una vittoria italiana alla Grande Boucle 33 anni dopo Felice Gimondi (1965).

In quella stagione milioni di italiani sono stati incollati alla tv per guardare le gesta di quell’umile ciclista romagnolo che però sapeva il fatto suo. Al Giro attaccò ripetutamente il suo diretto avversario Tonkov il quale non riuscì a tenere il passo del Pirata. Al termine della 19esima tappa, la Cavalese > Plan di Montecampione, Pantani conquistò tappa e mise le mani sulla maglia rosa che portò fino alla passerella finale a Milano. In quell’edizione Pantani fece sua anche la classifica scalatori battendo José Jaime González.

Braccia aperte per Pantani al traguardo di Plan di Montecampione

Le emozioni però si ripeterono qualche settimana più tardi, tra le strade francesi della Grande Boucle. Dopo le prime tappe in sordina, il Pirata mostra gli artigli all’undicesima tappa con arrivo a Plateau de Beille. Il ciclista romagnolo però, in classifica generale è dietro al tedesco Jan Ullrich che aveva dominato le cronometro.
Ma l’impronta del Pirata su quel Tour de France avvenne qualche giorno più tardi: il 27 luglio durante la 15esima tappa con arrivo a Les Deux Alpes.

Il Pirata all’inseguimento di Ullrich prima dell’attacco decisivo sulle Alpi

Pantani andò all’attacco sul colle del Galibier a quasi 50 chilometri dal traguardo e, nonostante la forte pioggia, riuscì a staccare il tedesco Ullrich arrivando al traguardo in solitaria, con quasi nove minuti di vantaggio. Quel giorno tutta l’Italia era con Pantani, tutta l’Italia pedalò insieme a quel grande atleta. E in quel giorno non solo vinse la tappa, ma si prese anche la maglia gialla, che avrebbe mantenuto fino a Parigi, conquistando l’edizione numero 85 della Grande Boucle.

Le imprese di quella caldissima estete del ’98 in cui Marco Pantani è entrato in maniera indelebile nei cuori degli italiani.

L’abbiamo abbandonato in una stanza d’albergo di Rimini, l’abbiamo negato ai nostri sentimenti, quasi dimenticato salvo poi riconvertici dopo la sua morte, il giorno di San Valentino, il 14 febbraio 2004. L’autopsia rivelò che la morte era stata causata da un edema polmonare e cerebrale, conseguenza di un’overdose di cocaina.
La mamma Tonina grida ancora giustizia, molte cose non quadrano, lei se lo sente, ha inviato più volte a riaprire il caso, poi richiuso: «E’ stato un omicidio e non un suicidio».
Intercettazioni parlano dell’intromissione della camorra, riferendosi all’episodio di Madonna di Campiglio, che alterando il sangue di Pantani lo portò all’esclusione dal Giro d’Italia 1999.

La morte del “Pirata” ha lasciato sgomenti tutti gli appassionati non solo del ciclismo: a testa bassa, abbiamo rimpianto la perdita di un grande corridore, uno degli sportivi italiani più popolari, influenti e belli da vedere dal dopoguerra. Protagonista di tante imprese, anche e soprattutto umane.
Il suo mito, fatto di semplicità e di sacrificio, si è addentrato nella cultura popolare italiana, abbracciando ogni momento della quotidianità. Dal look della sua bandana alle corse tra amici fatte gridando il suo nome passando per il suo impegno sulle due ruote: ha vinto il Giro d’Italia nel 1998, per la prima volta, e nello stesso anno anche Tour de France, 33 anni dopo Felice Gimondi. E chi si dimentica l’incredibile successo nella tappa Les Deux Alpes?
L’accoppiata Giro-Tour è un’impresa riuscita a pochi, pochissimi. Si è ritirato, è ritornato nel 2000 ma non era più lo stesso: durante il Tour de France abbozza una sfida con Lance Armstrong, qualche schermaglia, qualche sussulto finale, prima di lasciare il dominio statunitense.

