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Se non è stata una “maggioranza bulgara”, poco c’è mancato: 142 voti su 155 disponibili, un’annata da incorniciare per giocate e gol e con la Coppa Uefa alzata davanti ai musi lunghi dei tedeschi del Borussia Dortmund. Il 28 dicembre 1993, Roberto Baggio vince il Pallone d’oro. Con la Juventus, il Divin Codino si afferma e si consacra nel panorama calcistico internazionale. Il riconoscimento della rivista francese France Football non lascia dubbi: nessuno può eguagliare il talento italiano. Alle sue spalle, distaccati, l’olandese Dennis  Bergkamp, che quell’estate passerà dall’Ajax all’Inter, e l’istrionico francese Eric Cantona, idolo tra i tifosi del Manchester United.

Dopo la convincente vittoria della Juventus per 3-1, nell’andata della finale di Coppa Uefa contro il Borussia Dortmund al Westfalenstadion, è lo stesso calciatore nato a Caldogno a ironizzare, dopo avere segnato una doppietta, sulla sua possibilità di alzare il trofeo dorato: «Il Pallone d’oro io a Baggio lo darei».
Con il 3-1 all’andata e il 3-0 al ritorno a Torino, quei pochi scettici si convincono della strepitosa annata del talento con il numero 10 cucito sulle spalle. Del resto, i numeri della stagione 1992-1993 parlano chiaro, chiarissimo: in Serie A, Baggio gioca 27 partite e realizza 21 rete, il suo rendimento migliore dopo la rinascita a Bologna nel 1997-1998 dove segnerà 22 marcature. Letale anche in Coppa Uefa con 6 gol in 7 gettoni.

Attorno ai suoi tocchi, alle sue giocate e al suo talento, la Juventus vuole ricucire i suoi successi, smarriti dopo l’addio di un altro fuoriclasse come Michelle Platini. Ma il Milan di Fabio Capello sfugge e, nonostante, il ricco bottino di segnature di Baggio (solo Signori fece meglio con 26 reti), la Juventus concluderà quarta con 39 punti, meno 11 rispetto al Milan. Unica pacata consolazione per il Divin Codino è la splendida rete che segna a San Siro, nella “Scala del calcio”, proprio ai rossoneri:

E’ in Europa, come detto, che la Juventus e Baggio trovano gloria: è proprio il fantasista ad aprire le marcature europee del club torinese nel 6-1 del primo turno contro i ciprioti dell’Anorthosis Famagosta. Poi un digiuno che si interrompe in semifinale, quando, contro il Paris Saint Germain, tira fuori tutta la sua classe segnando una doppietta nella vittoria per 2-1 all’andata e per 1-0 in terra transalpina. Da antologia i due gol segnati a Torino:

Alla premiazione del Pallone d’oro, Roberto Baggio disse:

Il Pallone d’oro è una cosa mia: sono sicuro che se scendeste in strada a chiedere ai tifosi cosa vorrebbero che vincessi vi risponderebbero lo scudetto, se sono juventini; il Mondiale, se non lo sono. Infatti i miei veri traguardi sono questi, come per un attore è bello vincere l’Oscar, ma è molto meglio se il pubblico apprezza il suo film

Il Mondiale negli Stati Uniti è, forse, il più grande rammarico nella carriera di Baggio e dei tanti tifosi che, in lui, avevano riposto speranze di successo. Dopo una stagione da protagonista, con la Juventus che è riuscita a issarsi al secondo posto, dietro sempre al Milan, nel 1994 Baggio trascinò l’Italia, praticamente da solo, in una storica finale contro il Brasile. Ma quel pomeriggio avverso, furono i rigori a strozzare le grida di gioia.
Il Divin Codino, però, non si è mai dato per sconfitto: al Milan, tra alti e bassi, non ha espresso tutta la sua grazia. E’ rinato a Bologna, è diventato leggenda a Brescia.

