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L’abbiamo abbandonato in una stanza d’albergo di Rimini, l’abbiamo negato ai nostri sentimenti, quasi dimenticato salvo poi riconvertici dopo la sua morte, il giorno di San Valentino, il 14 febbraio 2004. L’autopsia rivelò che la morte era stata causata da un edema polmonare e cerebrale, conseguenza di un’overdose di cocaina.
La mamma Tonina grida ancora giustizia, molte cose non quadrano, lei se lo sente, ha inviato più volte a riaprire il caso, poi richiuso: «E’ stato un omicidio e non un suicidio».
Intercettazioni parlano dell’intromissione della camorra, riferendosi all’episodio di Madonna di Campiglio, che alterando il sangue di Pantani lo portò all’esclusione dal Giro d’Italia 1999.

La morte del “Pirata” ha lasciato sgomenti tutti gli appassionati non solo del ciclismo: a testa bassa, abbiamo rimpianto la perdita di un grande corridore, uno degli sportivi italiani più popolari, influenti e belli da vedere dal dopoguerra. Protagonista di tante imprese, anche e soprattutto umane.
Il suo mito, fatto di semplicità e di sacrificio, si è addentrato nella cultura popolare italiana, abbracciando ogni momento della quotidianità. Dal look della sua bandana alle corse tra amici fatte gridando il suo nome passando per il suo impegno sulle due ruote: ha vinto il Giro d’Italia nel 1998, per la prima volta, e nello stesso anno anche Tour de France, 33 anni dopo Felice Gimondi. E chi si dimentica l’incredibile successo nella tappa Les Deux Alpes?
L’accoppiata Giro-Tour è un’impresa riuscita a pochi, pochissimi. Si è ritirato, è ritornato nel 2000 ma non era più lo stesso: durante il Tour de France abbozza una sfida con Lance Armstrong, qualche schermaglia, qualche sussulto finale, prima di lasciare il dominio statunitense.

Anche la musica lo ha celebrato, osannato e ha puntato il dito sulla cecità di chi l’ha abbandonato. Già nel 1999, I Litfiba hanno dedicato a Marco Pantani la canzone Prendi in mano i tuoi anni, pubblicata nel 1999 nell’album Infinito. A differenza di tutte le altre, questa è l’unica canzone scritta quando il ciclista era ancora in vita:

Il tempo corre sul filo segnano il nostro cammino
so già che vuole averla sempre vinta lui
duello duro col tempo con il passato e il presente
e pure oggi mi dovrò affilare le unghie
la luce rossa dice “c’è corrente”
perché qualcosa stimola la mente
il mio futuro è nel passato e nel presente
ehi, dove sei? cosa aspetti ancora?
gioca la tua partita non sarà mai finita
la corsa nel tempo in salita forse è la mia preferita

Poi c’è stato Riccardo Maffoni con Uomo in fuga; Francesco Baccini e la sua In fuga; Alexia ha scritto Senza un vincitore. Tanti artisti differenti come Gli Stadio che hanno scritto appositamente per lui E mi alzo sui pedali, nel quale hanno integrato il testo della canzone con alcuni pensieri scritti dallo stesso ciclista e ritrovati su fogliettini sparsi nella stanza d’albergo:

E mi rialzo sui pedali con il sole sulla faccia
e mi tiro su gli occhiali al traguardo della tappa
ma quando scendo dal sellino sento la malinconia
un elefante magrolino che scriveva poesie
solo per te… solo per te…
io sono un campione questo lo so
un po’ come tutti aspetto il domani
in questo posto dove io sto
chiedete di Marco, Marco Pantani

Nel febbraio 2006, invece, nell’album Con me o contro di me, i Nomadi gli hanno dedicato la canzone L’ultima salita:

Cerchi questo giorno d’inverno
il sole che non tramonta mai
lo cerchi in questa stanza d’albergo
solo e sempre con i tuoi guai.
dammi la mano fammi sognare
dimmi se ancora avrai
al traguardo ad aspettarti
qualcuno oppure no

 

Una canzone dura, ma che ben racconta la critica di una società miope che ha puntato il dito contro quelli che erano i suoi miti per poi scaricarli, secondo logiche morali e ipocrite, è quella scritta da Antonello Venditti nel 2007. Con Tradimento e perdono, il cantautore romano si sofferma non solo su Marco Pantani, ma anche su Agostino Di Bartolomei e Luigi Tengo, uomini che hanno in comune un solo difetto, non esser stati compresi:

Mi ricordi di Marco e di un albergo
nudo e lasciato lì
era San Valentino l’ultimo arrivo
e l’hai tagliato tu
questo mondo coglione piange il campione
quando non serve più
ci vorrebbe attenzione verso l’errore oggi saresti qui
se ci fosse più amore per il campione oggi saresti qui

 

A maggio 2014, è stato trovato positivo a uno stimolante, ma fu sospeso dalla Federazione cinese appena tre mesi, in tempo per partecipare ai Giochi Asiatici. Poi lo scorso settembre la polemica per la presunta distruzione, a colpi di martellate, di una provetta contenente il suo sangue: Una vicenda che la Wada, l’agenzia internazionale anti-doping, ha portato all’attenzione del Tas che però non si pronuncerà prima di settembre 2019, a Mondiali ormai finiti.

Con questa losca e nebulosa premessa il nuotatore cinese Sun Yang, sei medaglie olimpiche e 14 mondiali, sta partecipando ai Mondiali di nuoto a Gwangju. Una situazione delicata che, però, sta trovando l’opposizione e il rifiuto di diversi colleghi con gesti clamorosi: il primo è dell’australiano Mack Horton, che aveva preceduto il cinese a Rio 2016, piazzatosi secondo nei 400 in un podio chiuso dal bronzo di Gabriele Detti.
Ecco, su quel podio Horton non c’è proprio salito, proprio non ne voleva sapere ed restato giù. Il momento è stato imbarazzante, Horton fissava il vuoto, non degnando nemmeno di uno sguardo il campione del mondo. Serissimo l’australiano davanti al presidente Barelli, che doveva effettuare la consegna delle medaglie: «Le sue azioni e il modo in cui è stata gestita tutta la faccenda la dicono lunga», ha commentato dopo la cerimonia della premiazione a Gwangju Horton, che già a Rio aveva attaccato Sun Yang definendolo un “drug cheat”, un truffatore dopato.

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E mentre la Fina, la Federazione internazionale del nuoto, ha ammonito l’australiano – che nel frattempo è stato accolto da una standing ovation dagli altri nuotatori quando è entrato nella mensa del villaggio -lunedì 23 luglio, è andato in scena un altro gesto eclatante: Sun Yang ha vinto nuovamente questa volta nei 200 stile libero, perché i giudici hanno squalificato il lituano Danas Rapsys, primo in vasca, per falsa partenza.  Ma lo stesso cinese ha perso le  staffe durante la premiazione mandando a quel paese in mondovisione il britannico Duncan Scott, bronzo ex aequo col russo Malyutin colpevole di non avergli voluto stringere la mano. Un doppio sonoro “fuck” che ha tradito il serafico e glaciale nuotatore cinese.

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Mio figlio è un guerriero!

Queste le prime parole della madre di Paolo Guerrero quando ha appreso la notizia che il figlio potrà partecipare ai Mondiali di Russia 2018.

Doña Peta, la sua prima tifosa, pronta a sostenerlo in qualunque caso, è stata una delle prime a gioire delle notizia giunta inaspettata dal Tribunale Federale della Svizzera. Il capitano del Perù è stato, infatti, graziato e potrà prendere parte alla competizione iridata, per poi scontare i suoi 14 mesi di squalifica per doping subito dopo la conclusione dei mondiali.

È festa in Perù dopo la conferma dell’attendibilità della notizia, che ribalta la sentenza del Tas e permette al giocatore di realizzare il suo più grande sogno.

Il caso Guerrero ha scosso non solo la nazione peruviana, ma anche l’intero mondo calcistico che era concorde nel ritenere ingiusta e troppo severa la decisione di escludere il calciatore dalla sua squadra proprio dopo una qualificazione che arriva dopo 36 anni.

Persino i capitani avversari delle squadre del Girone C, Danimarca, Australia e Francia, avevano espresso la loro opinione in una lettera rivolta proprio alla Fifa per richiedere una sospensione della pena solo in vista dei Mondiali.

