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Se in una partita una squadra calcia 6 rigori e ne realizza solo uno, a prescindere dal risultato, quello stesso match è destinato a entrare nella narrativa sportiva. E’ già mitologia. Se poi abbiamo un portiere che si innalza a ruolo di eroe, una squadra costretta a difendersi per tutti i 90 minuti più supplementari in 10 uomini, all’interno di uno stadio che ti fa il tifo contro, allora si sconfina nell’epica più autentica.

Olanda – Italia, 29 giugno 2000, semifinale degli Europei che si disputano proprio in Olanda e Belgio. L’Amsterdam Arena è oranje: «C’era un’atmosfera quasi surreale: tre quarti dello stadio era arancione», dice prima del match Francesco Toldo. Il gladiatore di quell’impresa, l’ultimo a rimanere in piedi nell’eterna lotteria dei rigori.
Che poi Italia e Olanda dagli 11 metri hanno ricordi amari, amarissimi. Una sfida che poteva essere la redenzione per una e la condanna eterna per l’altra.
L’Olanda va fortissimo, prende il palo dopo pochi minuti con Bergkamp. Poi, al 34esimo, Zambrotta si fa espellere per doppia ammonizione. Passano quattro minuti e Cannavaro fa un fallo ingenuo in area: rigore. Va Frank de Boer, capitano e rigorista, tira. Prima parata di Toldo.
I padroni di casa vanno a ritmi forsennati, vogliono sbloccare la partita. L’Italia alza i muri, ma al 62esimo, Iuliano entra in scivolata in area sul suo compagno juventina Edgar Davids. Secondo rigore. Questa volta è Kluivert a prendere il pallone. Lo vuole battere lui, lui che che nel corso degli Europei ha già segnato cinque gol. Tiro angolato e quasi perfetto. Quasi. Palo interno e sputata nuovamente in campo.

E’ 0-0, si va ai supplementari, Delvecchio potrebbe anche segnare e chiuderla con il Golden gol, ma si arriva ai rigori. Parte Di Biagio in un’ideale filo mai interrotto da Francia ’98. Lui ha chiuso sulla traversa quell’avventura, lui apre una nuova serie. Nella sua testa è ancora lì che riprova e riprova sperando di invertire il senso della storia. Questa volta la butta dentro. Poi de Boer, di nuovo lui, contro Toldo. Qui gli olandesi iniziano a credere in un anatema, uno sciamano che ha fatto un rito porta-sfiga. Francesco para anche questo. Pessotto tira praticamente senza rincorsa e fa 2-0. Poi è il turno del roccioso difensore Stam.

Come detto in apertura questa partita si muove tra mito, racconti fantastici, eroi e antieroi. Tra loro c’è anche la figura del santone o del mago, se preferite. C’è un istante che, solo diversi anni dopo, è stato svelato dallo stesso portierone ex Fiorentina e Inter. Stam si presenta sul dischetto. Tira una sassata alta, sgangherata al di sopra della traversa. Toldo volge lo sguardo al cielo e grida: «Alberto, Alberto!».
Ecco lo sciamano della novella fantastica. Alberto Ferrarini. Motivatore o mental coach, anche se lui, non si sente né l’uno né l’altro.

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Tutto nasce da un incontro fortuito che lo stesso Toldo ha raccontato: prima del Natale 1999, il portiere va fuori a cena con moglie e amici, tra cui Bressan, compagno alla Fiorentina. Nello stesso tavolo c’è Alberto e nasce subito una sintonia. C’è curiosità, poi Alberto, gli dice: «Nel 2000 farai cose importanti. E giocherai da titolare all’Europeo». Ci scommettono anche un caffè, ovviamente Toldo sa che è Buffon il portiere numero uno dell’Italia.
E quando il ct Zoff assegna i numeri di maglia, Toldo si rassegna: a lui spetta la numero 12, quella del panchinaro. Alberto, però, non molla e rilancia: «Strano, dovrebbe toccare a te». Beh, in amichevole, contro la Norvegia, Gigi Buffon si fa male alla mano e come l’effetto sliding-doors cambia la carriera di Francesco.

