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Arriva un punto esatto della carriera manageriale dove il più giovane e allievo mette la freccia e sorpassa il più anziano (o meglio dire del più esperto), con cui magari hanno passato anni sportivi assieme, tra vittorie e delusione. Giovedì 25 settembre, nella notte del terzo turno di Coppa di Lega inglese è successo proprio questo: da una parte Frank Lampard, ex leggenda del Chelsea, ora allenatore del Derby County (in Championship), dall’altra José Mourinho, attuale allenatore del Manchester United, ma che a Londra ha scolpito il suo nome nella storia.

E ancora, da un lato il centrocampista che è sceso in campo ininterrottamente dal 2001 al 2005, arrivando al record di 164 gare consecutive; di fronte il manager portoghese che, arrivato nel 2004, con i suoi modi di fare e di intendere il pallone ha portato i Blues a tre Premier League, tre Coppe di Lega, un Community Shield e una Coppa d’Inghilterra.

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E così il passato si affaccia nel presente e fa lo sgambetto: il Derby County ha sbancato l’Old Trafford ai calci di rigore, dopo il 2-2 al novantesimo. A Mourinho non basta il gol di Juan Mata al 3′: al 59′ gli ospiti riaprono i conti con Wilson e a complicare le cose ci pensa il portiere Romero, espulso al 67′ per fallo di mano. Il gol di Marriott all’85’ porta gli ospiti addirittura avanti, prima del 2-2 messo a segno da Fellaini nel recupero. Ai rigori passano gli ospiti 8-9, con l’errore decisivo di Philip Jones dal dischetto.

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Manchester United eliminato dalla Coppa, un brutto ko dopo un avvio di stagione insoddisfacente al punto che Lampard alla vigilia del match aveva detto: «We’re both in a sack race», ovvero entrambi rischiano l’esonero. Sì perché se lo United è lontano dalla vetta della Premier League, il Derby singhiozza, è sesto, a soli due punti dal primo posto, ma non sta ancora dando quella sicurezza e stabilità di rendimento.

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Ma Frank torna a casa con un enorme sorriso e una grande iniezione di fiducia che corona una settimana indimenticabile, anzi cinque giorni: venerdì ha annunciato la nascita di sua figlia, sabato è tornato alla vittoria in campionato battendo 3-1 il Brentford e giovedì notte l’impresa di Manchester.

Well done, Frank!

Chiusasi la parentesi Champions League stasera torna anche l’Europa League, con tante partite suggestive e con tante squadre accreditate a fare bene nella seconda competizione continentale.

Tra queste c’è sicuramente il Chelsea di mister Sarri. I blues scenderanno in campo in Grecia contro il Paok Salonicco alle 18.55, match del girone L.

L’atmosfera a Salonicco sarà caldissima, la tifoseria greca è molto accesa. Per il Chelsea non sarà una passeggiata anche se la differenza tecnica tra le due squadre è netta.

L’ex allenatore del Napoli farà un leggero turnover rispetto al match di Premier League di sabato scorso vinto in casa contro il Cardiff city. A casa sono rimasti il difensore David Luiz, Kovacic e Hazard. Il brasiliano è  a Cobham per rifiatare; il centrocampista croato ha un piccolo infortunio ed è a riposo mentre il numero 10 belga è un po’ stanco dopo gli impegni in nazionale.

Ci sarà invece il centrocampista campione del mondo N’Golo Kanté. Il numero 7 dei blues è perno fondamentale della squadra e difficilmente Sarri (così come per Conte) se ne priva. Calciatore forte e intelligente, ma uomo timido e umile.

Curiosa è la storia di qualche giorno fa quando Kanté ha accettato l’invito a casa di un suo tifoso, conosciuto  casualmente in una moschea di Londra.
Perso il treno Eurostar che avrebbe dovuto portarlo a Parigi, il francese ha deciso di cercare una moschea nelle vicinanze della stazione dove andare a pregare. Lì ha incontrato J, tifoso e grande estimatore proprio di Kanté. Dopo aver scambiato due chiacchiere, J lo ha invitato a cena a casa sua, e, con grande sorpresa, il centrocampista ha accettato. Per loro cena e qualche partita alla playstation.

