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Sembra lontano quel 25 agosto, seconda giornata di campionato, con il Milan che va al san Paolo di Napoli facendo esordire la punta di diamante del mercato estivo, Gonzalo Higuain.

A distanza di cinque mesi tutto sembra cambiato. A san Siro questa sera l’argentino non ci sarà, volato a Londra da Sarri, e potrebbe fare l’esordio il neoacquisto Krzysztof Piatek.
Da una prima apparizione a un’altra, nuovamente contro il Napoli.

Il Pipita, infatti, è stato lanciato alla prima partita di campionato del Milan, persa dai rossoneri per 3-2, proprio contro la sua ex squadra. Tuttavia il destino ha voluto che pure Piatek cominciasse la sua nuova avventura contro i partenopei, probabile un suo utilizzo a partita in corso.

I fantallenatori si sono trovati un po’ spaesati da questa finestra di mercato invernale. C’è chi ha perso sicuramente la punta argentina e c’è chi si ritrova Piatek in una grande squadra, dopo aver fatto faville con la maglia del Genoa. I presupposti per il classe ’95 sono positivi anche se l’ambiente milanista è molto più “pesante” rispetto a quello rossoblu.

Gennaro Gattuso l’ha definito come Robocop mentre su Higuain ha ribadito che avrebbe potuto fare e dare di più al Milan.

Domani, invece, potrebbe esordire con la maglia dei blues anche l’argentino in Fa Cup contro lo Sheffield Wednesday, dopo che ha assistito il derby di Coppa di Lega contro il Tottenham dalla tribuna.

Il polacco Piatek sinora ha segnato 13 reti ed è secondo in classifica marcatori alle spalle di Ronaldo e Quagliarella a 14. Otto soltanto le marcature del Pipita, che sottolineano ancora di più l’amore mai sbocciato tra l’argentino e il rossonero.

Le strade si sono divise e il nuovo attaccante del Milan vuole regalare gol e sorrisi ai tifosi e, perché no,  un posto in Champions League.

Al polacco potrebbe far bene pensare a un piacevole esordio contro gli azzurri qual è stato quello di Alexandre Pato.  Alla prima apparizione stagionale, l’allora diciottenne brasiliano riuscì a bucare la porta campana con una rete di pregevole fattura che sancì il definitivo 5-2 dei diavoli.

Una carriera lunga 20 anni con quasi 1000 partite disputate e tantissimi trofei in bacheca. Per il portiere dell’Arsenal, Petr Cech, questa sarà l’ultima stagione.

Dirà addio il prossmo giugno a 37 anni. Una carriera ricca di trionfi, soprattutto con la maglia del Chelsea, e un incidente in campo che lo ha portato quasi alla morte  e che, certamente, gli ha segnato vita e carriera.

La speranza è quella di poter vincere qualcos’altro con i Gunners in questa sua ultima annata. In 15 anni di campionato inglese si ritiene più che soddisfatto del lavoro fatto, ed è per questo che ha intrapreso questa decisione.
Dopo John Terry e Didier Drogba, dunque, un altro storico calciatore del Chelsea di Abramovich decide di dire basta.

Il post dal suo profilo Instagram

 

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Questa è la mia 20ª stagione da calciatore professionista. Sento che è arrivato il momento giusto per annunciare il mio ritiro. Dopo aver giocato 15 anni in Premier League, e aver vinto ogni singolo trofeo possibile, sento di aver raggiunto tutto ciò che potevo conquistare. Continuerò ad allenarmi duramente con l’Arsenal nella speranza di vincere un altro trofeo entro la fine di questa annata, dopodiché guarderò al futuro per capire cosa mi riserva la vita fuori dal campo.

I ringraziamenti per i successi ottenuti insieme sono giunti anche dal Chelsea, club che lo ha portato in Premier League dal Rennes nel 2004.