Il portiere e il suo nuovo amuleto si incontrano e saldano il caffè che si erano promessi. Qui Alberto azzarda una giornata di gloria eterna per Toldo: «Guarda che non finisce qui: ci sarà una giornata dove tutti parleranno di te. Facciamo una cosa: ti chiamo quando sarà il momento». E indovinate quando chiama? Esatto, la mattina del 29 giugno durante la riunione tecnica.
I numeri non mentono, dice lui. Toldo inizia a crederci, chiede cosa diavolo potrà mai succedere e Alberto quasi con ovvietà dice: «Beh sei un portiere quindi ci saranno tanti rigori. Ma non avere paura: li prendi tutti oppure sbagliano. Fidati dell’istinto: è il tuo giorno».

E’ il giorno del ragazzotto nato a Padova. E’ il giorno di un grande professionista, un atleta modello la cui unica colpa è stata quella di nascere calcisticamente nella generazione di Buffon e di Peruzzi. E’ il giorno di un’intera nazione che si scrolla di dosso l’etichetta di perdente da quel dannato dischetto di gesso bianco del rigore.
Ma ci vuole un gesto screanzato, folle, per farlo capire al mondo intero. E il terzo rigore per gli azzurri spetta all’altro Francesco, Totti. «Mo je faccio er cucchiaio» aveva confidato all’amico Di Biagio. E segna.
Poi Kluivert segna l’unico dei sei rigori tirati dall’Olanda in questa partita. Stizzito, dopo la realizzazione, calcia l’aria e l’erba. Calcio il vuoto. Un pugno di mosche. Maldini, distrutto dai crampi, ciabatta il suo penalty. Per ultimo, per l’Olanda, tira Bosvelt.

Come disse un altro Francesco, De Gregori: «La fine del discorso la conosci già». Titolo della canzone: Pezzi di vetro. Storia di un “santo a piedi nudi”. Italia in finale contro la Francia. Per una sera, l’Italia è un paese di santi, portieri e motivatori.

Il ritorno di Gigi Buffon alla Juventus apre interrogativi sull’apporto tecnico che l’ex Psg potrà dare alla squadra di Sarri. Il portiere ha già assicurato che non prenderà la maglia numero 1 di Szczęsny (avrà la 77) e lascerà la fascia di capitano a Chiellini. Probabile un suo impiego a singhiozzo in A per fargli superare il record di presenze di Maldini, fermo a quota 647 (Gigi è a 640). E poi c’è la Champions League, una benedetta ossessione sia per Buffon che per la Juventus.

Il richiamo della casa madre al figliol prodigo è una storia che non occupa solo le pagine evangeliche. Ecco 5 ritorni nel calcio che, spesso, non sono andati come previsto.

Kakà

Tra il 2003 e il 2009 ha incantato il mondo con le sue giocate in rossonero che gli sono valse, tra le altre, due Champions e un Pallone d’Oro. Poi dieci anni fa il passaggio al Real Madrid, dove però non riesce a ripetere le gesta milaniste. Nel 2013 torna al Diavolo con la stessa maglia, la 22, ma con esiti diversi. Una stagione, qualche gioia (9 reti), diversi guai fisici e un anno dopo la risoluzione del contratto.

Il ritorno di Kakà al Milan nel 2013

Henry

L’ex allenatore del Monaco è stato una bandiera dell’Arsenal tra il 1999 e il 2007, vincendo due Premier e 3 Fa Cup. Poi il passaggio al Barcellona dove riesce a vincere la Champions nel 2009.A gennaio 2012 il ritorno ai Gunners ma solo per un rodaggio in vista della stagione americana con i Red Bulls di New York. La seconda esperienza inglese si chiude con sole 7 presenze in cui riesce comunque a segnare 3 gol.

Il secondo Henry all’Arsenal nel 2012

Torres

Da poco ritiratosi dal calcio giocato, El Niño è cresciuto nelle giovanili dell’Atletico Madrid prima di diventarne una bandiera per 7 anni, tra il 2000 e il 2007. Dopo le esperienze a Liverpool, Chelsea e la fugace apparizione al Milan, Torres torna al Calderon nel 2015. Si fermerà tre stagioni, diventando il quinto miglior goleador della storia colchoneros, ma dando sempre l’impressione di essere la copia sbiadita del primo Torres.