Sostenuto da tutti, paese e avversari, Guerrero ha avuto la forza di affrontare questo periodo buio senza mai perdere la speranza e oggi si unisce alla festa in suo onore che lo elegge nuovamente un convocato ufficiale della prossima competizione in Russia.

È anche merito del presidente federale Edwuin Oviedo se finalmente si è data una svolta al suo caso.

El Depredador riaccende le speranze di un paese che non partecipa al Mondiale dal 1982 e, grazie alla presenza del suo capitano in campo, può tornare a sorridere pienamente e cercare il suo momento di gloria.

E per la mamma del calciatore tutta questa vicenda fa parte di un disegno più grande. Dopo aver ringraziato tutti i sostenitori del figlio, da fervente credente non può non ringraziare soprattutto Dio:

Mi congratulo con tutti quelli che hanno aiutato mio figlio. Ho sempre saputo che tutto si sarebbe risolto perché siamo benedetti. Dio ci ha aiutato, ha fatto tutto ciò che credevamo

La sua commozione, palese nelle sue parole espresse in diretta in una rete locale, è l’emblema di una battaglia vinta, che coinvolge non un singolo giocatore e la sua famiglia, ma un intero paese, che si unisce alla felicità di casa Guerrero e attende con ansia di vederlo in campo per la prima sfida del Perù ai Mondiali, che si terrà il 16 giugno alle ore 18.00 contro la Danimarca.

A poco meno di un mese dall’inizio della competizione mondiale in Russia, il Perù deve fare i conti con un’amara delusione. La gioia di ritrovarsi qualificati dopo ben 35 anni viene infatti offuscata dalla vicenda di Paolo Guerrero, capitano della nazionale, che è costretto a rinunciare al suo sogno di guidare la squadra.

Coinvolto in una vicenda di doping già sei mesi fa, la sua partecipazione al Mondiale era in dubbio da tempo.

Tutto risale al match giocato contro l’Argentina per le qualificazioni al Mondiale. In quell’occasione, dai controlli antidoping il capitano peruviano era risultato positivo ad un metabolita della cocaina. Immediata la squalifica per 12 mesi, poi ridotta a sei in seguito al ricorso presentato dal giocatore al Tas.

Una condanna dura ma scaduta di recente, fugando ogni eventuale dubbio sulla presenza del calciatore nella competizione iridata in Russia.

Ma quando ormai sembrava tutto finito arriva invece il ricorso presentato dalla WADA (agenzia Mondiale Antidoping) che chiede di prolungare tale squalifica fino a 14 mesi, precludendo per Guerrero la possibilità di prendere parte al Mondiale.

Il Tas pare abbia accolto il ricorso e Guerrero è stato ufficialmente eliminato dalla lista dei convocati della nazionale peruviana di cui già era parte integrante.

Un sogno infranto e un paese in rivolta: ecco cosa ha scatenato la sentenza del Tas. Né il protagonista né i suoi tifosi ci stanno e si continua a proclamare l’innocenza del capitano. Secondo la sua versione, infatti, non avrebbe fatto uso di droghe ma semplicemente bevuto un tè alla coca, popolare nel suo paese e addirittura in vendita nei market.

 

Attraverso i social si consuma lo sfogo di un giocatore deluso che attendeva da tempo la realizzazione del suo sogno di giocare nel Mondiale (di cui il Perù non fa parte dal 1982!) e invece sarà costretto a vedere e tifare la sua squadra da casa:

La prima cosa che voglio dire è che non c’è una prova di tutto ciò, nulla è mai stato provato. Quello che non capisco è come si possa dare una sanzione di 14 mesi, spezzando il mio sogno di giocare il Mondiale senza giustificazione. Spero che i giudici e le persone che hanno contribuito a rubare il mio sogno e il mio Mondiale continuino a dormire in pace. Ringrazio tutte le persone che mi sono state vicine, che sanno il professionista che sono e la persona che sono: spero che continuino a credere in me

Parole dure che esprimono un forte rammarico, ma che non gli impediscono di stare vicino ai suoi compagni, sostenerli e, ironia della sorte, apparire ancora nelle foto di gruppo del team mondiale.

Lui, che con il cuore è ancora lì a sentirsi uno dei convocati, può almeno illudersi di aver preso parte anche se per breve tempo a questo tanto atteso Mondiale. Anche se serve a poco, gli rimane la consolazione di vedere ancora la sua figurina nell’album Panini digitale che è espressione del grande evento e dove la sua immagine non può essere cancellata!

