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Nel 2019 l’orientamento sessuale può ancora fare notizia, soprattutto in un mondo spesso ovattato come lo sport. Non sono molto i coming out di atleti famosi, per il timore che la propria carriera ne possa essere danneggiata o compromessa a livello di immagine. Eppure, quel muro di indifferenza e perbenismo capita che venga abbattuto. Era già capitato con l’ex calciatore tedesco Thomas Hitzlsperger che aveva pubblicamente parlato della propria omosessualità.

Sulla scia dell’ex giocatore, tra gli altri, di Stocccarda e Lazio, l’attaccante australiano Andry Brennan, 26 anni, ha pubblicato un post su instagram in cui si dichiara gay. E’ il primo caso di calciatore australiano e, in generale, uno dei pochi nel mondo del calcio.

Non potrei essere più felice. Nonostante abbia rimuginato per anni su questa decisione, senza mai sentirmi a mio agio, finalmente posso dirlo: sono gay.

Brennan milita nei Green Gully, club di Melbourne che milita in una delle 10 leghe in cui è suddivisa la serie B australiana. In precedenza aveva giocato anche nei Melbourne Jets nella massima serie oceanica.

La strada resta lunga

Nonostante le tante conquiste in tema di diritti civili, l’omosessualità resta ancora un tabù nella società globalizzata e multitasking degli anni Duemila. Complici il linguaggio, l’ironia cameratesca, i giudizi superficiali, la strada che porta al riconoscimento egualitario delle persone indipendentemente dai loro orientamenti sessuali resta lunga. Secondo Stonewall, associazione britannica che punta all’inclusione lgbt nel calcio, ben il 72 per cento dei tifosi ha ascoltato almeno una volta un coro omofobo in una partita giocata negli ultimi cinque anni. Olivier Giroud, che nel 2012 aveva posato in copertina su una rivista per i diritti omosessuali, aveva così commentato:

Il giorno in cui ho scoperto che l’omosessualità è un tabù per il calcio è stato quando ho visto il tedesco Thomas Hitzlsperger raccontarsi, nel 2014: è stato molto emozionante. È qui che mi sono detto che era impossibile mostrare la propria omosessualità nel nostro mondo. Nello spogliatoio c’è molto testosterone, si sta tutti insieme, ci sono le docce collettive. È difficile ma è così. Capisco il dolore e la difficoltà dei ragazzi che si raccontano, è una vera e propria prova dopo aver lavorato su se stessi per anni

C’è Fulvio Collovati che nella trasmissione Quelli che il calcio, con pochezza di pensiero, frettolosamente e senza dare peso alle parole afferma che le donne non capiscono nulla di tattiche; poi ci sono le Iene, programma televisivo Mediaset, che in una settimana mandando in onda due “scherzoni” ad altrettanti calciatori: il gelosone Insigne talmente geloso di sua moglie Genoveffa Darone da privarle social e rapporti lavorativi, arrivando a farla dormire sul divano dopo una discussione; e poi il talentino della Roma, Nicolò Zaniolo, imbarazzato per un’intervista sciatta, maligna e importunante rivolta alla mamma del calciatore con domande davvero pesanti e personali.

Cliché a volontà di un mondo palesemente machista e che non si rende conto di esserlo, amplificato e anche legittimato da consensi social tra bomberismi e differenze sociali e di credibilità in base al sesso. E prendete, poi, una giornalista che scrivere un libro sul calcio gay in Italia. Francesca Muzzi del Corriere di Arezzo, per Ultra Edizioni, ha scritto “Giochiamo anche noi: L’Italia del calcio gay”, un libro reportage che raccoglie testimonianze e storie che ci restituiscono la dimensione di un mondo in cui lo sport, invece di unire, crea ancora separazioni e distanze.