Tra i convocati, anche se con ben altro spirito, c’è anche lo spagnolo Alvaro Morata. L’ex attaccante della Juventus non è ancora riuscito a dimostrare il suo valore con la maglia del Chelsea e per gennaio spunta l’idea trasferimento. L’altro club londinese il West Ham ci sta pensando seriamente così come un pensierino lo sta facendo anche il Napoli, per un gradito ritorno in Serie A.

In principio fu l’Empoli a stregare addetti ai lavori e appassionati di calcio. Poi il salto in una grande piazza calcistica, tanto esigente quanto capace di esaltare il bello. Napoli. Ora Londra e il Chelsea hanno capito che quel signore in tuta e sigaretta ha una sua filosofia e un verbo da far conoscere al mondo intero. Fu Arrigo Sacchi il primo ad accorgersi che Maurizio Sarri non era un ciarlatano: andando oltre i risultati, perché non si vive solo di trofei alzati.

O meglio prima di tutto questo,  perché l’allenatore 59enne ha fatto del football una continua ricerca del piacere, frutto di studi e nozioni coltivate negli anni, fin da quando lavorava in banca e la panchina era solo un piacevole passatempo. L’estetica del suo calcio è ormai diventato una sorta di mantra, offre continuamente spunti di riflessione, luccichio per gli occhi e nuove grane per gli avversari. Ma c’è tanta sostanza, tanta preparazione alle spalle se pensate che il tecnico cresciuto nella provincia di Arezzo si è diplomato a Coverciano nel 2006 con la tesi “La preparazione settimanale della partita”.

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Una forma di bellezza, una filosofia che è ormai riconosciuta come “Sarrismo”. Idolatrata, abusata, copiata, letta su tutti i quotidiani sportivi al punto che la Treccani ha deciso di inserire il termine all’interno del suo vocabolario. È stata infatti la grande Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti ad annunciare, attraverso il proprio account Twitter, il nuovo neologismo.

Da una parte lui, dall’altra “Guardiolismo”Cholismo”: simile il primo per obiettivi e interpretazione, mentre quello dell’argentino Simeone, apprezzato all’Altetico Madrid, è più legato al temperamento e alla componente mentale e fisica che non a quella strettamente tecnica. Con i partenopei Sarri ha quasi dimostrato di poter vincere lo scudetto, perso alla distanza dopo un’entusiasmante testa a testa contro la Juventus. Londra attende, c’è una storia da cambiare perché come dice il profilo Twitter “Sarrismo”: La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene un giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno della bellezza (Albert Camus, L’uomo in rivolta).

È stato uno dei talenti calcistici italiani di assoluti rilievo, uno dei primi ad essere apprezzato appieno anche in un campionato importante e con una tifoseria particolare come è quella inglese.

Stiamo parlando di Gianfranco Zola, uno dei simboli più puri del concetto di Italians. Nei sui anni trascorsi a Londra nel Chelsea ha davvero dimostrato l’essenza di uno sportivo italiano in terra straniera.

Il fantasista sardo, tra il 1996 e il 2003, è riuscito a farsi apprezzare non solo dai tifosi Blues ma da tutti gli inglesi appassionati di calcio. Le prestazioni e la correttezza dimostrata in campo gli avvalgono anche del soprannome Magic Box.

Sette stagioni in Inghilterra e nomina come Membro dell’Ordine dell’Impero Britannico dalla regina Elisabetta. Al suo arrivo l’allenatore era l’ex campione del Milan, Ruud Gullit.

Con la maglia del Chelsea 311 presenze e 80 reti, con la conquista di due coppe d’Inghilterra, una coppa di Lega, una Charity Shield, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Europea. A livello personale, innumerevoli premi come il Giocatore dell’anno della FWA nel 1997 oltre che l’ingresso nella British Hall of Fame.

Nel 2003, inoltre, è stato votato come il miglior giocatore della storia del club e nessun altro ha avuto il coraggio di indossare la sua maglia numero 25, forse un po’ troppo “pesante”.

Ogni punizione calciata da Zola era una sentenza, pochi difensori riuscivano a reggerlo in velocità e i suoi tocchi morbidi a superare gli estremi difensori avversari sono ancora impressi agli appassionati. Ma non furono solo le sue qualità tecniche a far innamorare i tifosi dello Stamford Bridge. Le straordinarie qualità atletiche quali la straripante agilità e velocità, grazie al baricentro basso, ma anche la sorprendente resistenza unite all’impeccabile etica del lavoro e allo spirito di sacrificio, fecero del calciatore sardo uno dei giocatori più forti.