Torres con l’Atletico nel 2015

Schevchenko

C’è stato un momento negli anni Duemila in cui al Milan, come la Juve oggi, andavano di moda i ritorni. Dopo Kakà anche Schevchenko sente la nostalgia di casa e torna in rossonero nel 2008, dopo essere stato un monumento del club tra il 1999 e il 2006 (secondo marcatore di tutti i tempi). Il secondo Sheva, però, ha perso lo smalto dei bei tempi. Zero gol in campionato, due totali in 26 presenze. Dopo un anno l’ucraino fa le valigie, rientra al Chelsea primo di un altro ritorno alla Dinamo Kiev.

Quando tornò al Milan nel 2008 Sheva non era più lui

Tevez

Quella tra l’apache e il Boca Juniors è una lunga storia d’amore. L’esplosione del suo talento alla Bombonera, poi le esperienze al Corinthians e in Europa anche alla Juventus dopo Manchester. Infine nel 2015 il secondo rientro al Boca, la nuova fuga in Cina allo Shanghai prima del terzo rientro nel 2018, con la storica finale (persa) nella Libertadores contro il River.

L’eterno ritorno di Tevez al Boca Juniors

C’è una pagina scritta da qualche parte, in qualche tempo, che ti impedisci di essere il numero 1 anche se sei Gigi Buffon. Una pagina di un libro che narra le tue imprese sportive lunghe un ventennio e qualcosa in più. Le tue parate da numero 1 dei numeri 1. I tuoi successi nazionali sempre in prima linea. Il podio più alto raggiunto giocando in Nazionale. Eppure, in cima ai trofei per club, c’è uno spazio vuoto. O una “x” che non significa pareggio questa volta. Ha il sapore bruciante di una mancanza che si trasforma in ossessione. Ti porta a 40 ad abbandonare le tue certezze per immergerti in una realtà nuova in nome di quell’assenza che ha due grandi orecchie.

La rimonta United

La maledizione della Champions League per Buffon continua. Sembrava superata, almeno per il passaggio ai quarti. E invece no, il Manchester United compie un’impresa storica al Parco dei Principi. Mai nessuna squadra nella storia della competizione a rimontare uno 0-2 casalingo. I red devils di Solskjaer ci riescono con una formazione rimaneggiata e priva di numerosi titolari (tra cui Pogba, Lingaard, Young, Matic, Martial, Sanchez). L’1-3 di Parigi matura grazie a una doppietta di Lukaku con la complicità del portiere italiano nel secondo gol. Rashford al 94’ mette la firma definitiva sulla rimonta segnando su rigore. Esattamente come lo scorso anno con Ronaldo dal dischetto al Bernabeu a tempo scaduto.

Il Parma 1998  – 1999

Buffon, dopo quella sera, i fruttini e la spazzatura al posto del cuore, aveva deciso probabilmente di lasciare la Juve. Di provare un’esperienza altrove, in un club che potesse allontanare quel tabù che circondava se stesso e i bianconeri. E invece il Paris Saint Germain si lecca le ferite anche quest’anno. E Gigi, che ha rinnovato per un biennio, dovrà accontentarsi vent’anni dopo dell’unico trofeo internazionale per club. La Coppa Uefa 1998-1999 con il Parma di Alberto Malesani. Tre a zero a Mosca contro il Marsiglia. Nei gialloblu dei Tanzi con Crespo, Cannavaro, Veron, Thuram. A oggi loro ce l’hanno fatta, in un torneo differente, lì dove hanno fallito Al-Khelaïfi con Cavani, Neymar, Mbappè. E Buffon.

Quando Marcus Thuram è nato a Parma nel 1997, papà Lilian giocava nel club gialloblù insieme a un giovanissimo Gigi Buffon. Più di vent’anni dopo il piccolo Thuram è diventato grande e ha spedito a casa il portierone italiano, ancora in attività. Il suo Guingamp, ultimo in Ligue 1, ha clamorosamente inflitto la prima sconfitta stagionale in Francia al Paris Saint Germain. L’1-2 casalingo patito dalla squadra di Tuchel ha eliminato i parigini dalla Coppa di Lega ai quarti di finale. Marcus, centravanti del Guingamp, è stato protagonista assoluto sbagliando prima il rigore del possibile 0-1 e poi realizzando quello del definitivo 1-2 al 93’. Buffon, in tribuna, ha assistito alle gesta di quel bambino oggi diventato grande che gli ha causato il primo dispiacere della stagione.