Non so se ho mai giocato con un compagno omosessuale. Se l’ho fatto, non me ne sono accorto. Non avrei potuto: un giocatore omosessuale non è diverso da uno etero. Ma queste sono solo parole, perché se c’è bisogno di un libro che racconta dei calciatori gay e ci fa sapere che ci sono, allora siamo ancora molto distanti da un mondo sportivo sano. Peggio ancora, siamo dentro un calcio fatto di ignoranza

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E le parole di Tomas Locatelli, ex giocatore di serie A, come prefazione del libro sono emblematiche, ma d’altronde, Francesca Muzzi spiega molto bene nella sua prefazione che «essere gay in un mondo machista non è molto diverso dall’essere donna in un mondo di soli uomini» e tutti noi, o meglio tutti coloro che vogliono essere onesti e lucidi, sappiamo che anche il giornalismo sportivo è certamente prevalentemente maschile. Con tutte le implicazioni connesse, compreso chi vuol trarne vantaggi.

Il libro è un viaggio attraverso un’Italia ancora poco conosciuta, fatta di ragazzi che si sono organizzati e hanno deciso di coltivare la loro passione per il calcio, formando squadre Lgbt, organizzando tornei, creando reti d’inclusione e sana sportività. Come la storia di Giorgio, ragazzo napoletano, che fino a 26 anni ha fatto il fantino e, ora, calca i palcoscenici italiani come attore. Storia, che ci restituisce la temperatura di un’esistenza fatta di paure affrontate e vinte, quella per i cavalli, quella legata alla balbuzie e quella relativa al suo orientamento sessuale, che ha sconfitto mettendo su una squadra di calcio gay, i Pochos Napoli, la cui presentazione alla stampa, nel 2013, fu un clamoroso coming out mediatico.

Oppure la storia di Andrea, arbitro e gay, cacciato dalla federazione dell’Aia, per aver arbitrato amichevolmente, senza permesso, una partita di squadre formate da ragazzi gay a Torre del Lago. O, ancora, la divertentissima storia del Fantacalcio Gay, ideato da un ragazzo omosessuale, che oggi conta circa sessanta giocatori sparsi in tutta Italia. E poi, particolarmente interessante, il contributo di Antonello Sannino, ex presidente di Arcigay Napoli con delega nazionale allo Sport, che analizza le ingerenze costruttive tra associazionismo Lgbt e mondo dello sport.

Francesca Muzzi con questo libro prova a dare un segno per riscattare il silenzio e l’esclusione, è un libro che parla di rinascite, di battaglie vinte e di conquiste importanti. Di trofei. Trofei esistenziali. “Certo, la strada è ancora lunga. Che si cominci a percorrerla, però, è un buon segno. Fischio d’inizio”.

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Fonte: gaynews.it

Lo ricorda lui stesso con un tweet breve, carico di emozione, con l’hashtag #ComingOut e l’emoticon arcobaleno. Sono passati cinque anni da quando, l’8 gennaio 2014, Thomas Hitzlsperger, ex-calciatore tedesco, ha pubblicamente detto di essere gay in un’intervista al giornale Zeit. Hitzlsperger, cinque anni fa, aveva 31 anni e si era ritirato solamente da qualche mese dopo una serie di infortuni, dopo aver giocato, nel corso della sua carriera nell’Aston Villa, nello Stoccarda e nella Lazio, e collezionato 52 partite nella Germania.

Sul suo profilo Twitter dice di non poter essere più felice e ringrazia tutti per il supporto, ma dopo cinque anni Hitzlsperger è rimasto ancora l’unico calciatore “più famoso” ad aver dichiarato la propria omosessualità nel calcio. Ha raccontato di non avere avuto particolari problemi da giocatore in Inghilterra, in Germania e in Italia, anche se l’omosessualità è una questione «ignorata» nel calcio e che non viene mai affrontata «seriamente» negli spogliatoi:

Il mondo del calcio sta discutendo tutto questo più apertamente che mai. Non sempre vediamo dei chiari progressi, ma è evidente come le persone siano ora disposte a cambiare il mondo del pallone

Secondo Stonewall, associazione britannica che punta all’inclusione lgbt nel calcio, ben il 72 per cento dei tifosi ha ascoltato almeno una volta un coro omofobo in una partita giocata negli ultimi cinque anni. Anche per questo motivo, probabilmente, complici atteggiamenti da cameratismo, esprimere il proprio orientamento sessuale nel calcio è ancora relegato nella categoria tabù: attualmente esistono in Europa casi isolati di calciatori professionisti in attività che si siano dichiarati gay e la stragrande maggioranza, in serie e categorie inferiori.