In una lettera rivolta ai giovani e ai suo figli, durante una serata del festival di Sanremo nel 2013, si intuisce perché è arrivato fin là, avendo il rispetto di tifoserie e avversi rivali. E’ stato e, forse lo è tutt’ora, il più grande calciatore italiano – e uomo- di sempre:

La lettera di Roberto Baggio indirizzata ai giovani 14-02-2013 (Sanremo 2013) from dioddo on Vimeo.

Quando è sceso in campo in molti pensavano che sarebbe diventato un grande calciatore, il Borussia Dortmund (squadra proprietaria del suo cartellino) ha sempre creduto in lui, anche nei momenti più difficili. Ora però per il 21enne Dario Scudieri è momento di voltare pagina perché, dopo il grave infortunio di due anni fa, i medici gli hanno consigliato il ritiro dal calcio giocato.

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Dario Scuderi in azione con il suo Dortmund II

Sì perché il terzino originario di Paternò è rimasto coinvolto in un gravissimo infortunio durante un match di Youth League (la Champions League Primavera) nel 2016 con il suo BVB II contro il Legia Varsavia. In quella partita l’allora sedicenne difensore si è rotto il crociato, il menisco e tutti i legamenti del ginocchio, con seri problemi di circolazione del sangue lungo tutta la gamba, che ha fatto ipotizzare addirittura un’amputazione.

Per lui si erano fatti avanti ad augurargli il meglio campioni come Totti, Neymar e Iniesta attraverso i social.

Un vero e proprio dramma per un ragazzo che aveva in mente soltanto il calcio. Ora, dopo 9 operazioni, Dario è tornato alla normalità e a correre anche se non potrà più giocare a calcio. Tuttavia il Borussia Dortmund gli ha voluto dare una seconda possibilità.


Il club giallonero ha intenzione di offrirgli un posto all’interno dello staff delle giovanili. Una possibilità di continuare a crescere in un club importantissimo qual è il Dortmund, non da calciatore ma da collaboratore tecnico.

Il giovane Scudieri ha apprezzato tantissimo il gesto della squadra in cui è cresciuto e che gli ha permesso di esordire anche nelle giovanili dell’Italia (tra cui due presenze con l’U19).
La società, dopo l’infortunio, ha offerto gli studi in Management dello Sport. Certo lui avrebbe sicuramente voluto ritornare a calpestare l’erba in campo, ma il rischio è troppo grande ed è per questo che con razionalità ha preferito dire basta con il calcio giocato, accettando un ruolo da collaboratore.

Una nuova vita per il giovanissimo Scuderi, comunque nel mondo del calcio.

Vincenzo Cerrone è il custode dello stadio San Paolo di Napoli. Di campioni, di vittorie e di delusioni ne ha visti tanti, tantissimi. Ma sempre dalla sua stanzetta all’interno dell’impianto: un divano, un tavolo, la televisione e una macchinetta per il caffè, ovviamente. A pochi passi dal rettangolo di gioco, ma sempre dietro le quinte, quasi sempre da solo. Del resto da quasi 40 anni è la sua seconda casa, ma il 18 settembre 2013 ha avuto un ospite speciale, anche se lui, in contrapposizione a Mourinho, si definisce “The normal one”: Jürgen Klopp.

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Era il nuovo ciclo di Rafa Benitez a Napoli, c’era la voglia di affermarsi anche in campo internazionale. Il San Paolo sognava con la musica della Champions League e i partenopei furono inseriti nello stesso girone del Borussia Dortmund, il club spumeggiante tedesco finalista dell’edizione precedente. Ma in zona Fuorigrotta non ci sono timori nei confronti della squadra che in Bundesliga è partita a razzo, a punteggio pieno dopo cinque giornate.