La famiglia Thuram sforna campioni e talenti che hanno fatto e promettono di fare le fortune dei loro club. Lilian, difensore plurivincitore negli anni ’90-2000 con Parma e Juventus e nella Francia campione del mondo. I suoi figli sembrano già dei predestinati. Marcus, centravanti del Guingamp dopo essere cresciuto nelle fila del Sochaux. Khephren, nato nel 2001 a Parma, è invece un centrocampista centrale che milita nel Monaco. Ha esordito in Champions League a novembre scorso contro l’Atletico Madrid, spedito in campo da Thierry Henry. Il Guardian l’ha inserito nella lista dei 60 migliori Millennial.

Qualche giorno fa, Gigi Buffon aveva commentato con un pizzico di malinconia le gesta dei figli dei suoi ex compagni.

Quando ho giocato contro Federico Chiesa ho pensato di smettere, all’inizio ero un po’ disorientato e pensavo fosse arrivata l’ora. Ho visto anche Khéphren Thuram, figlio di Lilian. Era in panchina contro il Monaco.

L’intervista è stata rilasciata ad Eurosport, con l’inviato Alain Boghossian, anch’egli compagno di squadra del portiere a Parma. Già in campionato Buffon aveva incrociato Marcus Thuram nel match tra Psg e Guingamp dello scorso agosto. In quell’occasione Neymar e compagni si imposero in trasferta per 3-1. Qualche mese dopo hanno subito la prima sconfitta stagionale in patria dagli ultimi in classifica. Fuori dalla Coppa di Lega per mano del più grande dei piccoli Thuram.

Marcus Thuram e Gigi Buffon

Il duopolio si è interrotto. Luka Modric ha dimostrato che c’è vita oltre l’universo dominato dai pianeti Messi e CR7. In questi anni ci si è sempre chiesti chi avrebbe interrotto il regno dei due marziani. Ci è riuscito il centrocampista del Real Madrid, primo croato della storia a vincere il trofeo. Potevano essere Griezmann, Mbappè, il tanto discusso Varane o Salah.

Questi ultimi hanno ancora tempo per non finire nel ristretto (ma non troppo) girone dei campioni che non hanno vinto il Pallone d’Oro. La premessa è d’obbligo. Solo dal 1995 i giocatori extraeuropei hanno potuto concorrere al premio. Prima era riservato esclusivamente ai campioni nati nel vecchio continente. Ecco spiegato del perché, ad esempio, Pelè o Maradona non abbiano mai vinto il Ballon d’Or.

Ecco il club dei non vincitori.

Franco Baresi. Capitano e difensore simbolo del Milan degli olandesi, quello che dominava in Italia e in Europa. Campione del mondo ’82 con la Nazionale, vice campione del mondo nel 1994 (con il rigore fallito nella lotteria finale contro il Brasile). Solo un secondo posto nel 1989, dietro Van Basten. Nel 1994 vinse il bulgaro Stoickov.

Franco Baresi

 

Paolo Maldini. La maledizione dei difensori colpisce anche il terzino bandiera del Milan. Condivide con Baresi i successi nel Milan, ma non riesce mai a vincere nulla con gli Azzurri. Nel 2003 arriva terzo dopo Nedved e Henry, stessa posizione del 1994.

Paolo Maldini

Alessandro Del Piero. Il 1996 è l’anno della sua consacrazione. Vince Champions League e Coppa Intercontinentale con la Juve, delizia i palati fini sui campi di mezza Europa. Ma quell’anno il trofeo lo vinse, tra le polemiche, Mathias Sammer. Più di vent’anni dopo, non si è ancora capito perché.

Alessandro Del Piero

 

Raul. Ha vinto tutto quello che poteva vincere con il Real Madrid. Ha avuto il solo torto di condividere quelle vittorie con altri fenomeni come Zidane, Figo, Ronaldo il fenomeno che hanno offuscato la sua stella. Ma nel 2001 finì al secondo posto dietro…Owen.

Raul

Francesco Totti. Il suo grande amore è stato, forse, il suo limite. Aver deciso di sposare una sola maglia gli ha impedito di conseguire quei successi internazionali che meritava. Non è mai salito sul podio.

