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Con il match inaugurale tra i padroni di casa della Francia e la Corea del Sud, venerdì 7 giugno, si alza ufficialmente il sipario sull’ottava edizione della Coppa del Mondo femminile. Con 24 squadre, tra cui l’Italia, Mondiali.it seguirà l’evento attraverso curiosità, aneddoti e informazioni. Ecco, per esempio, un paio di record, conquistati da singole calciatrici o dalle Nazionali nelle edizioni precedenti, con alcuni traguardi che potranno essere ritoccati e migliorati. Consigli utili quando sarete tra amici ed amiche e vorrete fare gli splendidi

La Nazionale con il più alto numero di Mondiali vinti

Gli Usa sono la Nazionale più forte e blasonata nel calcio femminile con tre trofei alzati al cielo su sette edizioni. Gli Stati Uniti hanno vinto il primo storico Mondiale, quello del 1991, il secondo nel 1999 e il terzo, l’ultimo, in Canada nel 2015, battendo il Giappone per 5-2 e vendicandosi per la finale del 2011 persa rocambolescamente. Le americane quindi sono le campionesse in carica e un gradino più in basso c’è la Germania con due successi (2003 e 2007) e quindi farà di tutto per raggiungere le rivali già in Francia.

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La calciatrici con più gol segnati in Coppa del Mondo

E’ la brasiliana Marta a detenere il record di calciatrice più prolifica nella storia dei Mondiali con 15 reti messe a segno tra il 2003 e il 2015. In quattro edizioni, Marta ha diviso così il suo bottino: 3 gol nel 2003; ben 7 nel 2007; 4 nel 2011 e solamente uno nel 2015. Nell’edizione del 2007, l’attaccante brasiliana ha vinto la Scarpa d’oro e anche il Pallone d’oro. E in Francia potrà migliorare il suo score.

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Maggior numero di reti segnate da una calciatrice in un singolo Mondiale

Il record appartiene all’americana Michelle Akers e difficilmente assisteremo a qualcosa di simile nuovamente: 10 marcature, tutte in un solo Mondiale, quello del 1991.

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Giocatrici che hanno partecipato a più Coppe del Mondo

E’ una bella sfida, anzi un testa a testa tra due atlete: la prima a raggiungere il traguardo di sei Mondiali disputati (SEI!) è stata la giapponese Homare Sawa nella partita contro la Svizzera giocata l’8 giugno 2015 a Vancouver. Record individuale rimasto tale solo per 24 ore perché il giorno dopo, Miraildes Maciel Mota – nota a tutti come Formiga – ha pareggiato i conti scenendo in campo contro la Corea. Entrambe le giocatrici hanno giocato almeno una partita tra il 1995, 1999, 2003, 2007, 2011 e il 2015.

Ma non è tutto perché Formiga è convocata per l’edizione 2019 in Francia. Siamo pronti ad aggiornare le statistiche.

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Giocatrice più anziana ad andare in rete

E’ ovviamente la stessa Formiga che nella medesima partita contro la Corea del Sud ha anche segnato una rete. Per la centrocampista capitana del Psg una rete a 37 anni compiuti, essendo nata il 3 marzo 1978.

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Più alto scarto di gol in una partita

La difesa della Nazionale argentina ha ancora gli incubi: 11 gol subiti dalla Germania per un rotondo 11-0 nella prima partita del Mondiale del 2007 giocata il 10 settembre.

Giocatrice più anziana

Il trono spetta a Christie Rampone che, subentrata nella finale del 2015 contro il Giappone, ha giocato una partita ufficiale all’età di 40 anni e 11 giorni, migliorando il suo stesso record precedente conquistato quale settimana prima, in un match della fase a gironi contro la Nigeria. E chi potrebbe insidiare Rampone? Sì, proprio lei, ancora Formiga che ha 41 anni.

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Chi ha segnato più gol in una sola finale?