Anche la musica lo ha celebrato, osannato e ha puntato il dito sulla cecità di chi l’ha abbandonato. Già nel 1999, I Litfiba hanno dedicato a Marco Pantani la canzone Prendi in mano i tuoi anni, pubblicata nel 1999 nell’album Infinito. A differenza di tutte le altre, questa è l’unica canzone scritta quando il ciclista era ancora in vita:

Il tempo corre sul filo segnano il nostro cammino
so già che vuole averla sempre vinta lui
duello duro col tempo con il passato e il presente
e pure oggi mi dovrò affilare le unghie
la luce rossa dice “c’è corrente”
perché qualcosa stimola la mente
il mio futuro è nel passato e nel presente
ehi, dove sei? cosa aspetti ancora?
gioca la tua partita non sarà mai finita
la corsa nel tempo in salita forse è la mia preferita

Poi c’è stato Riccardo Maffoni con Uomo in fuga; Francesco Baccini e la sua In fuga; Alexia ha scritto Senza un vincitore. Tanti artisti differenti come Gli Stadio che hanno scritto appositamente per lui E mi alzo sui pedali, nel quale hanno integrato il testo della canzone con alcuni pensieri scritti dallo stesso ciclista e ritrovati su fogliettini sparsi nella stanza d’albergo:

E mi rialzo sui pedali con il sole sulla faccia
e mi tiro su gli occhiali al traguardo della tappa
ma quando scendo dal sellino sento la malinconia
un elefante magrolino che scriveva poesie
solo per te… solo per te…
io sono un campione questo lo so
un po’ come tutti aspetto il domani
in questo posto dove io sto
chiedete di Marco, Marco Pantani

Nel febbraio 2006, invece, nell’album Con me o contro di me, i Nomadi gli hanno dedicato la canzone L’ultima salita:

Cerchi questo giorno d’inverno
il sole che non tramonta mai
lo cerchi in questa stanza d’albergo
solo e sempre con i tuoi guai.
dammi la mano fammi sognare
dimmi se ancora avrai
al traguardo ad aspettarti
qualcuno oppure no

 

Una canzone dura, ma che ben racconta la critica di una società miope che ha puntato il dito contro quelli che erano i suoi miti per poi scaricarli, secondo logiche morali e ipocrite, è quella scritta da Antonello Venditti nel 2007. Con Tradimento e perdono, il cantautore romano si sofferma non solo su Marco Pantani, ma anche su Agostino Di Bartolomei e Luigi Tengo, uomini che hanno in comune un solo difetto, non esser stati compresi:

Mi ricordi di Marco e di un albergo
nudo e lasciato lì
era San Valentino l’ultimo arrivo
e l’hai tagliato tu
questo mondo coglione piange il campione
quando non serve più
ci vorrebbe attenzione verso l’errore oggi saresti qui
se ci fosse più amore per il campione oggi saresti qui

 

Perché vai forte in salita? Per abbreviare la mia agonia

Marco Pantani era soprattutto questo. Un uomo solo, in fuga da se stesso. In fuga dal gruppo per arrivare primo in salita. Quando muore prematuramente un artista, anche della bicicletta, la retorica celebrativa trasforma la persona in mito. L’uomo in eroe. Pantani ha, invece, compiuto il percorso inverso. Per la prima volta è andato forte in discesa: ha riportato il campione a essere solo un uomo. E un uomo solo.

Marco, in piedi sui pedali da Cesenatico

Il Pirata è stato uno dei miei primi idoli d’infanzia. Amato e odiato. Catalizzatore dei miei pomeriggi di maggio, quando libri e quaderni potevano aspettare. C’era il Giro, c’era Adriano De Zan, c’era un attesa da consumare strenuamente. In attesa di un segnale, di uno scatto. Oggi tappone di montagna, tutti aspettavano lui. In casa con papà o gli appassionati sulle strade. Dice Riccardo Magrini, di Eurosport:

Un po’ come quando gioca l’Italia ai Mondiali di calcio

Il berrettino volato via, lui che si alza sui pedali. «Scatta Pantani», la voce strozzata di De Zan annunciava il momento. E’ partito. E non ce n’era per nessuno. Dall’Aprica del 1994 all’Alpe d’Huez al Galibier in un pomeriggio epico. E poi Oropa, 1999.