Tra i pali del club londinese ha ottenuto il record di clean sheets (1024 minuti) della storia del campionato inglese, tuttora imbattuto. Quel Chelsea, guidato da Mourinho, nel 2004/05 vincerà la Premier con una sola sconfitta e 15 reti subite. È stato una delle colonne portanti di quella squadra fino al 2015. Sempre in Inghilterra, con 190 clean scheets, è il portiere con il maggior numero di partite a porta inviolata.

Con la maglia dei Blues, oltre a tante vittorie, anche il gravissimo incidente del 14 ottobre 2006 in trasferta a Reading.
A sedici secondi dal fischio d’inizio, una ginocchiata di Stephen Hunt contro la testa di Cech, gli provoca una grave frattura cranica.
Sostituito da Carlo Cudicini, è rientrato 98 giorni dopo con un caschetto protettivo, come quello usato dai rugbisti. Da lì in poi l’estremo difensore ceco è diventato “il portiere col casco”. Tuttavia, nonostante l’infortunio, è riuscito a tornare a grandissimi livelli.

Molti gli ex compagni che l’hanno voluto ringraziare e salutare

 

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I would need Millions of words to describe you, your good heart, your professionalisms and winning mentality but one picture summarise it all, Thank you my Hero @petrcech for having Golden Hands and Heart Man saved three pens and run into me like I’m a legend 🤷🏾♂️ What a career you’re gonna end in few months Love to the family 💙 De millions de mots ne suffiraient pas à te décrire toi l’homme au grand cœur, ton professionnalisme et ton envie de gagner , Mais cette photo résume bien tout, Merci mon Hero @petrcech d’avoir des mains et des gants en or Le gars arrête trois penaltys en finale et court vers moi comme si j’étais une légende 🤷🏾♂️ Bien de choses à la famille 💙

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What an unbelievable career @petrcech THE BEST EVER @chelseafc 💙 Big Pete you are and always will be in my eyes the best EVER ! We were so lucky to have you at Chelsea, the way you worked both on and off the pitch to stay at the top level for so long was inspiring 👊🏻 you were and still are always looking at ways to become better and better. I remember in training we was doing a small sided game and the game couldn’t start because you wanted the balls out of your net, I asked why? and you said because you hated any football in your goal, this is a mentality that only the best have 👊🏻 A GREAT man who I am lucky to call a friend. Good Luck mate, I know you will be just as successful in the next chapter in ⚽️ JT 💙

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Con la nazionale di calcio ceca detiene il record di presenze con 124 gettoni. Nel 2002 in Svizzera ha vinto l’Europeo di categoria con l’Under 21.

L’annuncio ufficiale non è ancora stato dato, ma è Alvaro Morata attraverso un post su Instagram a dare l’addio al compagno di squadra Cesc Fabregas, che saluta la Premier League e il Chelsea per accasarsi al Monaco.

 

All’età di 31 anni, dunque, una nuova avventura per il centrocampista spagnolo che lascia il campionato inglese dopo 4 anni e mezzo per volare in Ligue 1 nella squadra guidata da Thierry Henry che lotta per la salvezza.

L’ultima partita con la maglia dei Blues è stata giocata ieri sera in FA Cup contro il Nottingham Forest vinta per 2-0 allo Stamford Bridge, grazie alla doppietta di Morata. In realtà anche Fabregas ha avuto un occasione per segnare, ma è stato ipnotizzato dal dischetto dal portiere Steele al trentesimo del primo tempo.

Quest’ultima stagione è stata quella dell’anonimato dato lo scarso utilizzo da parte dell’allenatore Maurizio Sarri. Ma forse è da molti anni che si è perso il vero Fabregas che ha estasiato tutti con la maglia dell’Arsenal e con la nazionale spagnola.

Proprio grazie alle grandi stagioni con la maglia numero 4 dei Gunners l’ex capitano si fa notare al grande calcio come uno dei centrocampisti più di prospettiva, dotato di tantissima qualità e quantità. Imprescindibile per il gioco di Arsene Wenger e dei commissari tecnici Luis Aragonés e Vicente Del Bosque.