Ma di fronte ci sono Higuain e Insigne spinti da un moto unico che solo quello stadio sa dare: così al 29’, il Pipita manda in estasi Napoli e manda su tutte le furie Klopp, sulla panchina del Borussia, che inveisce contro il quarto uomo per contestare il ritardo nel rientro in campo di Subotic. L’arbitro Proença non gradisce la scenata e allontana l’allenatore che, furioso, non vuole avere contatti con nessuno. Niente tribuna, quindi, e Vincenzo Cerrone a gianlucadimarzio.com racconta l’aneddoto:

Io vidi tutto dal televisore, era arrabbiatissimo. Pensavo che sarebbe andato in tribuna centrale come succede in genere in questi casi. Invece, dopo il suo rifiuto, l’hanno portato da me negli spogliatoi. E ovviamente l’ho accolto. Gli ho preparato il caffè poi abbiamo fumato una sigaretta insieme. Considerando come l’avevo visto in campo, è stato molto gentile e anche durante la partita è stato piuttosto tranquillo

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E a partita conclusa, Klopp ha ringraziato il custode omaggiandolo con la maglia di Marco Reus. E mentre ricorda Diego Maradona, la visita più gradita che ha mai ricevuto nella sua stanzetta, Cerrone è pronto a riabbracciare Klopp, oggi allenatore del Liverpool e prossimo avversario del Napoli in Champions League (mercoledì 3 ottobre, ore 21). Il caffè è già pronto.

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Foto eslusiva di Napolimagazine.com

Già da tempo Usain Bolt insegue il sogno di intraprendere la carriera calcistica. Dopo un passato brillante da campione nell’atletica, ora comincia per lui un nuovo percorso che si sta rivelando più faticoso di quanto lui stesso pensasse.

Un piccolo ma importante passo verso la realizzazione del suo obiettivo lo ha fatto allenandosi col Borussia Dortmund. Che si tratti di provino ufficiale o semplice allenamento per capire le sue qualità non fa differenza: il campione ha avuto la possibilità di giocare con grandi calciatori che spera un giorno di chiamare compagni di squadra.

E non è andata poi così male, anzi pare che abbia fatto vedere due o tre gol di impatto che hanno sicuramente colpito il ct della squadra tedesca. Stoger però non si sbilancia e pur ammettendo le buone capacità di partenza e la velocità che lo ha reso famoso nello sprint, confessa anche che c’è ancora tanta strada da fare:

La fisicità di cui ha bisogno è un’altra rispetto a quella che ha. Su quello deve lavorare. Si vede che capisce il gioco. Ha ottimi spunti, penso abbia talento. Per stare al livello dei professionisti dovrebbe allenarsi alcune settimane con una squadra. Certo, alla sua età non ha grande potenziale di crescita

Durante questo allenamento Bolt ha risentito della stanchezza fisica, abituato finora a ben altri sforzi. Ma la sua grinta e soprattutto la determinazione a giocare in un grande Club non gli permettono di mollare e neanche di smettere di divertirsi mentre ci prova:

Questa due giorni me la sono davvero goduta. Devo ammettere che è stato faticoso, non sono abituato a correre così a lungo. Ho bisogno di stimoli. Prima volevo dominare il mondo da centometrista, ora voglio fare il calciatore. Penso che il calcio mi possa stimolare

Le sue ambizioni sono abbastanza alte e non si fermerà prima di avere indossato la maglia di una delle squadre più importanti: 

Voglio dimostrare al mondo che è possibile. Voglio riuscire a giocare per una squadra di uno dei migliori 5 campionati d’Europa. Non è importante che sia Inghilterra, Spagna, Francia, Germania oppure Italia

Ben 51 anni fa nasceva, in una cittadina del profondo Veneto a due passi da Vicenza, quello che, a detta di molti, è stato il più cristallino talento che il nostro calcio abbia saputo plasmare nel Dopoguerra, un calciatore che con la sua eleganza di tocco e di movenze sapeva far apparire semplice anche il più complesso esercizio di tecnica, che ha saputo essere decisivo con il proprio club e con la Nazionale, riuscendo a raggiungere nel 1993 il massimo riconoscimento a cui un calciatore possa ambire: il Pallone d’Oro. Nasceva Roberto Baggio.