Ai tempi di Londra non era l’unico italiano nel Chelsea. In quegli anni altri calciatori della Serie A, volarono a Londra per provare l’esperienza inglese. Nel 1998 erano addirittura quattro, e tutti titolari, gli azzurri presenti in rosa. Prima del fantasista sardo, Gianluca Vialli, poi l’arrivo dalla Lazio di Roberto Di Matteo e di Pierlugi Casiraghi. Una squadra unica che nel 1999 vide addirittura la figura di Vialli come allenatore e giocatore.

Tra tutti però spiccava la classe e il talento del piccolo sardo, giunto a Londra con molto scetticismo da parte dei tifosi che però in poco tempo si sono ricreduti. Uno dei tanti che rimase folgorato subito da Zola è stato il difensore Scott Minto al suo arrivo allo Stamford Bridge:

Quando arrivò e l’abbiamo visto allenarsi per la prima volta: fu qualcosa di speciale, che non avevo mai visto prima.

Ma Gianfranco Zola non era amato solamente per ciò che riusciva a fare con la palla, Minto sapeva che

Era davvero un ragazzo fantastico. Uno dei motivi per cui lo reputo uno dei più grandi giocatori coi quali ho giocato non ha a che fare col talento, ma col suo essere un uomo-squadra. Era sempre pronto ad aiutarti, a restare di più dopo l’allenamento per farti migliorare, per spiegarti i suoi segreti. Era un professionista esemplare, ma sapeva cos’era lo spirito di squadra. Avevamo altri giocatori forti in quel periodo, ma lui era il migliore di tutti. Il migliore con cui abbia mai giocato!

Un calciatore che è entrato nel cuore di tutti in Inghilterra. Tutti lo ricordano per le sue giocate o per i suoi gol fantastici

A dir la verità è capitato che qualcuno non lo abbia riconosciuto. Un piccolo episodio di quiproquò è successo lo scorso novembre quando, prima del match Chelsea – Tottenham, l’ex campione sardo è stato fermato da uno steward dello Stamford Bridge che non voleva farlo entrare. In quella specifica situazione è stato addirittura l’ex capitano inglese del Manchester Utd, Rio Ferdinand, a difenderlo dicendogli:

Ragazzo, ti conviene farlo entrare, questo campo è suo!

Dopo l’esperienza da calciatore è tornato nuovamente in Inghilterra come allenatore e come commentatore tecnico delle partite di Premier. Da mister tre sfortunate parentesi con West Ham, Watford e Birmingham City.

Insieme a Vialli, Zola e Di Matteo ha preso parte alla spedizione degli Italians allo Stamford Bridge. Con Gianluca Vialli allenatore/calciatore ha vinto una  Supercoppa europea a Montecarlo ai danni del Real Madrid il 28 agosto 1998.

È Pierluigi Casiraghi, ex calciatore (tra le altre) di Lazio e Juventus e della Nazionale italiana.

Ha da poco compiuto 49 anni e ha intrapreso la carriera di allenatore, così come proprio i suoi ex compagni ai tempi del Chelsea. In effetti tra le esperienze più importanti come allenatore, sicuramente è da considerare quella da commissario tecnico dell’Under 21.

La sua carriera, però, è stata falcidiata da molti infortuni che ne hanno condizionato il rendimento e la costanza nel gioco.

L’approdo a Londra non è stato fortunatissimo, a parte la vittoria della Supercoppa.

Il viaggio in direzione Londra è stato possibile soprattutto grazie alla bella esperienza al Mondiale 1994 con la nazionale azzurra. Insieme a Roberto Baggio e agli altri  sono riusciti ad arrivare sino alla finale, battuti solamente dal Brasile di Romario. Con gli azzurri ha preso parte anche a Euro 1996 in Inghilterra nel quale ha realizzato anche due reti.

In realtà le aspettative in Premier League erano state altre soprattutto perché Casiraghi ne aveva di talento. Talento però spezzato in un pomeriggio dell’8 novembre 1998, a 29 anni. L’attaccante si frattura il ginocchio in più punti in seguito a uno scontro con Shaka Hislop, portiere del West Ham Utd.

La violenza dell’impatto è stata tale che Casiraghi non ha ripreso più a giocare a calcio a livello professionistico. Nonostante i numerosi interventi chirurgici, Casiraghi non riesce a recuperare dal grave infortunio ed è stato costretto ad abbandonare la carriera a soli 31 anni.