Con l’Arsenal gioca 391 partite realizzando 59 reti e 92 assist vincendo una Fa Cup nel 2004/05 e una Community Shield nel 2004.

Il ritorno al Barcellona è stato quello da favola dato che lui è cresciuto nella cantera blaugrana e che ha lasciato quando aveva sedici anni. Il club spagnolo lo acquista alla cifra di 40 milioni di euro e fissando una clausola di 200. Con il Barcellona vince quasi tutto anche se l’amore non sboccerà mai con la società e con i tifosi. Nonostante i blaugrana siano la squadra più forte in circolazione, Cesc Fabregas decide di lasciare nuovamente la Spagna per accettare la proposta del Chelsea del presidente Abramovich.

I Bleus lo comprano alla cifra di 33 milioni di euro e alla prima stagione risponde come uomo assist. Ben 25 passaggi vincenti e 5 reti e vittoria della Premier League nel 2014/15. Nelle ultime stagioni il suo rendimento è calato e non ha più quella freschezza atletica di un tempo nonostante abbia ancora 31 anni.

Ora sarà il francese Henry a cercare di recuperarlo del tutto così che possa dare un contributo importante al Monaco in ottica salvezza.

Chiamatelo pure Special Once. C’era una volta lo Special One strabiliante, quello della Champions League impossibile al Porto e dell’ancor più assurdo triplete dell’Inter del 2010. E in mezzo l’amore più bello con il Chelsea ambizioso di Abramovich e la prima Premier League vinta dopo 50 anni. Quel José Mourinho che in dodici anni, dal 2003 al 2015, ha rivoluzionato il calcio europeo tra Portogallo, Inghilterra, Spagna e Italia, portando a casa 22 titoli, non c’è più.

Quello che si toglieva la medaglia dal collo mentre il Porto alzava la Champions League, quello “padrone” del suo futuro che piangeva e abbracciava Materazzi dopo la finale di Madrid, ecco quel Mourinho che non è più artefice del suo destino. E lo dimostrano le sue ultime due gestioni, dal ritorno al Chelsea agli ultimi anni al Manchester United, da  una coincidenza di tempi beffarda: il 17 dicembre 2015 José Mourinho veniva esonerato dal Chelsea, tre anni dopo il 18 dicembre 2018, esattamente alle 9.46 orario inglese, il manager portoghese viene licenziato dal Manchester United.

 

Nell’arco temporale di tre anni, due bocciature pesanti per lo Special One, con tre glorie isolate come la conquista della Coppa di Lega, dell’Europa League e della Community Shield, con i Red Devils, nel 2017. Tre trofei, certamente importanti, ma che non hanno entusiasmato l’ambiente di Manchester abituato ai fasti di Alex Ferguson, a vincere le coppe “di Serie A” e a trionfare in Premier Leauge. Mou viene esonerato per un gioco mai decollato e apprezzato, ma anche e soprattutto per i risultati mediocri, ennesimi, in Premier. Nel complesso dei due anni e mezzo, è stato in panchina 144 volte, vincendo 84 partite, pareggiandone 31 e perdendone 29, ma pesa il sesto posto in classifica, lontani dalla zona Champions e a -19 dal Liverpool che è in testa e proprio domenica 16 dicembre vittorioso per 3-1. Pesa la gestione burrascosa con alcuni giocatori importanti dello spogliatoio dal capitano Valencia a Lukaku, ma soprattutto con Paul Pogba, la cui immagine da imbacuccato spettatore panchinaro durante la partita di Anfield è eloquente.

Per la quarta volta in carriera, Mourinho non riesce a completare l’anno calcistico all’interno della medesima società. Oltre all’ultima esperienza di Manchester e al già citato esonero di tre anni fa al Chelsea, nella carriera del portoghese, è successo solamente altre due volte e, coincidenza, ancora a dicembre: nel settembre del 2000, Mourinho lasciò il Barcellona per essere ingaggiato dal Benfica in sostituzione dell’esonerato Jupp Heynckes. Fu la prima esperienza su una panchina prestigiosa, ma dopo sole nove partite di campionato, il 5 dicembre, rassegnò le dimissioni a causa del cambio di presidenza del club.