Collin Martin, centrocampista statunitense di 23 anni del Minnesota United (nella Mls) ha dichiarato la propria omosessualità, attraverso il suo profilo Instagram avvolto in una bandiera arcobaleno, durante l’ultimo Pride Night, una serata dedicata al rispetto dei diritti degli omosessuali nel 49° anniversario dei Moti di Stonewall, accese proteste a seguito dell’irruzione della polizia di New York, nella notte tra il 27 e il 28 giugno del 1969, all’interno del locale Stonewall Inn. che rappresentava un punto di riferimento per la comunità lgbt.

 

In passato solo un calciatore professionista francese ha espresso la sua omosessualità, Olivier Rouyer, ma solo molti anni dopo il ritiro, così come in Germania ci fu la testimonianza di Marcus Urban, nel 1990, ma quando la sua carriera era pressoché terminata.  La storia più tristemente celebre è quella di Justin Fashanu, sempre nel 1990, ma in Inghilterra: la sua carriera e la sua vita diventarono molto difficili, tra insulti – anche quelli del suo allenatore, il celebre Brian Clough – e polemiche.
Lo stesso fratello John lo rinnegò pubblicamente, e le reazioni ebbero un effetto devastante su Fashanu, che confessò di sentirsi «solo e disperato». Il suo rendimento sportivo calò ulteriormente, in quella che sembrava una spirale discendente senza fine e, dopo esser stato coinvolto in un intricato caso di violenza sessuale nei confronti di un minore, Fashanu il 3 maggio 1998 si uccise impiccandosi nel garage di casa.

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Nel dicembre 2017, l’Uefa ha scelto Liam Davis, calciatore gay inglese, come testimonial della campagna #EqualGame, lanciata contro ogni discriminazione etnica, di religione o di orientamento sessuale. Intervistato dal Daily Telegraph, Liam Davis ha raccontato che la sua omosessualità venne accidentalmente rivelata nel 2014 da un quotidiano locale; lui, però, non ha mai vissuto la cosa come “un rischio” e di non avere mai avuto problemi, in nessuna delle squadre in cui ha giocato, né con i compagni, né con gli allenatori, né con la dirigenza:

Penso che sia giusto raccontare la mia visione positiva delle cose…A coloro che sono ancora riluttanti nel fare coming out voglio dire che non ho mai avuto alcun problema, niente se non riscontri positivi. Se c’è una cosa che voglio dire è che il calcio è un ambiente meravigliosamente di supporto

In realtà, nel novembre 2018, Oliver Giroud, attaccante del Chelsea ha affermato che nel calcio è impossibile dichiararsi omosessuale. L’intervista all’ex di Arsenal e Montpellier, che nel 2012 ha posato in copertina su Têtu, una rivista per i diritti degli omosessuali e in Premier League ha più volte indossato “Rainbow Laces” a sostegno del comunità gay, ha riaperto il dibattito:

Il giorno in cui ho scoperto che l’omosessualità è un tabù per il calcio è stato quando ho visto il tedesco Thomas Hitzlsperger raccontarsi, nel 2014: è stato molto emozionante. È qui che mi sono detto che era impossibile mostrare la propria omosessualità nel nostro mondo. Nello spogliatoio c’è molto testosterone, si sta tutti insieme, ci sono le docce collettive. È difficile ma è così. Capisco il dolore e la difficoltà dei ragazzi che si raccontano, è una vera e propria prova dopo aver lavorato su se stessi per anni».

Benvenuti allo show di Adam Rippon. Bello da vedere sul ghiaccio, ha dato un senso alle interviste post-esibizione e non la manda a dire a nessuno. Nemmeno a Mike Pence, vicepresidente americano. Perché Rippon è stato il primo atleta dichiaratamente gay a essersi qualificato per i Giochi Olimpici invernali di Pyeongchang 2018, in Corea del Sud, e perché è il primo storico sportivo a stelle e strisce ufficialmente omosessuale a conquistare una medaglia, quella di bronzo conquistata dagli Usa nel Team Event.