Al nono tentativo, finalmente, l’ha messa dentro. “Tabù” forse è una parola concettualmente larga e inappropriata, ma dinanzi a Messi che frantuma record su record e che impegna tutti quanti a trovargli un punto debole nelle statistiche intergalattiche o un qualcosa che non ha ancora fatto, c’era questa “astinenza”: negli otto incontri precedenti in cui il talento argentino ha affrontato il Chelsea, infatti, era rimasto sempre a secco. Prima del match di martedì 20 febbraio, andata degli ottavi di Champions League, a Stamford Bridge. Un gol prezioso e fondamentale (…e ti pareva), quello del definitivo pareggio per 1-1.

Croce rossa, dunque, sul club londinese che finisce nell’infinito elenco delle squadre “matate” dalla pulga argentina. Meno lunga, ma reale e curiosa è, invece, la lista delle formazioni che hanno dimostrato di avere la pellaccia davanti alla furia di sua maestà Leo. Va detto che, in alcune di queste partite, Messi aveva ancora la maglio numero 30, si stava affacciando in prima squadra a singhiozzi lui cresciuto nella cantera e che accanto aveva totem sacri come Larsson, Eto’o, Ronaldinho e anche Giuly.
Sono rimaste ancora poche squadre in giro che, a mo’ di spilla al petto, potranno dire un giorno di aver bloccato il giocatore più temuto nel nuovo millennio. Consigliamo, però, di aspettare il ritiro ufficiale di Messi perché siam certi che questa classifica e questo pezzo verranno aggiornato più e più volte.

Infatti, già nel weekend del 24 febbraio 2018, abbiamo dovuto aggiornare questo articolo perché Messi, ancora a secco contro i dirimpettai del Girona, ha segnato una doppietta.

Uda Gramenet

Bisogna riavvolgere le lancette e partire dal 2004, l’anno in cui Messi mette piede per la prima volta al Camp Nou con la maglia dei grandi del Barcellona. Il 16 ottobre 2004, infatti, arriva l’esordio in prima squadra contro l’Espanyol (match mai banale) che lo rende il terzo giocatore più giovane a vestire la maglia del Barcellona e il più giovane a esordire nella Liga (record battuto solo dall’ex compagno di squadra Bojan Krkić nel settembre del 2007). Undici giorni dopo l’esordio, il 27 ottobre, il Barcellona gioca la Copa del Rey sul campo dell’Uda Gramenet, team di Segunda Divsion B, la terza serie spagnola. L’impresa è servita: la squadra di Santa Coloma de Gramenet, 116mila abitanti, passa il turno grazie alla rete di Ollés al 103’. Impresa nell’impresa è la prima squadra a cui Messi non ha segnato.

Udinese

L’anno dopo, il 27 settembre 2005, il Barcellona sfida l’Udinese nel Gruppo C di Champions League. La tripletta di Ronaldinho e il gol di Deco demoliscono i sogni di gloria della squadra italiana che trova il momentaneo pari con Felipe. Ma contro De Sanctis, Berotto, Zenoni, Felipe e Candela, Lionel Messi resta a bocca asciutta.

Cadice

Nel 2005, Messi poteva vestire la maglia del Cadice che voleva agguantare il talento cristallino salvo poi scontrarsi con il rifiuto di Rijkaard che aveva in mente ben altri piani. E contro il Cadice, sempre lo stesso anno, l’argentino si scontra a metà dicembre per la 16agiornata di Liga. Vincono i blaugrana con due reti del camerunense Eto’o e Giuly. Messi non segna, al ritorno manca l’appuntamento per infortunio e da allora non ha ancora avuto modo di incontrare quella che poteva diventare la sua squadra.

Real Murcia

Altra squadra incontrata solo una volta (non era presente negli altri match) è il Real Murcia. Facciamo un salto nella stagione 2007-2008, annus horribilis chiuso al terzo posto e a ben 18 punti di distacco dal Real Madrid campione. Di certo non può essere un conforto il 5-3 contro il Real Murcia con cui il Barcellona chiude la Liga: tripletta di Giovani dos Santos, poi Henry e il solito Eto’o. Per Messi solo due assist e niente più.

Al-Sadd

Nell’inverno del 2011, il Barcellona demolisce il Santos di un giovane Neymar nella finale del Mondiale per club. Messi segna due reti, ma invece non riesce a trovare la via del gol nella semifinale, vinta nuovamente 4-0, contro l’Al-Sadd, team del Qatar.