Le sue gesta sono state capaci di un unire forte un paese, l’Italia, sicuramente più propenso a dividersi nelle opinioni e nei comportamenti, dove si reputa forte chi critica più aspramente, chi si dimostra più sprezzante ed offensivo.Si può facilmente ammettere che Baggio sia stato l’idolo senza maglia.

Con Roberto Baggio tutto questo non era possibile: lui era il calcio, non potevi non amarlo. Al più, potevi sentirti tradito come da una compagna che ti ha lasciato senza apparente motivo ma a cui sei comunque legato, come accadde ai tifosi della Fiorentina quando, nella stagione 90/91, Roby passò alla corte dell’odiata Juventus di Gigi Maifredi per 16 miliardi di lire e il cartellino di un altro dei prospetti più interessanti del calcio di quegli anni, Renato Buso. A Firenze ci furono proteste di piazza contro la Presidenza Pontello e scontri che mai si erano visti per la cessione di un giocatore ma il troppo amore può portare anche a questo, ad andare oltre le righe.

Il suo nome è inscindibilmente legato a due eventi: la vittoria del Pallone d’Oro 1993 e il Mondiale di Usa ’94.

IL PALLONE D’ORO 1993

Il 1993 è un’annata dorata per il fenomeno di Caldogno: Baggio, nonostante la miriade di infortuni già patiti nel corso della sua giovane carriera, riesce infatti ad essere decisivo per la conquista della Coppa Uefa da parte della Juventus con tanto di doppietta nella finale di andata contro il Borussia Dortmund.
Quell’anno non ce n’è per nessuno: Roby vince il Pallone d’Oro davanti a Dennis Bergkamp e Eric Cantona, il Fifa World Player e l’Onze d’Or guadagnandosi un posto indelebile nella storia del calcio.

Ma il suo mito è sicuramente annodato alle sue clamorose prestazioni al mondiale americano dove risollevò dalle proprie ceneri un’intera Nazionale portandola ad un passo dalla più clamorosa delle vittorie Mondiali.

USA ‘94

 I mondiali di calcio, in quel ‘94 sarebbero stati disputati in America. Mossa, riuscita, voluta dalla Fifa per provare ad appassionare al “soccer” un popolo abituato a sport più sedentari come il baseball o il football americano.
La Nazionale di Sacchi arrivava negli States nell’occhio del ciclone della critica e con il morale sotto i tacchi dopo l’indimenticabile sconfitta 2-1 con il Pontedera in un’amichevole di preparazione, che aveva messo sulla graticola l’Arrigo nazionale e tutti i suoi fedelissimi.

E di certo i risultati del primo girone eliminatorio non autorizzavano a pensieri sereni visto che gli Azzurri superarono il turno per il rotto della cuffia come migliore terza grazie ad una sudatissima vittoria con la Norvegia, dopo una sconfitta con l’Eire e prima di un pareggio risicato (1-1 gol di Massaro) con il Messico.
Proprio contro i colossi scandinavi si assisteva al punto più basso della campagna statunitense di Baggio. Gli azzurri iniziano contratti e la Norvegia ci crede. Al 21’ Mussi sbaglia il fuorigioco, Leonhardsen si invola verso la porta e viene steso da Pagliuca: rosso inevitabile. Sacchi, preferendo la corsa di Signori alla creatività di Baggio, lo richiama in panchina.
Fortunatamente in squadra – guarda il caso – c’è un altro Baggio, Dino, che al 69’ trova la giusta incornata e scaccia l’incubo.

Agli ottavi c’è la Nigeria, squadra giovane e dinamica, che ha destato una grande impressione mettendo in mostra alcune perle assolute, come J.J. Okocha, Finidi George e Oliseh. Gli africani partono forte e vanno in vantaggio con Amunike, restiamo in 10 per il protagonismo del pessimo arbitro Brizio Carter e non ci sono scintille di reazione.