Che quelle di PyeongChang sarebbero state olimpiadi difficili, in Russia ne erano consapevoli tutti. Costretti a gareggiare sotto la bandiera neutrale dell’Oar (Olympics Atheletes from Russia) per via del cosiddetto “doping di Stato” risalente a Sochi 2014, per gli atleti russi, ancora a caccia del primo oro, i problemi sembrano non finire mai.

È di due giorni fa la notizia della positività al meldonio di Alexander Krushelnytsky, fresco vincitore della medaglia di bronzo nel curling doppio misto insieme alla moglie Anastasia Bryzgalova. Una storia poco chiara sin dall’inizio (il meldonio non influirebbe sulle prestazioni sportive, a maggior ragione in uno sport come il curling) che in queste ore si sta tingendo ulteriormente di giallo: lo stesso Krushelnytsky, in precedenza mai risultato positivo, ha infatti accusato un compagno di squadra di averlo sabotato versandogli nella bevanda la sostanza vietata per vendicarsi del fatto di non essere stato selezionato per le olimpiadi.

Sempre due giorni fa la campionessa di pattinaggio artistico, la quindicenne Alina Zagitova, è stata sottoposta ad un test antidoping a sorpresa, pochi minuti dopo aver iniziato gli allenamenti. Un modus operandi che non è stato gradito dalla delegazione russa, secondo la quale Alina avrebbe dovuto terminare la sua sessione di allenamento, prima di sottoporsi a tutti i controlli richiesti.

Intanto appare ancora lontana la risoluzione della controversia tra Russia e Comitato olimpico internazionale sul pagamento a quest’ultimo di una multa da 13 milioni di euro per finanziare la lotta al doping, un requisito che, insieme al rigoroso rispetto delle norme etiche avrebbe potuto riabilitare la compagine russa e permetterle di sfilare sotto le proprie insegne durante la cerimonia di chiusura.

Ma Mosca, come recentemente confermato dallo stesso capo delegazione russo a PyeongChang 2018, Stanislav Pozdnyakov, aveva già comunicato l’intenzione di pagare la sanzione dopo la cerimonia di chiusura, per avere la certezza di poter sfilare con i propri vessilli. Un braccio di ferro che nei prossimi giorni dovrà inesorabilmente concludersi, vedremo a favore di chi.

Il grande Chris Froome, che corre come ciclista per il Team Sky, si trova protagonista di una vicenda alquanto spiacevole che lo accusa di doping.

Lo scandalo è stato reso noto dalla Federazione ciclistica internazionale, che dopo accurati controlli, ha rilevato nei campioni analizzati un eccesso di salbutamolo (un broncodilatatore), che può avere influito sulle sue ultime gare e in particolare sulla vittoria alla Vuelta in Spagna.

I grandi successi del ciclista britannico, che ha vinto il Tour de France e la Vuelta, insospettiscono gli addetti dell’antidoping che chiedono maggiore chiarezza. Ma, al momento, nessun provvedimento viene preso dalle autorità ciclistiche perché il farmaco è stato preso dal ciclista per fini terapeutici.

Pare infatti che Froome soffra fin da piccolo di asma e sia costretto ad assumere questo farmaco per tenerla sotto controllo. Durante l’ultima gara ne ha dovuto assumere una quantità maggiore a causa di un peggioramento delle sue condizioni.

Froome si difende così dalle accuse:

Tutti sanno che ho l’asma e conosco le regole, uso un inalatore per prevenire i sintomi, sempre entro i limiti consentiti, e so perfettamente che sarò controllato ogni giorno che indosso la maglia di leader. Durante la Vuelta ho avuto un peggioramento dell’asma, quindi ho seguito il consiglio del medico della squadra e aumentato la dose di salbutamolo, come sempre, stando attento a non usarne più di quanto permesso. Prendo molto sul serio la mia posizione di leader nel mio sport. L’Uci ha tutto il diritto di esaminare i risultati delle analisi e gli fornirò tutte le informazioni necessarie insieme al mio team

Il team Sky si fa portavoce di queste dichiarazioni e aggiunge:

Chris soffre di asma fin dall’infanzia e utilizza un inalatore per prendere un farmaco comune, il salbutamolo, per prevenirne e alleviarne i sintomi. Il salbutamolo è consentito dalle norme Wada quando inalato fino a un limite di 1.600 microgrammi (mcg) per un periodo di 24 ore e non più di 800mcg oltre 12 ore

L’UCI (Unione Ciclistica Internazionale), però, non contesta l’uso del farmaco ma la sua quantità, che non sembrerebbe rispettare del tutto il limite previsto. Ecco perché la questione non si è ancora chiusa, scagionando del tutto il ciclista. Resta comunque privo di alcuna sospensione provvisoria obbligatoria in attesa di nuovi aggiornamenti.

Si era già parlato di una possibile presenza russa alle prossime Olimpiadi invernali di Pyeongchang 2018 in veste neutrale. Adesso arriva la conferma definitiva: la Russia è ufficialmente esclusa dai Giochi Olimpici.

Il verdetto CIO (Comitato Internazionale Olimpiadi) è arrivato ieri e ha lasciato interdetti i vertici russi che fino all’ultimo speravano in una decisione differente. I risvolti nelle recenti indagini per doping, che non hanno lasciato scampo a tutti gli atleti positivi ai controlli, sono la causa di questa esclusione.

Ciò non toglie, però, che gli atleti idonei potranno far parte della competizione ma a titolo individuale, senza inno, senza bandiera e indossando una divisa che non avrà i colori del paese di origine ma la scritta OAR (Olympic athlete from Russia). Ovviamente nessuna possibilità di far parte del medagliere.

Questi eventuali partecipanti devono prima passare tutte le verifiche antidoping e, solo dopo un’accurata valutazione svolta dalla commissione, saranno accettati fra gli altri atleti.

Secondo il CIO questa è l’unica strada da percorrere per punire la Russia, colpevole di aver leso l’integrità delle Olimpiadi.

La Russia viene ancora una volta colpita nell’orgoglio e Putin promette una replica a questa decisione che la taglia fuori da uno degli eventi più importanti, tornando a parlare di ingiustizia.

Ma per il paese russo le brutte notizie non finiscono qua, perché sono state prese altre importanti decisioni che riguardano le punizioni verso i responsabili di questa situazione e che sono direttamente coinvolti nello scandalo del doping di Stato.

Il primo ad essere colpito è Vitaly Mutko, vice primo ministro e soprattutto presidente del Comitato Organizzatore Mondiali di Calcio 2018 e presidente della Federcalcio russa. L’allora Ministro dello sport, che ha presieduto alle Olimpiadi di Sochi del 2014, è bandito per sempre dalle Olimpiadi.

Inoltre, la Russia dovrà pagare una multa di ben 15 milioni di dollari, che serviranno per finanziare la lotta contro il doping.

E adesso si aspetta la reazione della Russia: secondi alcuni è abbastanza facile che si ricorra ad una forma di boicottaggio da parte del governo di Putin, che potrebbe decidere di non accettare queste condizioni e non prendere affatto parte alla competizione in Corea del Sud.

Ecco come si esprime a riguardo Thomas Bach, Presidente della CIO, sperando che non succeda:

I boicottaggi non hanno mai dato alcun risultati ed attuandolo la Russia negherebbe ai propri atleti puliti l’esperienza di un’Olimpiade. Della vicenda, naturalmente, non ho mai direttamente parlato con Putin, ma qui si tratta di capire se si vuole gettare un ponte verso il futuro o innalzare muri

Cominciano oggi ad Anaheim, negli Stati Uniti, i Campionati Mondiali di sollevamento pesi. Dal 28 novembre fino al 5 dicembre gli atleti provenienti da tutto il mondo si contenderanno il titolo nelle diverse specialità.

La manifestazione, organizzata dalla Federazione Internazionale Sollevamento Pesi, ospita i più grandi atleti del settore sin dal 1981, ogni anno, eccezione fatta per quello olimpico.

Ma per questa competizione alcuni paesi sono stati tagliati fuori e non potranno esibire i propri rappresentanti. Ancora una volta si torna a parlare di doping e stavolta non è solo la Russia la nazione coinvolta nelle indagini. Sono addirittura 9 le potenze che vedranno i Mondiali da casa: Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Cina, Moldavia, Kazakhstan, Turchia, Ucraina e la già citata Russia.