Disputare una competizione mondiale è già il sogno nel cassetto di molti atleti, piazzare una tripletta in finale è ultraterreno. E con i pieni sospesi in aria dev’essersi sentita Carli Lloyd quando ha segnato tre gol con la maglia degli Stati Uniti nella finale vinta 5-2 contro il Giappone nel 2015. Una tripletta in soli 16 minuti con la prima rete arrivata dopo solo 2 minuti e 34 secondi (anche questo, gol più veloce in una finale femminile).

E a impreziosire ulteriormente il record di Lloyd c’è un altro dato statico: tra calcio maschile e femminile solo il grande Geoff Hurst ha segnato un’altra tripletta in finale, quella del 1966.

Il gol “più lento” in una finale?

Come vedete Giappone e Usa negli ultimi anni se la sono  giocata fino alla fine: così Homare Sawa nel 2011 ha impiegato 117 minuti (si era nei supplementari) per segnare la rete ormai insperata del 2-2, quella che ha mandato il match ai rigori e che ha visto premiare proprio le nipponiche.

L’allenatrice più giovane

Una menzione speciale anche per chi sta in panchina e guida la squadra: l’allenatrice più giovane nella storia dei Mondiali femminili è stata Vanessa Arauz León, nata in Ecuador il 5 febbraio 1989, e sulla panchina della Nazionale a 26 anni e 123 giorni, nel debutto dell’Ecuador contro il Camerun nel 2015. Vanessa Arauz León è il manager più giovane in assoluto comprendendo sia donne che uomini: nel calcio maschile è stato l’argentino Juan José Tramutola con i suoi 27 anni e 267 giorni a guidare il suo paese nel Mondiale del 1930.

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EPISODIO DUE

Matteo “HOLLY” Moglia e Matteo “BENJI” Biasin nella nuova avventura di Mondiali.it: ogni martedì e venerdì, in diretta streaming per consigli, commenti e pronostici sulla Serie A (e non solo…). Perché sappiamo quanto costa schierare la formazione giusta al fantacalcio e noi vogliamo essere accanto ai fantallenatori. 

Serie A review  – Giornata 12:

🔸 Come sono andati i nostri 3 Top e 3 Flop pronosticati della 12a giornata? L’attaccante del Milan, Gonzalo Higuain prende ZERO al fantacalcio tra rigore sbagliato ed espulsione;  Samir Handanovic, il portiere dell’Inter, prova a tenere a galla la squadra neroazzurra, ma non avevamo fatto i conti con la difesa della squadra di Milano; El Papu Gomez ci ha spiazzato con il suo eurogol;

🔸 Ciccio Caputo is the new Piatek: terzo gol consecutivo per l’attaccante dell’Empoli che ha segnato anche contro Juventus, Napoli e Udinese;

🔸 I difensori dell’Atalanta “silent sniper”: Mancini è al terzo gol consecutivo e prova a raggiungere il record di Caldara che, nel 2016-2017, ha realizzato ben 7 reti. Ma Mancini sarà titolare quando rientrerà Masiello?;

🔸 Ha segnato Schick…e Dzeko è ancora fermo…che altro dire?

Serie A review – Ventura si dimette:

🔸 Gian Piero Ventura dura soltanto 32 giorni sulla panchina del Chievo Verona. Ma c’è chi ha fatto anche peggio, esonerato in 10 minuti. Qui la top5;

🔸 13 novembre 2013, a un anno dal “Sansirazo” e dall’Italia fuori dai Mondiali. Il pezzo di Vincenzo Pastore.

Eroe del giorno: Leandro Paredes

🔸 Il calciatore argentino dello Zenit St. Pietroburgo ed ex Roma per vedere il Superclasico tra Boca Junior e River Plate, finale di Libertadores, si è fatto espellere durante la partita di campionato. La curiosità scovata da Dario Sette.

I pronostici di Matteo e Matteo sulla Giornata 13 di Serie A

Cinque quote croccanti consigliate da Replatz combinando 1×2/ under-over 1.5/ gol-nogol:

Nigeria – Islanda è sfida decisiva per il gruppo D, ma Carl Ikeme non ci sarà. Così i ragazzi del ct Hallgrímsson hanno pensato di dedicare la maglia numero 1 della loro Nazionale allo sfortunato portiere africano, che sta combattendo una partita ben più importante, quella contro la leucemia.