Nel gennaio 2001 si accasò all’União Leiria, conducendo la squadra prima al quinto posto, la posizione più alta mai raggiunta dal club, e poi al terzo posto nel dicembre del campionato 2001-2002 prima di passare, ancora una volta durante l’ultimo mese dell’anno, al Porto. Esattamente la squadra da cui è partita la rincorsa verso il successo. Il successo dello Special One…ora Special Once.

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Per gli amanti del calcio non è un giorno come gli altri, tutti vorrebbero vederlo ancora correre verso la bandierina del calcio d’angolo e strisciare con le ginocchia sul prato verde del campo di gioco dopo un gol realizzato, ma la decisione è stata presa e Didier Drogba ha deciso di lasciare il calcio giocato.

Un attaccante come l’ivoriano che ha affascinato il popolo calcistico qualsiasi sia stata la squadra per cui ha giocato.

A 40 anni ha scelto di dire basta con pallone e scarpini e l’ha voluto fare ringraziando chi c’è stato e chi l’ha aiutato a farlo diventare ciò che è diventato. Parole scritte sui suoi canali social descrivendo la sua carriera ricca di successi come un viaggio iniziato sin da piccolo, seguendo quel sogno che poi è diventato realtà e quella realta che poi è diventata la sua vita.

 

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1989 or where it all started!! When I think of the last 20 years of my professional career, looking at this picture can’t make me more proud of what I’ve achieved as a player but most importantly how this journey as shaped me as a man. If anyone tells you your dreams are too big, just say thank you and work harder and smarter to turn them into reality. #alwaysbelieve I wanna thank all the players, managers, teams and fans that I have met and made this journey one of a kind!!! Also a huuuuge thank you and love to my family ♥️, my Personal Team for supporting me all my career during all the ups and downs no matter what. Looking forward to the next Chapter and hoping God will Bless me as much as he did for my football career 🙏🏾🙏🏾🙏🏾 DD11 1989 Là où tout à commencé !! Quand je pense aux 20 dernières années de ma carrière professionnelle, regarder cette photo de ma première licence, ne peut que me rendre plus fier de ce que j’ai accompli en tant que joueur mais plus important encore, comment cette aventure à fait de moi l’homme que je suis aujourd’hui. Si quelqu’un vous dit un jour que vos rêves sont trop grands, acquiescez et travaillez plus dur plus intelligemment pour les rendre réalité!!!! J’aimerai remercier tous les joueurs, coachs, équipes, et supporters, que j’ai rencontré et ont fait de cette carrière un moment très spécial. Un grand merci du fond du cœur à toute ma famille, mon « équipe personnelle » de m’avoir soutenu durant toute ma carrière, dans les bons comme dans les mauvais moments. Hâte de démarrer le prochain chapitre en espérant que Dieu me bénisse une fois de plus comme il l’a fait pendant toute ma carrière 🙏🏾🙏🏾🙏🏾 DD11 #Dunkerque #Abbeville #Tourcoing #Vannes #LevalloisPerret #Lemans #Guingamp #Marseille #Chelsea #Shanghai #istanbul #Montreal #phoenix @usldunkerqueofficiel @levalloisfootball @lemansfc.officiel @eaguingamp @olympiquedemarseille @chelseafc @shanghaishenhua @galatasaray @impactmontreal @phxrisingfc

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LE GIOVANILI IN FRANCIA E IL DEBUTTO IN LIGUE 2

Il ricordo della sua carriera parte da una foto sui campi di Niaprayodove in Costa d’Avorio dove tutto è cominciato all’età di 11 anni nel 1989. L’alternanza con la scuola, il trasferimento in Francia e le giovanili prima a Levallois e poi a Le Mans con i conseguenti debutti in prima squadra in Ligue 2, con i primi veri contratti da professionista e con le convocazioni tra gli Elefanti d’Africa di cui è ampiamente il miglior marcatore della storia con 65 reti in 105 presenze.