Scrive Gianni Mura:

Perché, come i vecchi ciclisti, in corsa faceva di testa sua, non usava il cardiofrequenzimetro e quando s’allenava dalle sue parti beveva alle fontane e mangiava pane e pecorino

Ma lui era un uomo perché il suo viso tradiva i segni del suo calvario, della sua agonia, della sua via crucis. Della sua vita sempre in salita. Dalle cadute a Madonna di Campiglio. Quel giorno la Gazzetta titolò: «Sconquasso Pantani». Io ero appena tornato da un sabato di scuola media, non sapevo manco cosa volesse dire «sconquasso» ma sapevo che il Giro non sarebbe stato lo stesso. Che il ciclismo non sarebbe stato lo stesso.

Da lì è stata una lunga vorticosa discesa. Non era un santo, forse non era il fenomeno che tutti immaginavamo in bicicletta. Non mi interessa oggi saperlo. Marco Pantani è tornato in sella ed è sceso dai pedali. Ha regalato emozioni. E’ morto in preda alla solitudine la sera di San Valentino. E quella è una ferita che non si rimargina. Perché, come Gianni Mura:

avrei preferito vederlo invecchiare, e bere un bicchiere di Sangiovese con lui, da qualche parte sulle sue colline

 

Ottimo scalatore, buon passista, bravo nelle volate ristrette, «uno scattista che faceva male e al quale non bisognava rispondere per non rimanere secchi sui pedali»: questo è il ritratto che il francese Hinault ha fatto di Giovanni Battaglin, ciclista marosticense che ha messo a segno un’impresa destinata a rimanere nella storia.

È il 1981 e all’età di trent’anni Giovanni Battaglin porta a casa una magica doppietta, vincendo il Giro d’Italia e la Vuelta a España nello stesso anno. Il doppio successo è stato raggiunto soltanto da Eddy Merckx nel 1973 e da Alberto Contador nel 2008. Per il resto, nel corso  della sua carriera professionistica, il ciclista di Marostica ha ottenuto 84 vittorie, partecipando a dieci Giri d’Italia, cinque Tour de France, una Vuelta a España  e otto Campionati del Mondo.

All’età di 21 anni esordisce tra i professionisti al Giro d’Italia. È il 1973, Giovanni corre per la Jollyceramica. In quell’anno partecipano al Giro, leggende del calibro di Gimondi, Fuente e lo stesso Merckx. Il ragazzo di Marostica è un ottimo scalatore, quando arrivano le salite mette in mostra tutto il suo talento. Conclude il Giro di terza posizione. Non male per un esordiente!

L’anno successivo vince il Giro dell’Appennino e partecipa per la prima volta al Tour de France. Nel 1979 conquista la maglia a pois al Tour e conclude la competizione al sesto posto. Ma il 1979 è anche l’anno della grande delusione, di quelle che bruciano tutta una vita, perché solo per un soffio (e qualche gomitata di troppo) il sogno di Giovanni si infrange a pochi metri dall’arrivo.

Il 25 agosto del ’79 si corre il mondiale in Olanda, a Valkenburg. Giovanni è tra i protagonisti dello sprint finale. Degli otto al comando, rimangono in sei, poi in quattro. A circa duecento metri dall’arrivo il ciclista italiano esce allo scoperto, ma il corridore tedesco Thurau, con una brusca deviazione da sinistra a destra, stringe Giovanni in una morsa e l’olandese Raas, beniamino di casa e favorito della gara, con una gomitata lo manda a terra. Un epilogo frustrante. A nulla servirono i reclami di Alfredo Martini per la scorrettezza ricevuta da Battaglin. La giuria, dopo un ora di consulti, attribuì la vittoria a Raas.