Francesco Totti

Thierry Henry. Leggenda dell’Arsenal e della Nazionale francese. Paga l’etichetta da eterni secondi dei Gunners. Accarezza il sogno Champions in finale contro il Barcellona nel 2006, trofeo che vincerà con i blaugrana nel 2009. Secondo nel 2003, terzo nel 2006.

Thierry Henry

Wesley Sneijder. Nel 2010 centra da protagonista il triplete con l’Inter, arrivando in finale mondiale con l’Olanda. Ma non basta perché quell’anno il trofeo va a Messi. Non sale neanche sul podio.

Wesley Sneijder

Andres Iniesta. Discorso fotocopia rispetto a Sneijder. A differenza dell’olandese vince il primo Mondiale della Spagna nel 2010 con gol decisivo in finale proprio contro l’Olanda. Servirà solo alla medaglia d’argento dietro la Pulce. Nel 2012 arriva terzo.

Andres Iniesta

Xavi. Con Iniesta ha formato una delle coppie di centrocampo più forti della storia, condividendo i successi nel Barcellona e nella Roja. Collezione tre terzi posti consecutivi tra il 2009 e il 2011.

Xavi

Andrea Pirlo. La versione italiana del cervello spagnolo Xavi. Vince il Mondiale 2006 con l’Italia, vince Coppe e campionati con Milan e Juventus. Tutto inutile, non sale mai neanche sul podio.

Andrea Pirlo

Zlatan Ibrahimovic. Inaugura la serie finale dei campioni non premiati ancora in attività. Forse il primo terrestre dopo gli extraterrestri Messi e CR7. Ha l’unico difetto, però, di non aver vinto mai la Champions e di giocare con… la Nazionale svedese. Non è mai salito sul podio.

Zlatan Ibrahimovic

Gianluigi Buffon. Secondo alcuni è stato il più forte portiere della storia. Titolo effimero che non gli è mai valso il trofeo. Paga il ruolo di portiere, solo il russo Yascin riuscì a vincerlo da estremo difensore nel 1963. Nel 2006 ci è arrivato vicinissimo, ma si posizionò dietro Cannavaro.

Gianluigi Buffon

Manuel Neuer. Come Buffon non riesce a infrangere il tabù portiere. Eppure, a differenza dell’italiano, riesce a mettere in bacheca la Champions League. Nel 2014 vince il Mondiale con la Germania, ma gli vale solo un bronzo dietro CR7 e Messi.

Manuel Neuer

 

Ci sono gol che avremmo fatto anche noi. E ci sono parate che, invece, ci chiediamo ancora come sia stato possibile effettuarle. Le ultime, in ordine di tempo, sono nel martedì di Champions League. Wojciech Szczęsny contro il Valencia e Marc Ter Stegen di fronte allo Young Boys. Due guizzi decisivi per le qualificazioni di Juventus e Manchester United. Il primo si sta scrollando di dosso la pesante eredità di Buffon. Il secondo, a giudicare dalle parole di Mourinho, è oggi il numero 1 dei numeri 1.

I due estremi difensori entrano a pieno titolo nella classifica delle migliori parate di sempre. Ne abbiamo fatto una top ten in rigoroso ordine cronologico, a voi la scelta della migliore.

1970, Brasile Inghilterra: Gordon Banks

1982, Italia Brasile: Dino Zoff

2001, Barcellona Lione: Gregory Coupet

2003, Arsenal Sheffield United: David Seaman

2003, Nelson Dida: Milan Ajax

2003, Gianluigi Buffon: Milan Juventus

2006, Gianluigi Buffon: Italia Francia

2010, Barcellona Inter: Julio Cesar

2015, Arsenal Bayern Monaco: Manuel Neuer

2018, Barcellona Siviglia: Marc-André ter Stegen

 

Tutto iniziò quando l’editore dei Marvel Comics, Martin Goodman, dopo una partita a golf perduta, decise di mettere su carta un’idea bizzarra e di condividerla con me. Mi disse: “Perché non crei una squadra di supereroi?”