Ma l’indagine antidoping non si ferma a questa esclusione: è in programma, infatti, un controllo costante anche ad Anaheim che coinvolgerà almeno metà dei 377 atleti.

Nel frattempo l’Italia, che non è stata trovata positiva ai controlli, può prepararsi a veder gareggiare i suoi campioni, già dalla giornata di domani.

Conosciamo più da vicino gli azzurri in gara nella competizione mondiale 2017. Ecco i loro nomi: per le donne Genny Pagliaro (48kg), Giorgia Russo (53kg), Jennifer Lombardo (58kg), Maria Grazia Alemanno (63kg), Giorgia Bordignon (69kg) e per gli uomini Mirco Scarantino (56kg), Mirko Zanni (69kg) e Antonino Pizzolato (85kg).

Il loro Ct Sebastiano Corbu ha molta fiducia nei convocati azzurri e si aspetta dei grandi risultati, soprattutto da Mirco Scarantino e Antonio Pizzolato.

C’è molta attesa anche per la performances di Genny Pagliaro, che rientra dopo una lunga pausa durata circa un anno.

Programma Mondiali di sollevamento pesi

Ecco il programma completo delle gare del Mondiale di Anaheim, che si aprono oggi senza la presenza di italiani in gara:

Martedì 28 novembre
Ore 19.45 – Uomini 56 kg Gruppo B
Ore 22.45 – Donne 48 kg Gruppo B
Ore 02.15 – Uomini 62 kg Gruppo B

Mercoledì 29 novembre
Ore 17.45 – Donne 53 kg Gruppo B
Ore 19.45 – Donne 58 kg Gruppo B
Ore 22.45 – Uomini 56 kg Gruppo A
Ore 02.15 – Donne 48 kg Gruppo A
Ore 04.45 – Uomini 62 kg Gruppo A

Giovedì 30 novembre
Ore 19.45 – Uomini 69 kg Gruppo B
Ore 22.45 – Donne 63 kg Gruppo B
Ore 02.15 – Donne 53 kg Gruppo A
Ore 04.45 – Donne 58 kg Gruppo A

Venerdì 1 dicembre
Ore 19.45 – Donne 69 kg Gruppo B
Ore 22.45 – Uomini 77 kg Gruppo B
Ore 02.15 – Donne 63 kg Gruppo A
Ore 04.45 – Uomini 69 kg Gruppo A

Sabato 2 dicembre 
Ore 20.45 – Uomini 77 kg Gruppo A
Ore 00.15 – Donne 69 kg Gruppo A
Ore 02.45 – Donne 75 kg Gruppo B
Ore 05.45 – Uomini 85 kg Gruppo B

Domenica 3 dicembre
Ore 17.45 – Uomini 94 kg Gruppo B
Ore 20.45 – Uomini 85 kg Gruppo A
Ore 00.15 – Uomini 94 kg Gruppo A
Ore 02.45 – Donne 75 kg Gruppo A

Lunedì 4 dicembre
Ore 19.45 – Uomini 105 kg Gruppo B
Ore 22.45 – Donne 90 kg Gruppo B
Ore 02.15 – Uomini 105 kg Gruppo A
Ore 04.45 – Donne 90 kg Gruppo A

Martedì 5 dicembre
Ore 17.45 – Donne +90 kg Gruppo B
Ore 19.45 – Uomini +105 kg Gruppo B
Ore 22.45 – Donne +90 kg Gruppo A
Ore 02.15 – Uomini +105 kg Gruppo A

Non è una trovata pubblicitaria né una bufala: da qualche giorno si parla in maniera sempre più concreta del microchip per atleti.

Questa bizzarra proposta arriva dall’Associazione mondiale olimpionici (World Olympians Association- WOA), che vuole mettere la parola fine alle problematiche legate al doping fra gli atleti.

È lo stesso Mike Miller, direttore generale, che spiega il perché di questa idea di impiantare dei microchip a chi deve gareggiare, con queste parole:

Mettiamo dei chip ai nostri cani e non sono certo nocivi. Allora perché non metterli anche agli uomini? Dobbiamo combattere chi vuole imbrogliare e un modo per eliminare il doping dallo sport è sicuramente quello di utilizzare dei microchip muniti delle tecnologie più avanzate sui nostri atleti

Ma l’iniziativa non ha riscosso molto successo, soprattutto tra i diretti interessati che si sentono in questo modo deprivati della loro privacy.