In attesa di capire chi vincerà sul campo nel match di venerdì 22 giugno alla Volgograd Arena, i giocatori islandesi dimostrano di meritare, anche con questi gesti, le simpatiche attenzioni dei tifosi di tutto il mondo.

Così, dal profilo twitter di Jón Daði Böðvarsson, è spuntata una foto di supporto del team a Ikeme, che ha ricevuto migliaia di like e condivisioni. Non è un caso che sia stato proprio il centrocampista del Reading a postare l’immagine: Böðvarsson e Ikeme sono stati, infatti, compagni di squadra nel Wolverhampton nella stagione 2016-2017.

 

Lo spareggio del gruppo D potrebbe dare indicazioni importanti su una delle due squadre che accederanno agli ottavi di finale, vista la concomitanza di Argentina – Croazia. Ikeme sarà incollato alla tv a tifare per la sua Nigeria, ma avrà sicuramente un atteggiamento benevolo verso i suoi amici con la maglia blu islandese.

E proprio pensando all’Argentina e alla sfida d’esordio al Mondiale che ha visto l’Albiceleste impattare contro i vichinghi islandesi per 1-1, il profilo Twitter della Federcalcio riporta un dato impressionante. Sabato pomeriggio praticamente tutta l’isola era incollata davanti allo schermo della propria tv o in compagnia in qualche piazza davanti a un maxischermo. Il match ha, infatti, fatto registrare il 99,6% di share: di fatto dei 330mila abitanti, quelli che non sono riusciti ad andare in Russia, hanno supportato la squadra da casa, esultando tutti assieme al gol del pareggio di Finnbogason e trattenendo il fiato durante il rigore parato dal portiere-regista Halldorsson su Messi. Ma la domanda, qui, sorge spontanea: dov’era il restante 0,4%? Ecco un altro tweet, ancora più geniale, proprio dell’autore del gol storico. Semplice, era in campo!

? Mondiali.it supporta l’Islanda a Russia 2018: scopri le storie e gli eventi live

Jóhann Berg Guðmundsson è nato a Reykjavik il 27 ottobre 1990. Come tutti i suoi compagni di nazionale ha iniziato la sua carriera internazionale da ragazzino. E’ stato però uno dei pochi a sentire nostalgia dell’Islanda, tornare nella sua casa (dai colori biancoverdi, del Breidablik) e da lì ripartire per il continente.

Ha iniziato da giovanissimo a frequentare la nazionale islandese. Il suo impiego è stato stato un crescendo negli ultimi anni. Dall’epica vittoria contro l’Inghilterra ad Euro2016, nelle partite ufficiali, è sempre partito titolare. Di pari passo è andata la sua carriera nei club. Nella stagione appena conclusa ha conquistato una storica qualificazione europea con gli inglesi del Burnley, che non uscivano dall’isola di Sua Maestà dal secondo dopoguerra. In Islanda si conta molto che il suo buon stato di forma continui in Russia.

LA CARRIERA DI JOHANN BERG GUDMUNDSSON NEI CLUB

2008–2009: Breiðablik 22 (6)
2009–2014: AZ Alkmaar 119 (9)
2014–2016: Charlton Athletic 81 (16)
2016–: Burnley 62 (3)

LA CARRIERA DI JOHANN BERG GUDMUNDSSON IN NAZIONALE

Presenze: 65
Reti: 6. Il 6 settembre 2013, nel pareggio per 4-4 contro la Svizzera, è stato il primo islandese a segnare una tripletta in manifestazione ufficiale nel nuovo millennio.

Debutto: il 20 agosto 2008 in amichevole contro l’Azerbaijan. La partita finì 1-1

CURIOSITÀ

Come detto in premessa, Johann Berg Gudmundsson ha iniziato giovanissimo la sua carriera internazionale. Cresciuto nel Breidablik, neppure sedicenne si è trasferito a Londra con tutta la famiglia dopo esser stato aggregato alle giovanili del Chelsea. Inizia così il suo rapporto controverso con l’Inghilterra. A Londra infatti non riesce ad ambientarsi e, dopo esser passato fra le fila del Fulham, decide di tornare in patria. Una sorta di saudade in salsa vichinga, che risolve tornando a giocare e a frequentare la scuola con gli amici di sempre.