La partita sembra finita e sepolta, la Nazionale pronta alla giubilazione, all’esonero cruento Sacchi, alla decapitazione Matarrese. Sembra già tutto deciso, ma nessuno ha fatto i conti con due fattori che hanno poco di terreno: la Regola del 12 e un marziano di nome Roberto Baggio.
Mussi vince un rimpallo e fornisce a Baggio la palla della vita: Pareggio all’ultimo respiro. E’ qui che il “Divin codino” ci fa capire la sua grandezza: riesce a far sbottonare un rigido Sandro Ciotti che, durante la radiocronaca, esclamò un «Santo Dio, era ora!» che mette ancora i brividi.
Nei supplementari, Benarrivo si invola in area e viene steso: Roby insacca dal dischetto e portiamo a casa un’insperata qualificazione ai quarti.

Da quel momento in poi è storia nota: Roby si sblocca e, con prestazioni ai limiti dell’umano con Spagna (gol vittoria) e Bulgaria (doppietta d’autore), ci porta quasi da solo a Pasadena dove purtroppo il finale, al cospetto dell’eterno nemico Brasile, è quello che tutti ricordiamo. Davanti a Taffarel la tensione anestetizza Baresi, Massaro e proprio Baggio e la Coppa del Mondo va a Brasilia.

Ma tant’è: non è certo da un calcio di rigore che si giudica un giocatore. Baggio è stato la delizia degli allenatori che hanno avuto la fortuna di poterlo annoverare tra le fila delle loro squadre grazie al suo talento cristallino e alla sua capacità di determinare nei momenti decisivi. Qui sta la grandezza del calciatore. Certo, come tutti i geni, il suo temperamento era solo apparentemente remissivo, prova ne siano gli screzi avuti con Arrigo Sacchi e, ancor più, con Marcello Lippi, ma la sua professionalità e la sua dedizione alla causa sono sempre rimaste intatte. Qui sta la grandezza dell’uomo.

Roberto Baggio è stato una perla preziosa, una stella del firmamento calcistico.
A questo punto, che si può dire di fronte a un campione di queste dimensioni nel giorno del suo cinquantesimo compleanno? Forse la semplicità è la soluzione migliore: Buon compleanno Divin Codino. E grazie di tutto.

A Dortmund in pochi, questa notte, sono riusciti a chiudere occhio. Il terrore bussa alla finestra, vuole entrare nei cuori e disfare le menti. E’ imprevedibile: colpisce quando meno te lo aspetti. E attacca chiunque.
Ieri aveva puntato i calciatori del Borussia Dortmund. Il martedì della Champions League, una di quelle partite che contano davvero durante la stagione. Contro i francesi del Monaco, nell’affascinante stadio del Signal Iduna Park.

Superate da poco le 19, il pullman che portava la squadra tedesco verso lo stadio è stato attaccato. Tre esplosioni, una dopo l’altra, a 10 km dallo stadio, lungo la Wittbraeucker Strasse. Un attacco mirato, preciso, organizzato da professionisti, da chi, insomma, sa come collegare e piazzare ordigni.
Circolano ipotesi, si fanno idee. Tante teorie, ovviamente, che mettono in mezzo gruppi antifascisti e terrorismo internazionale. La polizia, spiega il giornale Süddeutsche Zeitung, sta seguendo varie piste, ma nelle ultime ore ha preso corpo la pista islamica. Una lettera, la cui autenticità va tutta confermata, trovata nei pressi dell’esplosione comincerebbe con le parole “In nome di Allah il compassionevole, il misericordioso”.

I giocatori, ovviamente, sono sotto shock. Partita rinviata (si giocherà oggi alle 18.45), ma per fortuna, considerando il potenziale rischio di una strage, a riportare delle ferite è il solo centrale spagnolo Marc Bartra. Inizialmente si parlava di lievi ferite al braccio, mentre secondo le ultime informazioni è stato operato al polso per una frattura e per rimuovere le schegge.
Il portiere svizzero Roman Bürki è stato l’unico a parlare, colto dai giornalisti arrivati sul posto: «L’autobus ha girato sulla strada principale e c’è stata un’enorme detonazione. Io ero seduto in fondo vicino a Bartra, che è stato raggiunto da schegge di vetro. Dopo l’esplosione, eravamo spaventati, non sapevamo se potesse succedere altro. La polizia è arrivata rapidamente e ci ha rassicurati».
«Immagini del genere non escono dalla testa»
, ha detto, invece, il direttore generale del Borussia Dortmund, Hans-Joachim Watzke.