L’avventura inizia sul green di golf: Spiderman, l’Incredibile Hulk, Thor, gli X-Men, Iron Man e tanti tanti alti, beniamini dei fumetti prima, del cinema oggi. Tutti passati dalla mente creativa di Stan Lee, all’anagrafe Stanley Martin Lieber, morto a 95 anni il 12 novembre 2018. Fumettista, editore e direttore della Marvel Comics, insieme al disegnatore Jack Kirby aveva ideato nel 1961 i Fantastici Quattro.

Da una partita di golf andata male è iniziata la leggenda. Generazioni e generazioni di bambini “infettati” che poi sono diventati adolescenti e poi adulti e poi hanno trasmesso ai loro figli la passione sviscerata per gli eroi dai superpoteri. «Da un grande potere deriva una grande responsabilità» scriveva proprio Stan Lee in uno dei primissimi fumetti di Spiderman e, per certi versi, anche nel calcio – tutti noi siamo stati bambini e tutti noi abbiamo avuto il poster del nostro eroe appeso in camera – con buona dose di rivalità, si fronteggiano forze del bene e forze del male.

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Pierre-Emerick Aubameyang è tra chi, nel mondo del pallone, manifesta senza esitazione la sua influenza per il mondo “mascherato”: l’attaccante del Gabon, già ai tempi del St. Etienne, era solito festeggiare indossando la maschera di Spiderman. Abitudine che si è portato anche in Germania, al Borussia Dortmund, dove ha contagiato la sua spalla, Marcus Reus, in una speciale esultanza alla Batman e Robin (che sono della DC, precisiamo).

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Evidentemente dalle parti della Loira, il supereroe che lancia le ragnatele doveva essere la fiaba raccontata dai genitori per addormentarsi, perché Jérémie Janot, istrionico portiere del St. Etienne, ormai ritirato, ma che detiene il record di imbattibilità  in casa in Ligue1 (1534 minuti senza subire gol), più volte è sceso in campo vestito proprio come Peter Parker.

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Poi c’è Sebastian Giovinco soprannominato “Formica atomica” e che dire di Hulk, il calciatore brasiliano? All’anagrafe Givanildo Vieira de Souza, l’attuale attaccante dello Shanghai SIPG, ha cambiato il suo nome nel popolare eroe verde tutto muscoli per la sua somiglianza con l’attore statunitense Lou Ferrigno, che negli anni settanta, interpretò il personaggio di Hulk nell’omonima serie televisiva. “Nomen omen”, diremmo, visto le sue sassate imprendibili viste con la maglia del Porto, dello Zenit e della Nazionale brasiliana.

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E Superman? Beh, Buffon in campo ci ha fatto vedere parate fuori dall’ordinario. E poi, lui stesso ai tempi del Parma, nascondeva sotto la divisa ufficiale, quella maglia lì…

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13 novembre 2018, anno I dS, dopo Svezia. È trascorso esattamente un anno dallo 0-0 di Milano che impedì all’Italia di partecipare ai Mondiali di Russia 2018. Era successo solo una volta nella storia, sessant’anni fa proprio in Svezia. Un anno dopo Gian Piero Ventura si è dimesso, ma dalla panchina del Chievo. La vecchia guardia (Buffon, Barzagli, De Rossi) è finita nel libro di storia della Nazionale. Il povero Davide Astori, quella sera in panchina, non c’è più per davvero.

Il Sansirazo è una tragedia sportiva dalla quale non ci siamo ancora rialzati. La Nazionale galleggia nella nuova Uefa Nations League, avendo per un soffio evitato la retrocessione in Lega B. Il nuovo ct è Roberto Mancini, scelto dal duo Fabbricini-Costacurta che per qualche mese ha traghettato la FIGC con il commissario Malagò per la Lega A. Nel ranking Fifa l’Italia è al 19mo posto, mica male per una squadra che non ha partecipato ai Mondiali. Quello in cui da Torino a Cagliari passando per Palermo si è praticato l’unico rito che ci era rimasto dopo il tifo pro. Quello contro.