 

Liverpool

Dopo il Chelsea, l’altra squadra inglese a esser uscita indenne è il Liverpool di Rafa Benitez, quello della finale contro il Milan del 2007. Mentre Kakà impazza sui campi d’Europa (viene eletto, infatti, miglior giocatore del torneo) il Barcellona, in casa, si squaglia davanti alle reti di Bellamy e Riise. La rete in apertura di Deco lascia spazio a una possibile rimonta ad Anfield, ma il Barça vince solo 1-0 con Gudjohnsen. Il Liverpool va ai quarti e Messi non avrà modo di rifarsi anche perché i Reds escono dalla scena europea per 11 anni.

Xerez

Contro lo Xerez, Messi ha una ragionevole scusa per non aver avuto mai fortuna sotto porta. Anche se ha giocato solo due volte contro la squadra spagnola nella Liga 2009-2010, in entrambe le circostanze è stato sostituito nel secondo tempo da Pep Guardiola.

Inter

Sempre quella stagione, l’altra italiana indenne: l’Inter. Barcellona – Inter si sono incrociati ben quattro volte in Champions (girone di qualificazione e drammatica semifinale)…beh sapete come andata e sapete anche che Messi non è riuscito a segnare a Julio Cesar nelle tre volte in cui è sceso in campo contro i neroazzurri.

Benfica

Messi avrebbe potuto incontrare il Benfica già nel 2006, nei quarti di finale di quella Champions League poi alzata in faccia all’Arsenal in una finale elettrizzante, ma saltò entrambi i match per infortunio. Bisogna aspettare la stagione 2012-2013: nel Gruppo G, Messi incontra le aquile portoghesi sia all’andata che al ritorno, ma nel primo incontro bastano Alexis Sanchez e Fabregas, mentre nell’altro finisce 0-0 (e il ragazzo di Rosario subentra dalla panchina giocando mezz’ora).

Rubin Kazan

E poi, per finire, una spruzzata di Russia. Il Rubin Kazan sa essere sorprendentemente rognoso quando si trova davanti ai blaugrana e nemmeno il 5 volte pallone d’oro è riuscito a scardinare la retroguardia avversaria. Quattro match, una vittoria, due pareggi e una sconfitta. Storica e memorabile la vittoria del Rubin, al Camp Nou, per 2-1 nell’ottobre 2009 grazie ai gol di Ryazantsev e Gökdeniz Karadeniz. E di Messi nemmeno l’ombra (almeno sul taccuino degli arbitri).

Sembra essersi rotto l’incantesimo tra Antonio Conte e il Chelsea.

Dopo il primo trionfante anno alla guida dei Blues, il tecnico leccese non riesce più a dare anima alla squadra e ne è un ulteriore cenno la sonora sconfitta per 4-1 contro il Watford in Premier League.

Una vera e propria batosta che ha scosso l’ambiente della squadra, sin dai piani alti della società guidata dal magnate russo Abramovich.

La scorsa stagione la squadra di Conte è stata una vera macchina da guerra, macchina che però s’è inceppata soprattutto nelle ultime settimane. Il mercato ha portato alcuni nuovi innesti come il terzino italobrasiliano Emerson Palmieri e l’attaccante francese Giroud, che però non hanno avuto modo di entrare ancora appieno nei meccanismi della squadra londinese.

Sebbene quasi sicuramente a fine stagione il tecnico lascerà la panchina, i bookmakers inglesi (sempre pronti a scommettere sugli esoneri degli allenatori) hanno addirittura sospeso le giocate sull’esonero del pugliese. Tale situazione non è dovuta solamente dal pessimo ultimo risultato, ma anche una riunione del board dei Blues convocata per esaminare la posizione del manager. In questo caso, due le soluzioni praticabili: avanti con Conte, oppure licenziamento immediato.

Se si dovesse decidere per un licenziamento, le strade alternative non sono molte e quelle poche sono anche difficili da praticare. Complice l’assenza di Steve Holland, spesso alternativa interna in queste situazioni, ma che non lavora più per la squadra di Abramovich. In pratica con l’addio di Conte, comunque tutto lo staff sarebbe messo alla porta e quindi non si troverebbe nessuno all’interno del team per sostituire il tecnico italiano. In questo caso, Abramovich potrebbe affidarsi a un Hiddink III, traghettatore fino a giugno. Con un quarto posto da difendere, la FA Cup ancora in ballo e la doppia sfida difficilissima con il Barcellona in Champions, sarebbe un azzardo.