Ma l’occasione di rifarsi per Giovanni arrivò presto. Nel 1980 termina terzo al Giro d’Italia. L’anno successivo invece è quello della consacrazione, della gioia infinita, del sogno di tutta una carriera passata sui pedali, dalle salite del Grappa alle vette d’Italia e di mezza Europa. È l’anno del Giro e della Vuelta. Una grande rivincita per il torto subito due anni prima.

Il ritiro per Giovanni Battaglin arriva presto, nel 1984 a soli 33 anni, sulla scia di numerosi infortuni. Dopo tante corse, cadute e traguardi tagliati per primo, oggi il ciclista marosticense ha un’azienda tutta sua. Di cosa?

Biciclette ovviamente!

 

Nel 1909 partiva la prima edizione del Giro d’Italia. La tappa inaugurale, Milano Bologna, fu vinta da un corridore romano di 20 anni che si sarebbe ripetuto anche nella frazione conclusiva di quel Giro. Dario Beni non indossò però la tradizionale maglia rosa in onore del giornale che organizza la corsa, la Gazzetta dello Sport. Il simbolo del leader della classifica generale sarebbe arrivato solo nel 1931 per iniziativa del Patron della Rosea, Armando Cougnet. Beni concluse quel Giro al settimo posto, dopo il ritiro divenne anche Ct della Nazionale italiana di ciclismo alle Olimpiadi di Berlino nel 1936.


110 anni dopo

Sono dovuti trascorrere 110 anni prima che un corridore romano tornasse a indossare la maglia rosa (anche se Beni sembra fosse nativo di Albano Laziale). Nella sesta tappa Cassino San Giovanni Rotondo, la doppietta italiana fa felici Fausto Masnada e Valerio Conti. Il primo vincitore di tappa, il secondo nuova maglia rosa con un minuto e 41 secondi di vantaggio su Giovanni Carboni (nuova maglia bianca). Conti ha approfittato della caduta che ha coinvolto l’ex leader della classifica generale, Primoz Roglic, precipitato all’undicesimo posto con 5 minuti e 24 secondi di ritardo. Nibali è 14mo, attardato di sei minuti e 3 secondi.


L’ultimo italiano a indossare la maglia rosa era stato proprio lo Squalo nel 2016, edizione poi vinta. Valerio Conti, romano e romanista, classe 1993, corre per la Uae Emirates. Figlio d’arte, suo padre è stato ciclista professionista dal 1977 al 1984 vincendo il Giro Juniores nel 1976. E anche suo Zio Noè scelse la bicicletta negli anni ’50, facendo il gregario di Fausto Coppi e gareggiando insieme, tra gli altri, a Louison Bobet e Gastone Nencini.

Per un italiano, la Maglia Rosa è la cosa più bella del mondo. Cercherò di tenerla il più a lungo possibile finché le mie gambe e il mio cuore me lo permetteranno. Questa è la prima volta in cui mi trovo in testa ad una corsa a tappe. Sono emozionato (Valerio Conti)

Grande talento nelle due ruote e grande cuore; ecco chi era Gino Bartali, vissuto in Italia in un periodo buio dominato dalla legge nazista, che è riuscito a fare la differenza coi mezzi che aveva.

Una bicicletta e tanto coraggio gli sono bastati per aiutare circa 800 ebrei salvandogli la vita da un destino ingiusto. Questo merito oggi è finalmente riconosciuto a livello ufficiale e sarà premiato con un’onorificenza pubblica conferitagli simbolicamente proprio a Gerusalemme.

Due giorni prima dell’inizio del Giro d’Italia, che è previsto in data 4 maggio a Gerusalemme, si celebrerà una cerimonia con lo scopo di dare la cittadinanza onoraria a Gino Bartali, eletto “giusto tra le nazioni nel 2013”.