IL PASSAGGIO ALL’OM

Il salto di qualità avviene quando l’Olympique Marsiglia lo acquista dal Guingamp. In una sola stagione riesce a segnare molti gol in campionato e a trascinare i francesi in finale di Coppa Uefa, persa contro il Valencia per 2-0. In quella stagione ha punito anche l’Inter nei quarti di finale d’andata con il gol dell’1-0 al Vélodrome.

IL TRASFERIMENTO AL CHELSEA
Didier Drogba alla sua prima stagione con la maglia del Chelsea

La svolta della sua carriera, però, avviene l’anno successivo, quando lo stesso José Mourinho, fresco allenatore dei Blues, gli telefona per convincerlo a volare a Londra. Da quella chamata Drogba è diventato l’idolo di tutti i tifosi del Chelsea e un calciatore amato e stimato da tutti. Con il Chelsea in otto anni vince tutto, coronando il sogno della Champions League nella stagione 2011/12, segnando una quantità enorme di gol importanti in tutte le competizioni.

IL RITORNO A LONDRA, PRIMA DELL’AMERICA
Drogba con la maglia dei Phoenix Rising in Usl

Il suo amore per il Chelsea lo riporta in Inghilterra nella stagione 2014/15 dopo le parentesi in Cina e al Galatasaray in Turchia e prima del trasferimento in America, prima al Montréal Impact in Mls e poi in Usl nei Phoenix Rising.

Una carriera che gli ha permesso di essere un vincente e di essere uno dei calciatori africani più affermati a livello mondiale, oltre a essere molto vicino al suo Paese attraverso aiuti umanitari.

A dirgli addio anche alcune squadre avversarie e qualche “conoscente”

Nella lettera ha ribadito che comincerà un nuovo capitolo e ora siamo curiosi di sapere di cosa si tratta.

Mancherà un po’ a tutti Didier, ma quello che ha fatto in campo difficimelmente sarà dimenticato.

Non sappiamo se la Treccani creerà il neologismo Mourinhate seguendo la scia delle parole Cassanate, Sarrismo o Tottilatria, certo però con il gesto di ieri sera Josè Mourinho aggiunge un’altra “sceneggiata” alla lista della sua carriera da allenatore.

Al fischio finale tra Juventus – Manchester United il tecnico portoghese ha risposto agli sfottò del pubblico juventino durante il match, con un gesto che ha fatto discutere. Mano vicino all’orecchio a significare “Non vi sento! Non parlate più?”. Un’azione che ha fatto innervosire i tifosi juventini e anche i calciatori (su tutti Leonardo Bonucci) hanno voluto frenare il tecnico per l’esagerazione del suo comportamento. Anche il giornale sportivo inglese Sun sport non l’ha presa bene.

In realtà anche all’andata c’è stato qualcosa di simile. Fischi continui da parte dei tifosi juventini in trasferta all’Old Trafford per i suoi trascorsi all’Inter e il tecnico lusitano che al termine del match alza la mano destra indicando il numero tre, in ricordo del triplete nerazzurro del 2010 non ancora riuscito invece alla Juventus. Stesso gesto del numero tre alzato qualche giorno prima anche in Premier League allo Stamford Bridge di Londra tra Chelsea e i Red Devils. Mourinho risponde ai fischi del pubblico ricordando che lui è l’allenatore più vincente dei blues con i suoi tre titoli nazionali.