Ed è per questo che per ora si dovrebbe andare avanti con Conte. Il tecnico cercherà di ripartire dando la carica giusta per la parte più importante della stagione.

In effetti la società così come la squadra è con lui.

Tuttavia per una soluzione a largo respiro, bisogna confrontarsi con altri problemi. Il favorito è lo spagnolo Luis Enrique. Gli altri nomi nella lista indicata dal giornale inglese Telegraph (Allegri, Sarri, Rodgers, Simeone, Zidane) sono impegnati con altri club.

L’ex commissario tecnico della Nazionale italiana Antonio Conte, attuale allenatore del Chelsea, ha parlato in conferenza stampa alla vigilia della trasferta di Premier League dei suoi blues sul campo del West Bromwich Albion, del momento nero vissuto dagli Azzurri: 

Mancare i Mondiali dopo sessant’anni è un disastro. Ora la FIGC si prenda tempo per trovare la giusta soluzione. Non è di certo un grande momento per il mio Paese. Mancare i Mondiali dopo sessant’anni è un disastro, tutti sanno benissimo quanto sia importante il calcio in Italia. Ma è successo e di sicuro la Federazione deve trovare la soluzione giusta per migliorare questa situazione“.

E su un suo possibile ritorno alla guida della Nazionale ha aggiunto:

Penso sia molto difficile in questo momento, non è semplice. Ci sono tante voci ma penso che la FIGC debba prendersi il tempo giusto per trovare la giusta soluzione per il calcio italiano. Io in questo momento sono molto concentrato sul Chelsea. Sono qui per creare un progetto a lungo termine, ci sono tante cose da fare”.

Tornando sui problemi del calcio italiano l’ex allenatore della Juventus sottolinea:

“Sarebbe assurdo pensare che solamente con la nomina di un nuovo c.t. si possano risolvere tutti i problemi. Un allenatore va messo nelle migliori condizioni per lavorare. Non basta affidare a una persona l’incarico, un tecnico deve essere aiutato risolvendogli problemi, non ponendo ulteriori ostacoli sulla sua strada. Personalmente, l’esperienza da c.t. mi ha aperto gli orizzonti, ora capisco meglio quali siano le esigenze dei commissari tecnici e per questo ci dialogo volentieri”.  

Per un calciatore di qualsiasi categoria o nazione, i fischi fanno parte di un contesto molto presente nei rettangoli di gioco.
È una forma di contestazione frequente da parte dei tifosi, soprattutto in periodo di crisi di risultati o di scarsità di gioco. I fischi sono sovente rivolti anche ai calciatori cosiddetti “traditori”, un esempio recentissimo può essere Higuain, passato dal Napoli alla Juventus con tanti rumors; è successo a Ronaldo il fenomeno, trasferitosi al Milan dopo gli anni trascorsi all’Inter.

Negli ultimi tempi fortissimi fischi sono rivolti ad alcuni calciatori quando indossano la maglia della propria Nazionale. Mugugni e critiche non per la scarsità d’impegno in campo ma disapprovazioni legati proprio al fatto di indossare quella specifica maglia.

Un caso molto attuale è legato all’attaccante tedesco, Timo Werner. La punta centrale della nazionale tedesca, con ben sei reti realizzate nelle ultime cinque apparizioni con la nazionale tedesca, viene puntualmente punzecchiato dai supporters tedeschi non appena entra in campo. Il motivo? Semplice. Il giovane calciatore classe ’96 è reo di essersi trasferito nel RasenBall Lipsia dallo Stoccarda. Il RB Lipsia è una delle squadre più odiate di Germania per via della proprietà del club in mano alla Red Bull. È una squadra che, per i puristi, non rappresenta l’integrità del calcio tedesco perché creata da zero, senza passato e tradizione. Insomma, di latta. Werner ha preso la decisione di lasciare lo Stoccarda (la squadra della sua città) nel 2016 per accasarsi nel club più odiato del Paese.

Paradossale, poi, sapere che il giovane attaccante soffre anche di un problema d’udito: sembra che il rumore e quindi anche frastuono degli stadi più caldi d’Europa gli crei fastidi fisici che non gli permettono di giocare. In Champions League, nel settembre 2017, il Lipsia ha giocato in trasferta contro il Besiktas, squadra turca con uno dei tifi più focosi. Wernen, nonostante abbia provato a giocare con i tappi alle orecchie, è stato sostituito per un malore che gli ha accusato problemi respiratori e di circolazione.