.Il terrore, come detto, bussa. Ma Dortmund non lo vuole fare entrare. L’umanità, lo spirito che unisce le persone, le fa abbracciare, è stato superiore. Ha vinto a tavolino contro la paura.
I tifosi francesi che ero già all’interno dello stadio, dopo aver saputo dell’attacco agli avversari hanno iniziato a intonare un potente coro, all’unisono. “Dortmund, Dortmund” hanno gridato, con quella loro “r moscia” riconoscibile ovunque, levando al cielo la voglia di affermare energie positive.

Ma non è tutto: lo stesso Borussia, sul suo profilo Twitter, ha lanciato l’hashtag #bedforawayfans. In buona sostanza, considerando il giorno in più di permanenza per molti supporter monegaschi, vari tifosi Bvb hanno deciso di accoglierli in casa, facendoli riposare e passando una serata particolare. Guardare le immagini per credere: se il terrorismo prova a dividere, il calcio sicuramente unisce. Das ist Fußball!

 

Giovanni Sgobba

L’ultimo, in ordine di tempo, è stato Jamie Vardy, l’attaccante del Leicester e della Nazionale inglese che, dopo il gol contro la Spagna, nell’amichevole finita 2-2, ha esultato rimanendo immobile. O, per meglio dire, non ha proprio esultato. Semplicemente ha portato in campo un nuovo tormentone nato negli Stati Uniti ed esploso in pochi giorni tra sportivi e non: il Mannequin challenge. La “sfida del manichino” è semplice e intuitiva: più persone assieme, rigide e immobili per alcuni secondi, ricreano delle scene, mentre qualcuno riprende passando in mezzo ai manichini umani.

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L’idea è nata a fine ottobre in una scuola della Florida e, in batter di ciglia, si è propagata in giro per il mondo: cantanti, attori e sportivi, negli spogliatoi, negli stadi e addirittura alla Casa Bianca. Tra i mannequin challenge più famosi c’è, infatti, quello realizzato dalla squadra di basket dei Cleveland Cavaliers con LeBron James e l’ex first lady, Michelle Obama, in grande spolvero.

Una delle migliori e più coinvolgenti performance arriva dall’Australia con gli oltre 11mila spettatori che erano andati alla Perth Arena a vedere la partita di basket tra i Perth Wild Cats e i New Zealand Breakers.

In Europa il tormentone l’ha portato il Borussia Dortmund con un video, postato sul profilo Instagram di Mario Götze, girato nella palestra del club tedesco e con Reus, Schürrle, Weidenfeller, Kagawa e gli altri che ben si prestano alla sfida. Anche i giocatori della Juventus si sono lasciati contagiare,

Il Portogallo è stata la prima Nazionale di calcio a esibirsi. Con Cristiano Ronaldo protagonista in prima fila, completamente nudo, solo in mutande, con gli addominali contratti e una delle sue classiche posizioni statuarie. Oltre ai lusitani, anche la Spagna, sempre nello spogliatoio, si è fatta prendere la mano.

Vardy, dunque, ha portato il mannequin challenge sul rettangolo verde di calcio, ma siamo sicuri che sia stato il primo a esultare rimanendo fermo? In Italia ricordiamo ancora Mark Bresciano, centrocampista australiano, con quasi 250 presenze in Serie A tra Empoli, Parma, Palermo e Lazio. Ad ogni gol si irrigidiva e senza tradire sentimenti ed espressioni, rimaneva fermo, imperioso, come una statua.

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