Per Israele è un anno importante: il 2018 segna i 70 anni della nascita dello stato ebraico ed è l’anno che vede Gerusalemme come la città dove avrà inizio la corsa ciclistica. In occasione di queste due grandi ricorrenze lo Yad Vashem, l’ente nazionale per la memoria della Shoah di Israele, ha deciso di conferire un attestato tanto speciale quanto raro proprio al ciclista italiano, per il suo impegno verso la salvezza degli ebrei.

Il portavoce del museo Simmy Allen ha detto in proposito:

La legge sui Giusti delle nazioni consente a Yad Vashem la prerogativa di conferire anche, in casi particolari, una cittadinanza onoraria di Israele a chi fosse ancora in vita, oppure postuma ai suoi congiunti

È il secondo caso quello che è stato attuato nei confronti del ciclista, per merito della costanza del figlio che non ha mai smesso di divulgare l’impegno del padre.

L’ultima volta che questa onorificenza è stata concessa risale al 2007 ed è quindi un grande onore per la famiglia di Bartali presiedere a questa cerimonia in onore di un grande uomo che, rischiando la sua stessa vita, usava la bicicletta non solo per allenarsi, ma anche per portare speranza agli ebrei.

 Il suo dovere morale lo spingeva a nascondere clandestinamente dei documenti falsi all’interno del telaio della bici per poi portarli al vescovo di Firenze che poteva così regalare un nuovo inizio a queste persone che altrimenti sarebbero morte.

Una luce durante l’occupazione nazista in Italia che ha ridato la vita a circa 800 persone. Per Israele rendergli onore è d’obbligo e il 2 maggio diventerà ufficialmente cittadino onorario.

Alla cerimonia prenderanno parte anche i ciclisti in gara per il 101esimo Giro d’Italia che si esibiranno in onore di Gino Bartali, loro predecessore, che rappresenta un importante punto di riferimento non solo a livello umano. Bartali, infatti, nella sua carriera ha anche vinto tre edizioni del Giro d’Italia e due del Tour de France.

Nei suoi anni di gloria era chiamato Ginettaccio, oggi ci piace ricordarlo con l’epiteto di eroe silenzioso, che agendo nell’ombra, ha mostrato che “Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”.

Questo 2018 può essere l’anno buono per il ciclismo azzurro. Dopo i programmi presentati dagli isolani Vincenzo Nibali e Fabio Aru, fa il punto della situazione il campione Olimpico su pista Elia Viviani.

Il ciclista azzurro, dopo due anni con il Team Sky, ha deciso di trasferirsi nella squadra belga della Quick-Step Floors. Per questa stagione infatti, il quasi 30enne velocista, ha deciso di mettere da parte le competizioni su pista per puntare a fare bene anche su strada.


Il nostro Viviani è entrato nel nuovo gruppo della Quick Step anche in seguito all’abbandono di Marcel Kittel, passato alla Katusha. Tuttavia l’idea di Elia è quella di essere un leader del gruppo e non un rimpiazzo del campione tedesco.

Per la prossima stagione che partirà a breve, ci sono in mente una serie di corse a cui prendere parte.
Di sicuro il corridore d’origine veronese scatterà al via del Tour Down Under e agli Emirati. Da decidere, in base al percorso, quale gareggiare fra la Tirreno e la Parigi-Nizza.
Il sogno sarebbe quello di vincere la classica come la Milano-Sanremo per poi puntare al Giro d’Italia, magari prima correndo la Romandia.
Proprio la vittoria della classica delle classiche è uno dei desideri che più vuole realizzare perché

Se il massimo in pista era vincere l’Olimpiade, il massimo su strada sarebbe vincere la Sanremo. È il mio sogno!

Per poter far bene, tuttavia, Elia Viviani deve avere un grande appoggio dalla sua nuova squadra

Se Kittel ha vinto 14 volte nel 2017 e Viviani 9, ora può succedere l’opposto!

Il 2018 potrà essere un anno vincente per l’Italia dopo le delusioni al Mondiale di Bergen, e magari cercare una riscossa a Innsbruck.