L’esultanza degli svedesi al fischio finale

 

Non è andata troppo bene visto che i cugini francesi sono diventanti campioni del Mondo. Magra consolazione la clamorosa eliminazione della Germania. Male anche la Spagna, con il caos Lopetegui a pochi giorni dall’inizio del torneo. Proprio il tecnico spagnolo non se la passa troppo bene, dopo l’addio turbolento alle Furie Rosse e il fallimento al Real Madrid. Sta messo peggio Ventura. Aveva ricominciato con i gialloblu del Chievo cercando l’impresa della salvezza. Dopo quattro partite e un solo punto ha preferito lasciare la nave, dimettendosi a sorpresa. Gli effetti traumatici post Svezia si fanno ancora sentire.

Le lacrime di Buffon

Un anno fa non fummo capaci di segnare un solo gol agli svedesi in 180 minuti. In porta c’era Olsen, oggi alla Roma. A centrocampo Forsberg, che avremmo conosciuto meglio durante la Coppa del Mondo. Quella in cui proprio la Svezia avrebbe vinto il girone con la Germania arrivando fino ai quarti con l’Inghilterra. Un anno fa Insigne era lasciato a sgualcire senza un perchè in panchina. De Rossi si sfogava in favore di camera sul mancato utilizzo del napoletano. Jorginho era lanciato titolare all’ultimo momento. Davanti Gabbiadini, oggi una meteora anche in Inghilterra al pari di Darmian.



Un anno dopo al vertice della Federazione c’è Gabriele Gravina, già capo della Lega Pro. La serie B e la serie C pagano i postumi dell’estate caotica tra ripescaggi e ricorsi al Tar. In campionato la Juventus continua a dominare. Sarri è andato al Chelsea al posto di Conte. A Napoli è arrivato Ancelotti, a Torino Cristiano Ronaldo. Bonucci e Higuain si sono scambiati le maglie. Buffon è andato al Paris Saint Germain. Sabato l’Italia torna a San Siro nel match di Nations League contro il Portogallo. I fantasmi biondi svedesi, un anno dopo, sono ancora lì.

Il bacio di Florenzi al pallone prima dell’ultimo calcio d’angolo

 

Ultimo aggiornamento: 13 maggio 2018

 

Le chiamiamo “bandiere” o, forse, alcuni parlano già al passato convinti che la fedeltà nel calcio sia svanita e quindi via sentimentalismi e senso di appartenenza per fare spazio ad altro che conta nel pallone moderno. E niente più Zanetti, niente più Totti, niente più Maldini o Del Piero.
La realtà, però, non è così malaccia: il Cies, il centro studi svizzero sul calcio europeo, nel suo ultimo report, ha raccolto la lista dei giocatori che all’interno dei maggiori campionati Uefa, indossano da più (tante) stagioni la stessa maglia. Dei veterani, insomma.

Sono 61 i calciatori che militano almeno da 10 anni nello stesso club. Alcuni indossano la fascia di capitano, come Buffon, altri ci sono arrivati dopo aver fatto tutta la gavetta nelle giovanili come De Rossi nella Roma, e poi ci sono simboli che hanno scritto la storia della squadra pur venendo dall’estero. Messi, è uno di questi.  E poi ci sono società che hanno cambiato così tanti giocatori nel recente passato da non avere una bandiera in senso assoluto di tempi: uno, per esempio, è il Crotone che ha in Martella – quattro stagioni – il giocatore da più tempo in rosa.

La lista completa la potete sfogliare qui, noi abbiamo scelto i giocatori con almeno 12 anni nella stessa squadra.

Xabi Prieto scolpito sulla maglia

Sabato 12 maggio, la Real Sociedad per omaggiare il suo leader Xabi Prieto, ha deciso di sostituire il proprio logo con il volto del capitano. Prieto ha deciso di ritirarsi al termine della stagione e la società con un comunicato ha detto:

Xabi ha sempre portato lo stemma della Real. La Real porterà stavolta lui come stemma

Nonostante la pubalgia che l’ha bloccato ai box nella seconda parte di stagione, il capitano basco è entrato a sette minuti dalla fine nella partita vinta 3-2 contro il Leganés. Xabi Prieto ha messo insieme in carriera quasi 580 apparizioni, e tra squadra A e B sono state tutte gare disputate con la maglia della stessa squadra.
Nella stessa partita è stato reso omaggio anche a Carlos Martinez, difensora dal 2007 in prima squadra (già dal 2004 nella squadra B).