Continua a leggere la storia completa del calciatore su Freezeland.it

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Aron Einar Gunnarsson è nato ad Akureyri il 22 aprile 1989. La sua carriera non ha bisogno di molte presentazioni, ma per chi non la conoscesse basta pensare al sogno di ogni calciatore islandese: Inghilterra. Infatti, a parte brevi ed infelici esperienze col Þór Akureyri in patria e con l’AZ Alkmaar nei Paesi Bassi, è alla terra di Sua Maestà che il mediano ha legato la sua avventura professionale. Il passaggio al Coventry City (all’epoca nella Championship inglese) ne 2008 ne favorì la convocazione in nazionale, di cui è capitano dal 15 agosto 2012. Ironia della sorte, la partita in cui Aron esordì come capitano fu un’amichevole con le Fær Øer, terminata 2-0 per l’Islanda. Indipendentemente dai risultati che arriveranno in futuro, Aron Einar Gunnarsson è già nel pantheon degli sportivi islandesi: è il capitano che ha condotto l’Islanda ai primi Europei e ai primi Mondiali della sua storia. Con 77 presenze, è il quinto giocatore per numero di partite giocate con la maglia della Nazionale.

La carriera di Aron Gunnarsson

2004-2006: Þór Akureyri, 11 (0)
2006-2008: AZ Alkmaar, 1 (0)
2008-2011: Coventry City, 123 (6)
2011-oggi: Cardiff City, 243 (24)

La carriera di Aron Gunnarsson con la nazionale

Presenze: 77
Debutto: 2 febbraio 2008 contro la Bielorussia, a Ta’ Qali (Malta, campo neutro), in amichevole. Vittoria Bielorussia per 2-0.

Gol:
1) 10 ottobre 2014, Riga (Skonto stadions), contro la Lettonia, un gol. Vittoria Islanda per 3-0.
2) 12 giugno 2015, Reykjavík (Laugardalsvöllur), contro la Repubblica Ceca, un gol. Vittoria Islanda per 2-1.

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«Se vai dal parrucchiere, potrai andare in Nazionale». A pensarlo oggi, verrebbe da ridere, eppure il concetto era questo. Se lo sentì dire Gigi Meroni, uno che viveva fuori dall’ordinario, coi calzini abbassati, maglia da fuori, prima i baffetti, poi i capelli lunghi e la barba.

Una questione di codice, di “dress-code” si dice nel 2018: Gigi accettò dinanzi alla possibilità di perdere il treno azzurro, ma quando divenne famoso e idolo di molti ragazzi che lo emulavano, Edmondo Fabbri, l’allenatore dell’Italia, dovette chiudere più di un occhio. Del resto erano gli anni Sessanta, gli anni dei Beatles e della ribellione veicolata anche attraverso un’acconciatura differente.

E poi c’è chi, trent’anni dopo, in nazionale e soprattutto ai Mondiali non è andato per colpa dei capelli troppo lunghi. Fernando Redondo, l’eleganza vestita di bianco Real, un sinistro telecomandato e un spettacolo per gli occhi. Peccato solo che ai Mondiali in Francia del 1998 nessuno ha potuto ammirare la sua classe planetaria.

Ancora una volta fu: «Tagliati quei capelli e potrai giocare con l’Argentina». A dirlo era Daniel Passarella, tecnico dell’Albiceleste: era stato categorico e non voleva vedere nella sua squadra chiome “stravaganti”. Uomo rigido e attento al rispetto delle regole, nonostante la qualità che il ragazzo poteva garantire a centrocampo,  Redondo, dal 1994 al 1998, restò fuori dal giro della nazionale, mentre in Europa faceva faville con la maglia del Real Madrid, tra “taconazi” leggendari e trofei alzati al cielo. Indossò anche la fascia da capitano prima di congedarsi dalle Merengues da vincente: la sua ultima partita con la maglia bianca fu la finale di Champions League vinta 3-0 contro il Valencia di Hector Cuper.