Il campione del Giro d’Italia 2017 si batterà per mantenere il titolo anche nel 2018. La notizia è di pochissimi giorni e finalmente svela le intenzioni del ciclista Tom Dumoulin sulla prossima corsa tutta italiana.

L’annuncio è stato reso noto dal quotidiano olandese ‘De Telegraaf’, che ribadisce la voglia del ciclista di vincere ancora per difendere la maglia rosa e il trofeo conquistato.

Nel maggio scorso Dumoulin ha vinto il Giro d’Italia 2017 in un anno che per lui è stato ricco di soddisfazioni. È riuscito a vincere, infatti, anche ai Mondiali di Bergen la prova a cronometro individuale e a squadre.

Il ciclista, reduce da un argento ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro e da un bronzo ai Mondiali del 2014, oggi rappresenta uno dei favoriti della competizione ciclistica.

Secondo le aspettative di tutti sarebbe stato bello vederlo gareggiare contro Chris Froome in una corsa avvincente che avrebbe sicuramente dato spettacolo. Purtroppo, però, non è ancora certa la presenza del ciclista accusato di doping. Nonostante si sia più volte difeso dalle accuse ribadendo di prendere il salbutamolo per l’asma, le dosi assunte oltre il limite non lo scagionano del tutto e la questione rimane ancora aperta.

Chi sarà, dunque, in caso di squalifica per Froome, il suo antagonista? Forse si può azzardare il nome di Fabio Aru, che sta ancora valutando l’idea di partecipare o meno al Giro d’Italia, ma è molto probabile che la sua presenza sia confermata.

Nel frattempo Dumoulin continua ad allenarsi: il ciclista è in gran forma e si avvia verso il Giro d’Italia con obiettivi precisi, certo di essere uno dei maggiori pretendenti al titolo anche quest’annno.

Sarà un 2018 in cui i ciclisti italiani torneranno a ruggire. Se lo aspettano in molti: gli appassionati, il commissario tecnico dell’Italia Davide Cassani e lo sperano soprattutto loro.

Abbiamo parlato di Vincenzo Nibali e di quella che sarà la sua prossima stagione nel team Bahrain Merida.

Da un isolano a un altro. Dallo Squalo al Cavaliere dei Quattro Mori, Fabio Aru. Il ciclista sardo ha da qualche mese cambiato squadra, passando dall’Astana (ex team anche di Nibali) alla UAE Team Emirates.

La scorsa stagione è stata un po’ altalenante anche e soprattutto a causa degli infortuni. In effetti la rinuncia di essere assente al Giro d’Italia numero 100 è stata assai dolorosa anche per via delle prime tappe corse proprio in Sardegna. Il grave infortunio al ginocchio lo ha lasciato ai box e, in corso d’opera, ha cambiato strategia su quella che è stata la scorsa stagione, optando per la Grande Boucle.

Proprio nel Tour, Aru è riuscito ad indossare, solo per alcune giornate, la maglia gialla e a conquistare una vittoria di tappa. Lo scettro è poi passato a Chris Froome che ha chiuso leader sugli Champs Élysées di Parigi.

Il sardo però ha chiuso i campionati italiani da vincitore tanto che per tutta la corsa francese ha indossato il tricolore. Per il 2018 il Cavaliere dei 4 Mori è pronto per un’avventura, con squadra e spirito nuovo.

A differenza del suo compagno e collega Vincenzo Nibali, Aru non ha ancora ben chiaro il programma per la prossima stagione. Lo Squalo siciliano ha chiarito che non prenderà il al Giro d’Italia, optando per il Tour de France. Il sardo invece è ancora in una fase di studio e non ha deciso ancora il piano per le grandi corse.

Una cosa è certa, sarà presente alla Vuelta di Spagna (così come Nibali) per tenere le gambe allenate in vista dei Mondiali di Innsbruck, che si correranno nel mese di settembre, un percorso duro adatto alle caratteristiche dei due corridori.