Mourinho che, con le tre dita, ricorda ai tifosi blues i titoli nazionali vinti col Chelsea

Ancora contro il Chelsea un altro show di questi livelli s’è tenuto quando sulla panchina blues sedeva Antonio Conte. I due pare non si amino alla follia e ciò o si è visto in campo in alcuni match tra i Red Devils e il Chelsea di Premier. Allo Stamford Bridge, finisce 4-0 e l’ex interista esplode nel finale avvicinandosi al collega dicendogli all’orecchio, ma in maniera evidente, che “no, così non va, non si esulta in questo modo, è mancanza di rispetto nei confronti dell’avversario sconfitto”.
In FA Cup avviene invece un vero e proprio faccia a faccia davanti al quarto uomo. Lo scontro continua negli spogliatoi, a quanto pare, nuovo contatto ravvicinato. E a fine gara ennesimo siluro del portoghese, stavolta contro i propri ex tifosi: “Io Giuda? Sì, ma Giuda number 1”.

Il “caldo” confronto con Antonio Conte

REAL MADRID

Ma non è la prima volta che il lusitano si rende protagonista di uscite poco eleganti. Se lo ricordano bene in Spagna soprattutto i tifosi del Barça, quando era sulla panchina dei blancos. Al termine della partita di Supercoppa di Spagna tra Real Madrid – Barcellona, vinta dai catalani per 3-2, scatta una rissa tra calciatori e panchine. Mourinho va fuori di sé e aggredisce il vice di Guardiola, Tito Vilanova, con un dito nell’occhio che gli costarono due turni di stop.

Il dito nell’occhio di Vilanova dopo il match di Supercoppa di Spagna

Da ricordare anche i “Porqué?” ancora dopo un’eliminazione del suo Real contro il Barcellona. I vari perché dopo la partita per le tante scelte sbagliate dell’arbitro del match.

INTER

Tanti i successi con l’Inter ma anche molte scenette del portoghese sia in campo che fuori. Su tutte il famoso gesto delle manette contro la Sampdoria a san Siro pareggiato 0-0. Per i nerazzurri due espulsioni, gesto a favore di telecamera e quindi polemica contro la classe arbitrale, accusata di aver un diverso riguardo con le altre squadre. Il portoghese prese tre giornate di squalifica e 40 mila euro di multa.

Il famoso gesto delle manette durante il match Inter – Sampdoria

Altro capitolo è stato lo show al Camp Nou nella semifinale di ritorno contro il Barcellona del 2010. Una serata ricca di episodi: dall’ingresso in campo per il riscaldamento a prendersi insulti dal pubblico per fare da scudo ai suoi giocatori, al siparietto con Guardiola e Ibrahimovic in cui va a mettere pressione durante un confronto tattico, alla corsa finale sotto il settore ospiti con tanto di lite con il portiere Valdes.

PORTO

Per trovare una storica scenetta in casa Porto, dobbiamo fare un tuffo alla finale di Champions League vinta nel 2004. José Mourinho non appena riceve la medaglia per la vittoria, scatta una foto con i suoi calciatori e fugge via sfilandosi il simbolo della vittoria. Gesto molto forte che significò l’addio del tecnico dalla panchina lusitana, lo aspettava a braccia aperte Abramovich a Londra.

Il suo addio al Porto dopo la finale di Champions League 2004

Dopo che hai giocato 640 partite con quella maglia tra coppe e Premier League, tornare in quella che è stata casa tua per tredici anni certo non è semplice. Ed è ciò che ha provato Frank Lampard, attuale allenatore del Derby County (squadra di Championship, seconda divisione inglese), tornando come “ospite” allo stadio Stamford Bridge di Londra.

L’ex centrocampista del Chelsea, infatti, è tornato da tecnico avversario nel match di Coppa di Lega, vinto per 3-2 dai blues.

Per Lampard è stata un’accoglienza da brividi davanti a oltre 40mila dello stadio che lo ha omaggiato con cori e striscioni. In effetti l’ex capitano del Chelsea è stato una vera e propria bandiera, con cui ha vinto 3 Premier League, 4 FA Cup, 2 League Cup, 2 Community Shield, una Coppa Intertoto, una Europa League e una Champions League, oltre ad essere il miglior marcatore della storia del club con 211 reti in tutte le competizioni.

Nella conferenza stampa della vigilia del match il tecnico del Derby County ha parlato con parole al miele in riferimento alla sua ex squadra e a suoi ex tifosi.