Una carriera a forti tinte chiare e oscure. Al Milan verrà ricordato per il suo lungo infortunio subito dopo l’acquisto nell’estate del 2000 e la decisione di non percepire lo stipendio durante l’assenza dai campi. Il ritiro nel 2004 è una diretta forzatura.

Per vederlo sorridere con la maglia dell’Argentina bisogna risalire al 1993, prima dell’avvento di Passarella, ovviamente: è l’8 agosto e, contro il Paraguay, l’Argentina si gioca la qualificazione ai Mondiali di Usa ’94. La gara è complicata e combattuta, ma sul risultato di 1-1, al 20′ del secondo tempo, il 24enne centrocampista, allora al Tenerife, inventa un gol capolavoro. L’Argentina vincerà 3-1 e quello fu il suo unico gol con la sua Nazionale.

A suo modo è stato un vincente. Atipico senz’altro per non esser sceso a compromessi. A saltare un Mondiale per orgoglio e per i suoi capelli. Unico, però, a deciderlo di farlo per ben due volte! Nel 1990, nel Mondiale italiano, aveva la possibilità di giocarsi la Coppa del Mondo con la nazionale vincitrice in carica. Come andò a finire? Sull’aereo destinazione Roma non mise mai piede: doveva terminare di seguire i corsi di Economia e Commercio all’università.

Un’impresa incredibile ed irripetibile e, per questo, degna degli Oscar dei Mondiali di Calcio. L’impresa del calciatore che non ti aspetti, di un onesto mestierante del pallone che seppe non solo uscire inaspettatamente dall’oblìo, ma addirittura elevarsi a “Migliore Attore Protagonista” nella massima competizione mondiale a livello di Nazionali. La cinquina Mundial di Oleg Salenko ad Usa ’94.

Gli inizi

Oleg Anatovlevic Salenko da Leningrado, classe 1969, a livello giovanile sembrava un prospetto di sicuro avvenire: nel 1989, si era distinto per prestazioni di assoluto livello durante il Mondiale Under 20 disputato in Arabia Saudita con l’allora Unione Sovietica, chiudendo da capocannoniere con cinque reti, nonostante la prematura uscita dei sovietici ai quarti di finale contro la Nigeria.
La sua carriera non aveva poi avuto l’esplosione sperata e il talento russo era rimasto a vivacchiare nel campionato ucraino fino al 1992 quando, con la dissoluzione dell’URSS, si trasferì in Spagna, al Logrones, dove in 2 stagioni mise insieme 23 reti. Insomma, un attaccante di discreto livello, abbastanza prolifico, ma adatto a realtà di piccolo cabotaggio.

Il Mondiale americano

Anche per questo ad Usa ’94, il 25enne Oleg rappresentava una seconda scelta per il CT Sadyrin: pur venendo da una stagione positiva in Liga, i titolari inamovibili erano i più quotati Radchenko del Racing Santander e Yuran del Benfica.
Si prospettava un breve Mondiale da comprimario, con la Russia inserita in un girone di ferro con Brasile, Svezia e Camerun e già quasi eliminata dopo le sconfitte con il Brasile (2-0), all’esordio, e con la fortissima Svezia (3-1 con gol proprio di Salenko su rigore) di Kenneth Andersson.

Ma spesso è in queste situazioni di stallo che un evento può cambiare la storia: Yuran non recupera e non è arruolabile per la decisiva gara con il Camerun: si spalancano quindi per Salenko le porte della titolarità e lo sgusciante attaccante non vuole farsi sfuggire l’occasione.

Contro i Leoni d’Africa Oleg è una furia: segna 5 gol e la Russia vince con un tennistico 6-1.
E poco importa se la vittoria è inutile e i sovietici escono nella fase a gironi: si tratta di un exploit incredibile, che permette al russo di entrare nella storia dei Mondiali come unico calciatore ad avere segnato una cinquina in una sola gara e di vincere la classifica cannonieri del Mondiale in coabitazione con Hristo Stoichkov.