Americano e gay, come il connazionale sciatore freestyle Gus Kenworthy, qualificatosi due settimane dopo di lui, ma che a un’Olimpiade c’era già stato, nel 2014 a Sochi, vincendo l’argento. Entrambi, però, hanno fatto coming out nell’ottobre 2015 e, ora, tre anni dopo, lo dicono apertamente: è stato l’atto più liberatorio della loro esistenza. Rippon annuisce:

Dal momento in cui tutti hanno saputo, ho ricominciato a respirare liberamente

Qualcuno gli fa anche notare che a 28 anni, dopo due fallite qualificazioni a Vancouver 2010 e Sochi 2010, è il pattinatore più anziano al debutto nella storia dell’America dal 1936. Nathan Chen, per intenderci, suo collega e connazionale, è del 1999. Ma la saggezza scaltra di Adam è tutta qui:

In passato questa cosa forse mi avrebbe scoraggiato, ma mi ha davvero motivato perché è diverso e io amo essere diverso

Poi sul ghiaccio si lascia andare e nonostante l’etichetta di debuttante ha sorpreso più o meno tutti. Ha abbagliato il ghiaccio, conquistando il punteggio di 172,98 nella prova individuale maschile che inizialmente lo ha portato al secondo posto prima di scendere in terza posizione. Johnny Weir, ex olimpionico e opinionista sul canale americano NBC l’ha definito “magnifico”, “da incantesimo” trovando approvazione anche nell’ex pattinatrice Tara Lipinsky che ha ammesso di aver avuto i brividi. E poi Rippon sa essere spavaldo e sincero anche lontano dalla pista, trasmettendo una genuina empatia anche quando i giornalisti fanno domande di rito e un po’ banali. Lui ricorda la delusione, quattro anni fa, quando mancò la qualificazione, era con la sua amica e collega, Mirai Nagasu, e trangugiavano panini dalla disperazione. Ora sono entrambi sotto i riflettori mondiali, da tirare i pizzicotti per quanto sia fantastico e quasi inimmaginabile:

Quattro anni fa, io e Mirai siamo andati da In-N-Out (catena di fast food americana), abbiamo preso da mangiare, siamo tornati nella sua casa, siamo saliti sul tetto e abbiamo iniziato a mangiare e a mangiare perché eravamo tanto dispiaciuti e amareggiati per non essere alle Olimpiadi. Ma l’Olimpiade sa essere magica perché siamo qui, entrambi, e siamo anche compagni di camera nel ritiro. Le ho detto “eccoci qui, ce l’abbiamo fatta” e ci siamo abbracciati. E’ fantastico

 

Dear Little Adam #nationalcomingoutday ?️‍?

Un post condiviso da Adam Rippon (@adaripp) in data:

Un post condiviso da Adam Rippon (@adaripp) in data:

Di gesti liberatori, Adam ne ha compiuti parecchi. L’ultimo è uno schiaffo all’istituzione statunitense. Mike Pence è il capo della delegazione degli Stati Uniti in Corea del Sud, come detto è vicepresidente di Trump alla Casa Bianca ed è accusato di posizioni anti-gay, di aver ostacolato la comunità Lgtb e di aver sostenuto la validità della terapia di recupero per gli omosessuali.
Rippon ha rifiutato di incontrarlo e ha detto che non cambierebbe strada per salutare un uomo che si è battuto per sostenere la teoria secondo la quale i gay sono malati.

E se Pence ha scritto un tweet personale rivolto al pattinatore, dicendo di non credere alle fake news, Rippon si dimostra vincente anche lontano dal ghiaccio, glissando e dimostrando tanta, tantissima autoironia:

Un atleta gay non ha nulla di diverso da un atleta eterosessuale. La passione, la dedizione, il sacrificio e gli allenamenti sono esattamente gli stessi. Tutto uguale, insomma, tranne che noi abbiamo le sopracciglia molto più belle

Insomma, il sipario sul Rippon’s show si è appena alzato.