Ma i fischi non punzecchiano solo Timo. Sorte simile è capitata al brasiliano ma con passaporto spagnolo, Diego Costa. L’attuale attaccante del Chelsea, dopo le strabilianti stagioni a Madrid sponda Atletico, dinanzi al bivio nazionale Brasile – Spagna, ha scelto di accasarsi  con le Furie Rosse. Le prestazioni poco esaltanti non hanno certo aiutato il bomber a trovare feeling con la nazionale iberica e i suoi ex tifosi brasiliani ci hanno riso su. In effetti, sin dalle prime apparizioni, Diego Costa è stato sommerso di fischi da parte dei tifosi brasiliani sugli spalti oltre che da insulti con l’invito di starsene in Spagna e rinnegare le sue origini.

Anche per un calciatore della nazionale italiana c’è stato un caso di questo genere. Il protagonista in questione è l’italobrasiliano, Thiago Motta. Durante il Mondiale 2014 in Brasile è stato letteralmente immerso di fischi da parte dei suoi ex connazionali. Il centrocampista del Paris Saint Germain non ha mai rivolto parole velenose nei confronti del suo paese natio, semplicemente ha più volte sottolineato di sentirsi italiano e quindi onorato di indossare la maglia azzurra. I fischi non l’hanno colpito più di tanto, “Mi sento italiano e quindi va bene!”, ha ribadito più volte Motta.

La finestra di calciomercato estiva si è chiusa con molti colpi di scena. Se a Parigi si è conclusa la telenovela Mbappé dal Monaco al Psg, sull’asse Torino – Londra c’è stato un affare che si è deciso e definito in poche ore: il passaggio dell’ex terzino granata, Davide Zappacosta, alla corte di Antonio Conte al Chelsea.

Un trasferimento che ha del clamoroso, proprio perché mai si era pensato di un possibile acquisto da parte della squadra di patron Abramovich per il difensore ex Toro.

Ottima plusvalenza per Urbano Cairo che, reggendo il pressing su Belotti di molte squadre europee, ha invece preferito cedere il laterale, sostituendolo con il terzino Ansaldi dall’Inter e il centrocampista offensivo Niang dal Milan.

La decisione di Antonio Conte di affidarsi a Zappacosta è stata sicuramente dettata dal modulo tattico che predilige l’ex ct della Nazionale. Le doti sia difensive che offensive del laterale permette maggiore possibilità e vari cambiamenti. In effetti con Zappacosta in campo, il mister salentino potrà comodamente utilizzare una difesa a quattro utilizzandolo come terzino, oppure, in una difesa a tre, lo può schierare come quinto di centrocampo così come avviene con Marcos Alonso.

Proprio come l’ex difensore della Fiorentina, l’acquisto di Zappacosta ha fatto storcere un po’ il naso ai tifosi blues che magari sognavano un nome più altisonante. Tuttavia il terzino spagnolo ha, sin da subito, dimostrato di essere all’altezza della squadra londinese e ora è imprescindibile per il gioco di Conte. Stesso destino spera anche Zappacosta.

Sui social network i supporters del Chelsea si sono sbizzarriti appena saputa la notizia dell’arrivo di Zappacosta.

Non poche sono state le polemiche da parte della tifoseria inglese che, in questo caso, è sembrata un po’ troppo maliziosa, dato che conoscono bene il proprio allenatore e sa che non fa nulla per sbaglio. Chissà che invece l’ex Torino e Atalanta non diventi proprio un uomo indispensabile per gli schemi adoperati da Conte.

Tuttavia per stemperare i toni c’è chi ha ironizzato puntando sulla punzecchiatura nei confronti di un altro “Costa” presente nella rosa del Chelsea. Dopo il battibecco con il mister pugliese, l’attaccante Diego Costa è stato messo fuori rosa e c’è chi ha riciclato la sua maglia per aggiornarla con il neo acquisto.

Dal Blues all’azzurro. Prima dell’esordio con la nuova maglia, il laterale è stato chiamato dal ct Gampiero Ventura per la gara contro Israele valida per le Qualificazioni al Mondiale 2018, in sostituzione all’infortunato Spinazzola.

Dario Sette