Un record pazzesco, capace di mettere in sordina l’altro evento da guinness che si verificò in quella partita: il gol della bandiera per il Camerun venne infatti realizzato da Roger Milla, che diventò il giocatore più anziano a segnare nella massima competizione internazionale con i suoi 42 anni e 39 giorni.

Ma non fu l’unico record che Salenko fu capace di timbrare quel giorno. Diventò infatti anche il primo capocannoniere dei Mondiali sia a livello Under 20 che con le nazionali maggiori.

Il declino

Sembrava un nuovo inizio, un segnale che lasciava presagire fasti importanti anche per il prosieguo della carriera di un giocatore ancora giovane e nel pieno della sua maturità calcistica. Nulla di tutto questo: grazie all’impressione destata, Salenko viene immediatamente ingaggiato dall’ambizioso Valencia ma il suo acquisto si rivela un bluff: 7 gol in tutta la stagione e cessione ai Rangers con i quali, se possibile, l’avventura, anche a causa di continui problemi fisici, è ancora più disarmante e lo porta a girovagare senza meta in Turchia, ancora in Spagna e infine in Polonia, fino al ritiro dopo una mesta annata al Pogon Stettino.
Un’inesorabile parabola discendente che lo portò nuovamente ai margini della Nazionale dove, dopo quella cinquina, racimolò la miseria di altre 6 partite senza mai andare a segno, per uno score totale di 8 presenze e 6 gol.
Ma quel che conta e che rimarrà ai posteri è quanto fu in grado di inventarsi in quel torrido pomeriggio americano, nell’occasione più importante, che lo rese indimenticabile agli occhi degli appassionati e che gli permette di diritto di essere considerato ancora oggi l’emblema degli eroi nascosti, il simbolo della rivincita dei Carneadi. Forse questo può valere quanto una carriera di successo?

Lothar Matthäus ha appeso gli scarpini al chiodo annunciando il suo definitivo ritiro dal calcio giocato. No, non siamo arrivati tardi di 18 anni rispetto alla sua partita d’addio giocata nel 2000 dopo l’ultima eclettica esperienza in America, nei Metro Stars.

Campione del Mondo con la Germania nel 1990 e Pallone d’Oro lo stesso anno, il primo a ottenere questo riconoscimento con la casacca dell’Inter, Matthäus questa volta ha davvero detto basta. Ma prima, aveva un ultimo desiderio da realizzare nonostante i tanti, tantissimi successi. Con oltre 750 presenze tra Borussia Mönchengladbach, Bayern Monaco e Inter e ben 150 gettoni con la Die Mannschaft, al carismatico centrocampista mancava una sola partita.
Una partita d’affetto e di amore: giocare ancora un’ultima volta con il club della sua adolescenza, la squadra da dove ha spiccato le ali sul finire degli anni Settanta, l’Fc Herzogenaurach.

Il 57enne ha chiuso il cerchio della sua vita sportiva, tornando alle radici: domenica 13 maggio ha indossato la fascia di capitano e la maglia azzurro scuro, si è accovacciato per la “consueta” foto di gruppo prima del fischio iniziale e ha giocato 50 minuti nella vittoria per 3-0 dei padroni di casa contro lo SpVgg Hüttenbach-Simmelsdorf. Davanti a mille tifosi, nell’ultimo match della Bavarian Landesliga, sesta categoria nella piramide calcistica tedesca.

Dalle giovanili alla prima squadra, passando per l’under 17 e l’under 19, Lothar Matthäus deve tutto alla società di Herzogenaurach che, nel 1979, ha accettato di cedere il promettente centrocampista al Gladbach. Da lì un’ascesa unica che l’ha portato a vincere (ci perdonerete per il lungo elenco) sette Meisterschale, tre Dfb-Pokal e una Supercoppa di Germania con il Bayern Monaco, uno Scudetto e una Supercoppa italiana con l’Inter, un campionato americano con la compagine dei New York Metro Stars, due Coppe Uefa, un Europeo con la Germania e il Mondiale 1990.