 

Convinto che il corridore sardo faccia una stagione ad altissimi livelli è il ct azzurro, Davide Cassani. L’allenatore dell’Italia è sicuro delle potenzialità di Fabio Aru data anche l’esperienza accumulata nel corse delle ultime stagioni.

 Aru ha vinto una Vuelta e un campionato italiano, ha indossato la maglia gialla, è stato protagonista al Tour de France, penso che per avere la consacrazione definitiva debba vincere un Giro d’Italia e penso che abbia le capacità per farlo.

Non ci resta dunque che aspettare la prossima primavera per vedere come starà Fabio Aru al Giro. In effetti, anche se ancora non è arrivata l’ufficialità, sembra molto più probabile la sua partecipazione alla corsa in rosa piuttosto che al Tour de France. Tuttavia c’è da attendere il programma ufficiale dell’atleta.

Il nome di Vincenzo Nibali è una certezza nel mondo del ciclismo. Ma che progetti ha il ciclista per il prossimo anno?

È quello che gli è stato chiesto in una recente intervista dove si mette a nudo parlando dei suoi obiettivi e tirando le somme di quest’anno appena trascorso.

Eccolo, dopo una delle sue apparizioni pubbliche alla prima edizione dell’Arab Business forum della Camera di Commercio di Milano, a parlare di sé in modo del tutto schietto e persino dandosi dei voti come a scuola!

Il voto alla mia stagione? Non dico il massimo, ma un otto e mezzo, direi 9, ci sta tutto

E in effetti come dargli torto? Chiude la stagione con ottimi risultati: è riuscito ad arrivare terzo al Giro d’Italia, secondo alla Vuelta e addirittura primo al Giro di Lombardia.

Un anno pieno di soddisfazioni che volge al termine ed è, quindi, tempo non solo di bilanci ma anche di guardare al futuro. Per il 2018 è ancora presto, secondo il ciclista, per esprimersi su ciò che lo vedrà protagonista. Ma su una cosa non sembra avere dubbi: Nibali punta al Mondiale di Innsbruck.

Sicuramente prenderà parte anche nella Vuelta, ma per lui è una tappa di passaggio, perché tutte le sue attenzioni al momento sono rivolte alla preparazione alla competizione mondiale.

Sa bene, però, che non sarà facile competere con avversari del calibro di Sagan, Dumoulin e Froome.

Ecco come si esprime in proposito con i giornalisti in un pezzo della sua intervista:

Froome è un’ossessione?
“No, è un avversario importante. Nell’ultima Vuelta ha avuto una grande squadra e lui finalizzava sui finali brevi, esplosivi. Al Tour ho visto in tv che ha fatto i distacchi più importanti a crono. Il bis al Tour per me sarebbe un sogno”.
E Dumoulin? Più forte lui al Giro o voi non al top?
“Più lui. A crono è stato anche più forte di Froome, sembrava l’Indurain dei bei tempi”.
 

Nessun dubbio sulla determinazione e sulla grinta che “lo squalo” mette in atto quando gareggia: la competizione serve solo a stimolarlo a dare il massimo e puntare sempre più in alto, come ha sempre fatto fino ad oggi.

Anche le Fiandre rientrano probabilmente fra i suoi progetti, ma il ciclista evita di pronunciarsi in merito: non sa ancora se ne avrà voglia e tempo, ma sicuramente lascia intendere che la possibilità è alquanto allettante.

Nel frattempo, Nibali ha in programma per la fine del mese un intervento che serve a rimuovere l’osteosintesi alla clavicola sinistra, ma non sembra affatto preoccupato. Anzi, si gode le cene e i festeggiamenti in suo onore per la vittoria del Giro lombardo e sa già che tornerà in fretta ad allenarsi in bici per essere pronto a gareggiare molto presto.

E intanto si gode il meritato riposo e si dedica alle sue passioni, come il calcio: l’intervista si conclude proprio con un pronostico per la partita del derby tra Milan e Inter e ai giornalisti non nasconde la sua preferenza per la squadra rossonera.