Sarà un evento molto particolare per me. Sono emozionato in vista della partita, che mi darà modo di vedere 40mila amici tra gli spalti dello stadio. Credo che venir fuori dai tunnel sarà un qualcosa di veramente speciale

Il match è stato scoppiettante, soprattutto nel primo tempo. Il Chelsea è riuscito a passare per 3-2 grazie alla rete decisiva di Cesc Fabregas al 41esimo minuto di gioco. Partita difficile per gli uomini di Sarri contro una squadra organizzata, capace di battere il Manchester United di Mourinho.

Chelsea Manchester United non è mai una partita come le altre. La rivalità storica tra le due squadre di alta classifica si è accentuata dopo l’approdo di Jose Mourinho sulla panchina dei Red Devils. L’ex tecnico dei Bleus a Londra ha vinto tre Premier League, ma non è più troppo amato a Stamford Bridge. Prima le polemiche con Antonio Conte, quando l’allenatore italiano allenava Hazard e compagni. Poi il finale burrascoso dopo il pareggio in extremis della squadra di Maurizio Sarri nel match dell’ultimo turno di Premier.

Dopo il gol nel primo tempo di Antonio Rüdiger, il Manchester aveva ribaltato il match con una doppietta di Anthony Martial nella ripresa. Al 96’ ci ha pensato Ross Barkley in mischia a regalare un punto prezioso al Chelsea. Proprio dopo il gol del centrocampista di casa si è scatenata una rissa dalle parti della panchina di Mourinho. Un assistente di Maurizio Sarri, Marco Ianni, si è lasciato andare un’esultanza di troppo proprio davanti allo Special One che non ha gradito. Si è così scatenata una rissa furibonda che è stata sedata solo grazie all’intervento degli uomini della sicurezza e dei componenti delle rispettive panchine.

Negli spogliatoi Mou ha poi così commentato:

Sono stato insultato da Ianni e non mi ha fatto piacere. Sarri è stato il primo a venire da me e dirmi che avrebbe risolto il problema: Maurizio mi ha portato nel suo ufficio per scusarsi e ha portato pure il suo assistente affinché si scusasse pure lui. Le ho accettate e non c’è altro da dire

Maurizio Sarri, dal canto suo, ha ammesso l’errore del suo collaboratore:

Sinceramente, non ho visto quello che è successo, ma ho parlato con José e naturalmente ho parlato con il mio staff perché credo fossimo dalla parte del torto. E quindi l’ho affrontato immediatamente in privato

Non bastasse il pareggio beffa e la rissa finale, Mou ha concluso il suo pomeriggio a Stamford Bridge con i fischi e gli insulti dei suoi ex supporter. Il manager portoghese ha rispedito le punzecchiature al mittente indicando con le tre dita il numero di Premier vinte con il Chelsea.

Le tre dita mostrate da Mou ai tifosi del Chelsea

 

Il Chelsea dichiara guerra al razzismo. Il club di Roman Abramovich allontanerà i tifosi responsabili di comportamenti xenofobi a Stamford Bridge oppure li inviterà a corsi di recupero come, ad esempio, una visita ai campi di concentramento di Auschwitz. Punizione e rieducazione. I blues dicono quindi basta a quei cori a sfondo antisemita che spesso si levano dalle tribune dell’impianto londinese. La notizia è stata riportata nelle ultime ore dal tabloid britannico “Sun”.