 

Stefan Kiessling saluta il Leverkusen. E il Bayer saluta lui

Dopo 12 stagioni con la stessa maglia del Leverkusen, Kiessling decide di ascoltare il suo fisico, così a 34 anni decide di ritirarsi dal calcio giocato. Si conclude una delle più belle pagine del calcio moderno: 444 partite, 162 gol, 75 assist e capocannoniere nella stagione 2012-2013.  Anche per lui sette minuti di passerella nella vittoria per 3-2 delle aspirine contro l’Hannover.

Donnarumma festeggia un altro record: dopo essere stato riconosciuto il migliore giocatore under 20 d’Europa (secondo la classifica del CIES Football Observatory), nella partita Milan-Napoli ha raggiunto le 100 presenze in Serie A.

Questo traguardo diventa eccezionale se si pensa che è il calciatore più giovane di sempre a registrare questo primato. 19 anni, 1 mese e 21 giorni: proprio la sua età lo fa balzare in cima alla classifica, superando anche Gianni Rivera, detentore del record dal lontano 1963.

Si lascia dunque alle spalle non solo figure come quella di Rivera (19 anni, 5 mesi e 9 giorni), ma supera anche Piola, Colaussi, Mancini, Maldini, Buso e Totti. 

1G. Donnarumma19 anni, 1 mese, 21 giorni
2Rivera19 anni, 5 mesi, 9 giorni
3Piola19 anni, 11 mesi, 19 giorni
4Colaussi20 anni, 1 mese, 22 giorni
5Mancini20 anni, 2 mesi, 28 giorni
6P. Maldini20 anni, 8 mesi
7Buso21 anni, 1 mese, 22 giorni
8Totti21 anni, 3 mesi, 29 giorni

 

Donnarumma, da molti definito come l’erede di Buffon, ha cominciato a giocare giovanissimo, debuttando in Serie A a 16 anni. Fedele alla maglia del Milan, da allora è rimasto titolare della squadra rossonera e nel suo palmares sono diverse le parate storiche che lo rendono un grande portiere.

Quella che lo stesso protagonista ritiene la più importante parata della sua carriera lo vede tornare con la mente fino alla Supercoppa giocata contro la Juventus nel 2016 a Doha. Un trofeo vinto dai milanisti ai rigori, in cui decisivo è stato l’intervento di Donnarumma su Dybala, deviando quel gol che ha deciso la vittoria del suo Milan.

E nella sua centesima presenza in Serie A diventa l’eroe del match, con un’altra incredibile parata inflitta a Milik, che proprio negli ultimi minuti ha tentato il colpaccio. Donnarumma esulta per la sua azione e così risponde ai microfoni dei giornalisti una volta terminato il derby di San Siro:

Non so se sia la parata Scudetto perché mancano ancora molte partite e auguro al Napoli di giocarsela fino alla fine. E’ stata una bella parata all’ultimo secondo, non ho pensato agli avversari, ho esultato per la parata. Ci alleniamo sempre al massimo, poi è normale che un portiere abbia degli alti e bassi. Io continuo a lavorare e a dare sempre tutto come ho sempre fatto. Ringrazio anche il mister per le belle parole, stiamo lavorando bene ma il merito è anche della squadra che mi dà grande tranquillità

E a chi lo accosta alla figura di Dida nella partita contro l’Ajax in Champions League ecco cosa si sente di rispondere:

Questa parata come quella di Dida nel 2003 contro l’Ajax? L’ho vista molte volte quella parata, si stavano giocando la Champions e credo che la sua parata sia stata più difficile

Obiettivo ma schietto, Donnarumma gioca per passione (altro motivo che lo rende così simile a Buffon!) e non si cura del domani, delle decisioni del calciomercato o di Reina come secondo:

Una parata che mi fa venire voglia di diventare una bandiera rossonera? Sì, fa piacere fare queste parate ma di mercato non so niente. Io penso solo a lavorare e a dare il massimo per questa maglia. Per il mercato ci penseranno il mio agente e la società. Reina degno di farmi da secondo? Questo non lo so. Gli faccio i complimenti perché è un grandissimo portiere, ha dato tanto al calcio e lo darà ancora per molto tempo

Di certo, visti i suoi risultati, non ha motivo di temere per il futuro. Nel frattempo, però, entra nella storia del calcio con questo suo record raggiunto a soli 19 anni.