Nemmeno un folle avrebbe mai potuto immaginare cosa mi stava per accadere. Ci sono periodi nella vita di un calciatore nei quali ti riesce tutto. Basta che respiri e la metti dentro. Per me questo stato di grazia è coinciso con quel campionato del mondo
Italia ’90, per l’esattezza. Le “notti magiche” cantate da Gianna Nannini ed Edoardo Bennato; quel «inseguendo un gol» che trascinò cinquanta milioni di italiani. Tutti tranne uno: Salvatore Schillaci, detto Totò, non inseguiva il gol, ma, al contrario, era lui che cercava l’attaccante azzurro. Sembra paradossale, ma a quel Mondiale, alla punta nata a Palermo il 1° dicembre 1964, bastava un tocco per segnare. Eroe per caso, come le storie belle: comprato dalla Juventus nel 1989, decisivo con le sue 15 reti in 30 partite, la convocazione in azzurro fu quasi un premio. E quasi un traguardo anche perché in avanti la coppia era già scritta, doveva essere Vialli – Carnevale.
Nell’esordio contro l’Austria, però, le emozioni sono poche, l’Italia non è pericolosa. Così, a un quarto d’ora dalla fine, Vicini chiama Totò: «Scaldati, tocca a te». Totò entra al posto di Carnevale, tocca un pallone ed è gol. Toccata e fuga, poi nuovamente in panchina contro gli Stati Uniti. Contro la Cecoslovacchia, nella terza partita, Schillaci c’è dal primo minuto e ne passano solamente nove per far esplodere tutto lo stadio.
Inizia il Mondiale di Totò-gol: sempre a segno contro l’Uruguay negli ottavi e contro l’Irlanda nei quarti. In semifinale, poi, la sentita sfida contro l’Argentina di Maradona, giocata proprio a Napoli, nel suo tempio. Eppure questa partita verrà ricordata per il gol, rocambolesco, sempre del folletto di Palermo. Ad oggi, rivedendo le immagini sgranate a rallentatore, si fa fatica a capire con quale arto del corpo sia riuscito a superare Goycochea.
L’Italia, che fino ad allora non aveva subito reti, venne trafitta dall’Argentina e poi, dopo l’1-1 dei tempi regolamentari e supplementari, perse ai calci di rigore.
Nella finalina, contro l’Inghilterra, l’Italia giocò solo per Schillaci. Baggio lasciò a lui un calcio di rigore che gli consentì di totalizzare sei reti nel Mondiale. Capocannoniere di quell’edizione, vinse la Scarpa d’oro Adidas e il Pallone d’oro Adidas come miglior giocatore del torneo. Ma non solo: venne eletto migliore calciatore della manifestazione e nello stesso anno si piazzò al secondo posto nella graduatoria del Pallone d’oro, tra i due tedeschi dell’Inter, Lothar Matthäus, primo e Andreas Brehme, terzo.
Spente le luci sul Mondiale italiano, anche la stella di Schillaci si eclissa: fa fatica nella Juventus, poi ceduto all’Inter, non riesce a essere determinante. A soli 29 anni, attratto dall’esperienza estera e dal buon contratto, lascia la Serie A dopo aver totalizzato complessivamente 120 presenze e 37 reti, per approdare in Giappone. Primo giocatore italiano nella storia: nel Júbilo Iwata trascorrerà tre stagioni segnando 56 gol.