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Non mollare mai fino alla fine

È questa la frase che ha accompagnato la vita di Felice Gimondi e che guiderà gli azzurri alla partenza del Mondiale di ciclismo in programma nello Yorkshire. La citazione, seguita dalla firma del campione di Sedrina, sarà infatti presente sulla maglia della Nazionale italiana il prossimo 29 settembre, nella data che sarebbe coincisa con il 77esimo compleanno del ciclista orobico.

La indosseranno gli italiani, dunque, ma non Vincenzo Nibali perché il ciclista ha deciso di non partecipare alla rassegna iridata in programma dal 22 al 29 settembre. Lo Squalo ha detto di non essere abbastanza in forma per far parte della Nazionale italiana, che sarà tra l’altro impegnata in un percorso poco adatto alle sue caratteristiche: «La maglia azzurra per me è sacra e va rispettata. Non sono al top e non è giusto che porti via il posto a un compagno».

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Il commissario tecnico Davide Cassani lo aveva incluso nella lista provvisoria di sedici corridori, dalla quale ora ne dovranno essere tagliati altri sette. I ciclisti di punta della nazionale in Inghilterra saranno Matteo Trentin e Sonny Colbrelli. Ma quella di Nibali non è l’unica “defezione” eccellente: anche Egan Bernal, il vincitore dell’ultimo Tour de France, ha infatti deciso di rinunciare alla rassegna iridata perché non si sente abbastanza in forma dopo il trionfo alla Grande Boucle, in seguito all’apoteosi in giallo si è visto soltanto alla Clasica di San Sebastian e si sta ancora riprendendo dalle fatiche delle tre settimane in terra transalpina.

Assente anche il polacco Michal Kwiatkowski, campione del Mondo 2014, che ha affermato di avere bisogno di riposo dopo il Tour visto che da quel momento i suoi risultati non sono stati dei migliori.

Le lacrime di un compagno di vita. «Stavolta perdo io». Nelle ore dell’addio a Felice Gimondi, il ricordo dell’amico-rivale di sempre Eddy Merckx è il più toccante. Il “Cannibale” all’Ansa ha detto:

Perdo prima di tutto un amico e poi l’avversario di una vita. Abbiamo gareggiato per anni sulle strade l’un contro l’altroma siamo diventati amici a fine carriera. L’avevo sentito due settimane fa così come capitava ogni tanto. Che dire, sono distrutto

Sebbene scosso, Merckx tratteggia con lucidità le virtù di Gimondi: «Felice è stato prima di tutto un grande uomo, un grande campione, purtroppo ce lo hanno portato via. È una grande perdita per il ciclismo. Mi vengono in mente tutte le lotte che abbiamo fatto insieme…Un uomo come Gimondi non nasce tutti i giorni, con lui se ne va una fetta della mia vita. È stato tra i più grandi di sempre».

Lo sport italiano è in lutto. A 76 anni è morto Felice Gimondi, campionissimo del ciclismo mondiale. In vacanza insieme alla famiglia, era ospite di una struttura alberghiera di Giardini Naxos, la località turistica del messinese nei pressi di Taormina. Quando si è sentito male stava facendo il bagno. Nello specchio d’acqua è intervenuta anche una motovedetta della Guardia Costiera, ma tutti i tentativi di rianimarlo da parte dei medici sono stati inutili. L’ex campione italiano, che era sofferente di cuore, secondo i soccorritori sarebbe morto per un infarto.

Gimondi era uno dei sette corridori ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri: il Giro d’Italia (per tre volte, nel 1967, 1969 e 1976), il Tour de France (nel 1965) e la Vuelta a España (nel 1968). Ha vinto anche un Campionato del Mondo nel 1973.

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Altro che “eterno secondo”, come qualcuno l’aveva definito per quella lunga e durissima sfida con Eddy Merckx ed i tanti piazzamenti alle spalle del belga. Originario di Sedrina, in Val Brembana, classe 1942, avrebbe compiuto 77 anni il 29 settembre. Invece fu l’unico a resistere alla vena vorace del ‘Cannibale’ Merckx, secondo in assoluto – dopo Anquetil – a completare la Tripla Corona nei Grandi Giri, campione del Mondo nel 1973 a Barcellona, padrone del pavé di Roubaix e delle insidie della Sanremo.
Gianni Brera, che ne descrisse le imprese, per lui aveva coniato i soprannomi Felix de Mondi e Nuvola Rossa. La sua carriera cominciò nel decennio dopo la fine di quella di Magni. Si presentò al Tour de France del 1965, vinse a sorpresa e solo l’indomani si dimise da postino, «perché al posto di lavoro ci tenevo» spiegò. Quel Tour, per l’esuberanza fisica e il modo spericolato di correre, è uno dei tre momenti fondamentali della sua carriera. «Poi c’e’ il Giro del 1976 (il terzo vinto dopo quelli del ’67 e del ’69, ndr), quando in gruppo ero considerato un vecchietto, per la tattica e la gestione della corsa – raccontò lui stesso anni dopo – E il Campionato del Mondo (del 1971, ndr), per averci creduto fino in fondo anche sapendo di essere battuto», ancora una volta dal ‘Cannibale’. Quello era un po’ il motto di Gimondi, costretto ad arrendersi solo contro Merckx. Rimase a lungo la sua «delusione più grande» essere battuto dal belga a cronometro per la prima volta, al Giro di Catalogna: «Ho impiegato due anni a capirlo: Merckx era piu’ forte di me».

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«Dietro alla sua ruota ci sarò» recita anche un verso della canzone che gli dedicò Enrico Ruggeri, “Gimondi e il Cannibale”, L’ultimo giro d’Italia cui partecipò fu quello del 1978: si piazzo’ undicesimo, ma contribuì in maniera decisiva al successo finale di Johan De Muynck, che aveva battuto due anni prima, ora diventato suo compagno di squadra. Concluse la carriera su strada nell’ottobre 1978 partecipando al Giro dell’Emilia. Sotto contratto da professionista con la Bianchi-Faema anche nel 1979, ottenne come ultimo piazzamento, nel febbraio di quell’anno, il terzo posto nel campionato italiano di omnium indoor. Nelle quindici stagioni da pro vinse in totale 141 corse. Dopo il ritiro Gimondi fu direttore sportivo della Gewiss-Bianchi nel 1988, e successivamente, nel 2000, presidente della Mercatone Uno-Albacom, la squadra di Marco Pantani.

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