L’iniziativa è stata supportata dalla Puma, sponsor tecnico della formazione, e che proprio a Herzogenaurach, 70 anni fa, ha fondato il suo quartiere generale. La città a 200 chilometri da Monaco, infatti, è famosa per aver visto nascere dalla stessa costola familiare sia l’Adidas che, appunto, la Puma. Un paese diviso, fatto di gelosie e antipatie al punto da essere soprannominata “la città dei colli piegati”: una persona, prima di salutare e iniziare una conversazione con un’altra persona, controllava quali scarpe avesse addosso.

Ma nell’ultimo match da professionista di Lothar, che nel frattempo ha intrapreso una vincente carriera da allenatore, non si è pensato a questo. Era il suo sogno, ha detto a fine gara abbastanza sudato e provato. Ha ammesso di esser stato poco utile in copertura, ma ha provato qualche giocata di classe e qualche colpo che gli riesce ancora bene.

Però deve rassegnarsi: nonostante sia il detentore del record per numero di partecipazioni a un Mondiale (cinque  insieme al messicano Antonio Carbajal e all’italiano Gianluigi Buffon) e il calciatore con più presenze assolute nelle fasi finali della rassegna iridata, ben 25, non è stato inserito dal ct Joachim Löw  nella lista dei convocato per Russia 2018.

Eterno “panzer” Lothar!

IL PILOTA PIÚ GIOVANE

Si chiama Tyr Goldsmith Tyr, ha 19 anni, arriva dall’Islanda, gareggia con il numero 139 ed è il più giovane tra i piloti in gara.
Ha cominciato a volare quando aveva appena 14 anni, grazie anche alla passione trasmessa dal padre Bruce Goldsmith, a sua volta parapendista, di origine britannica, campione del mondo nel 2007. Tyr si racconta:

All’inizio quando ero piccolo ho cominciato con il kite surf, poi un giorno ho provato il parapendio e ho visto i miglioramenti che facevo giorno per giorno. A quel punto ho capito le possibilità che questo sport poteva aprirmi e da allora è diventato il mio sport. Quest’area è davvero eccezionale per il volo, si può passare dalle montagne alla pianura davvero in poco tempo, con un’ottima varietà di paesaggi e condizioni. Spero di imparare molto in questo campionato, ho la possibilità di competere con i migliori piloti del mondo e capire meglio come gestire gare di alto livello

 

 

IL PILOTA PIÚ ANZIANO

Non ci dice quanti anni ha, ma ci racconta che vola da quando aveva 16 anni e ormai sono quasi 44 anni che vola. Lunga esperienza quindi per il lussemburghese Etienne Coupez, unita a grande senso dell’ironia.
Gareggia con il numero 146 ed è l’unico pilota in gara a difendere i colori del Lussemburgo. Le sue parole:

È molto bello volare qui: ci sono montagne bellissime e pianure che lanciano grandi sfide. E i paesaggi che possiamo vedere dall’alto sono davvero molto interessanti. Negli anni passati avevo volato nelle zone di Bassano, ma ora con questo Mondiale ho l’opportunità di conoscere da vicino anche questa zona

 

LA RIVELAZIONE TRA LE DONNE

È australiana la donna rivelazione di questo Mondiale. Kari Ellis gareggia con il numero 61 e, con grande sorpresa di tutti (sua per prima), sta insidiando da vicino, nella categoria donne, la campionessa del mondo in carica Seiko Naville Fukuoka e la nostra Silvia Buzzi Ferraris posizionandosi nel terzo gradino di un podio che da anni ormai apparteneva a Francia e Italia. Il suo sguardo ci fa capire la differenza tra Italia e Australia:

È la prima volta che volo nelle Alpi ed è in assoluto la prima volta che sorvolo montagne grandi come queste. In Australia abbiamo grandi pianure e montagne molto piccole. Ironicamente, tuttavia, la cosa più difficile in questi giorni è stato proprio sorvolare i tratti di pianura, perché presenta condizioni assolutamente diverse da quelle australiane

 

Fonte: comunicato stampa