Non si rischierà solo una sorta di daspo inglese dallo stadio. Il Chelsea inviterà i propri supporter a recarsi in uno dei simboli dell’eccidio nazifascista durante la II Guerra mondiale. I campi di concentramento nella cittadina polacca di Auschwitz in cui, secondo le ricostruzioni storiche, morirono circa un milione di persone deportate. Le ragioni del provvedimento sono state spiegate dal presidente della squadra, Bruce Buck:

Allontanare le persone dallo stadio non è sufficiente, non cambierà il loro comportamento. Questa politica dà invece ai tifosi la possibilità di capire quello che hanno fatto e di doversi comportare meglio. In passato li avremmo individuati prima di allontanarli dallo stadio fino a tre anni. Il nostro augurio è che anche altre società possano prendere sul serio la questione

Il campo di concentramento di Auschwitz

Nonostante il calcio inglese sia spesso proposto come modello di civiltà e organizzazione sugli spalti, resistono ancora frange di tifo intollerante e antisemita. Lo scorso anno, durante il derby tra Chelsea e Tottenham (la squadra del quartiere ebraico di Londra), i sostenitori di Hazard e compagni intonarono cori razzisti nei confronti degli ebrei. Scenario simile che si ripresentò al King Power Stadium di Leicester dopo un gol di Alvaro Morata. Lo stesso attaccante spagnolo prese le distanze da questo tipo di tifo, chiedendo il rispetto per tutti. Magari una visita ad Auschwitz potrà aprire la mente i più stupidi e ignoranti che si definiscono tifosi.

Un altro leader del calcio moderno appende le scarpe al chiodo. Si chiude così anche la favola di John Terry, storico difensore e capitano inglese, bandiera del Chelsea.

Dopo 740 partite in carriera disputate, di cui 717 in maglia blues, il centrale classe 1980 ha deciso di lasciare il calcio giocato. Attualmente senza squadra, ha trascorso l’ultima stagione calcistica all’Aston Villa.

Cresciuto nelle giovani del Chelsea, ne è diventato poi il simbolo e la bandiera con cui ha vinto 5 Premier League, 4 Coppe d’Inghilterra, 3 Coppe di Lega inglese, 4 Supercoppe d’Inghilterra, 1 Europa League e 1 Champions League, in 23 anni di carriera.

Arrivato nel club londinese all’età di 14 anni, ha fatto il suo esordio nel 1998 quando sulla panchina sedeva Gianluca Vialli. Dal 2004 e per tredici anni ha indossato la fascia da capitano e ha realizzato 67 reti.

L’addio è sempre difficile da dare, soprattutto per chi ha vissuto tanti anni calpestando l’erba degli stadi inglesi ed europei. Terry ha voluto salutare tutti con una lettera pubblicata su Instagram.

 

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THANK YOU ⚽️

Un post condiviso da John Terry (@johnterry.26) in data:

Parole di ringraziamenti davvero per tutti: sua moglie e i suoi figli, i suoi genitori e suo fratello Paul, il club Chelsea e tutti i suoi componenti che si sono susseguiti nel corso della sua lunga carriera (manager, compagni, impiegati ecc…) a Londra.
Un grazie anche ad altre due società: il Nottingham Forrest che lo ha accolto da giovane in prestito nel 1999 e l’Aston Villa che gli ha permesso di giocare l’ultima stagione ad alti livelli.

Il ringraziamento più doveroso però lo ha rivolto ai tifosi blues. Supporter che lo hanno sempre sostenuto e con cui ha vissuto tanti bei momenti calcistici.

Abbiamo così tanti bei ricordi insieme, non avrei potuto farcela senza di voi. Per me voi siete la miglior tifoseria del mondo. Spero di avervi reso orgoglioso indossando questa maglia e la fascia da capitano.

Parole dolci per tutti coloro che gli hanno permesso di fare quello che ha sempre sognato sin da bambino.

Tutti mi hanno guidato sulla strada giusta per riuscire a giocare 717 partite nel club che amo ed è stato un privilegio servirli come capitano. Mi hanno anche aiutato a realizzare il sogno della mia infanzia: giocare e fare il capitano dell’Inghilterra, una cosa di cui sono immensamente fiero.

La maglia dei Tre Leoni è stato anche una grande e piacevole parentesi per Terry. Settantotto presenze e sei reti all’attivo con l’Inghilterra, peccato che non abbia aiutato la nazionale a vincere qualche importante trofeo.

Da ora gli aspetta la vita da allenatore. Guiderà l’Under 23 del Chelsea.