Il fenomeno del doping nel mondo dello sport è considerato una vera piaga che getta ombre sulla trasparenza di una gara e stravolge in modo ingiusto le sorti di competizioni di grande importanza. Secondo l’Associazione mondiale olimpionici tutti dovrebbero appoggiare questa proposta, perché è un modo per assicurare la correttezza di tutti gli atleti e i risultati e i riconoscimenti ottenuti.

Ecco come replica Miller alle accuse di violare la privacy:

Dobbiamo affrontare i truffatori. Nel tentativo di sradicare il fenomeno doping dovremmo usare microchip dotati delle ultime e più avanzate tecnologie. Alcuni ritengono sia una violazione della privacy, io dico che è un club e coloro che non vogliono essere soggetti alle regole del club non possono farne parte

Attraverso il microchip sottopelle sarebbe possibile scoprire tutte le truffe in atto o passate degli atleti che fanno i furbi e l’obiettivo è non soltanto quello di smascherare gli scorretti ma anche monitorare tutta la categoria.

Gli ex partecipanti ai giochi olimpici che rappresentano i membri di questa associazione ne sono convinti: il doping va fermato con ogni mezzo, anche se si tratta di utilizzare mezzi tanto radicali e per alcuni anche estremi.

Non solo gli atleti, però, hanno reagito male di fronte questa eventualità del microchip. Nemmeno l’amministratore delegato dell’anti-doping britannico, Nicole Sapstead, approva l’idea perché lo ritiene un metodo troppo invasivo.

Ecco la sua replica:

Accogliamo con favore gli sviluppi verificati nella tecnologia che potrebbero aiutare la lotta contro il doping. Tuttavia, non potremmo mai essere sicuri che questo tipo di metodologie non possano essere manomesse. Esiste un equilibrio tra il diritto alla privacy e la dimostrazione che sei pulito. Noi incoraggiamo attivamente ricerche più precise e meno invasive che possano aiutare le organizzazioni anti-doping nei loro sforzi

Si preannuncia una questione scottante che sicuramente non sarà risolta in breve tempo: troppe opinioni discordanti e troppi interessi in gioco ruotano attorno alla lotta contro il doping. Nel frattempo che si decidono le sorti degli atleti, si continuerà con i classici controlli ai quali sono da sempre sottoposti gli sportivi prima e dopo ogni competizione.

Sara Errani è stata trovata positiva ad un controllo antidoping effettuato a febbraio di quest’anno. Nelle urine della azzurra, sono state trovate tracce di arimidex, nome commerciale anastrozolo, riconducibile a un principio attivo farmacologico inquadrabile nella classe S4 degli “stimolatori ormonali e metabolici”, lo stesso a cui fu trovato positivo il canottiere Mornati.

La Errani però è stata squalificata solo per 2 mesi (a partire dal 3 agosto sino al 2 ottobre) dal Tribunale Antidoping dell’International Tennis Federation. La tennista romagnola, 30 anni compiuti lo scorso aprile, ha ricevuto il minimo della pena possibile poiché si è creduto fermamente alla buona fede dell’atleta, che è già stata processata a Londra come da prassi. L’Itf ha sancito anche la revoca di punti e montepremi a partire dal giorno della acclarata positività all’arimidex, comunemente conosciuto come anastrozolo, sino a un controllo negativo del mese di giugno.

«Un tribunale indipendente nominato ai sensi del programma anti-doping del tennis ha rilevato che Sara Errani ha commesso una violazione contro le regole sul doping e ha squalificato l’atleta, imponendole un periodo di stop di due mesi, a partire dal 3 agosto»

Il controllo antidoping incriminato è del 16 febbraio 2017, ma la notizia è giunta all’azzurra un paio di mesi dopo. Sara Errani, consigliata anche dagli avvocati della Federazione Italiana Tennis, ha deciso di non fare ricorso sulla squalifica, ma cercherà di opporsi alla decurtazione dei punti che, escludendo i tornei all’incirca da febbraio a giugno, la farebbero perdere parecchie posizioni in classifica.