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Mercoledì 15 aprile 1998, il Corriere della Sera intitola:

All’Olimpico i biancocelesti, con una partita meno brillante del solito, passano grazie all’1-0 dell’andata a Madrid. La Lazio soffre ma centra l’euroderby di Parigi. Respinti gli assalti dell’Atletico di Vieri: il 6 maggio la finale tutta italiana contro l’Inter. L’ex bianconero annullato da un Nesta implacabile. Serata negativa per Boksic e per l’estro di Mancini

La sera prima, la Lazio si gioca la semifinale di Coppa Uefa contro l’Atletico Madrid e, nonostante lo 0-0, raggiunge la storica finale grazie alla vittoria pesantissima in trasferta. Elogio negli elogi, la prestazione di Alessandro Nesta, 22 anni da poco compiuti, che giganteggia nelle retrovie e annulla l’insidia Vieri. Nesta-gladiatore, Nesta-implacabile, «Loro hanno Ronaldo, noi abbiamo Nesta», si lascia andare il laziale Diego Fuser pronosticando il duello nella finale contro l’Inter che poi vedrà i neroazzurri smontare 3-0 i biancocelesti.

Due giorni dopo, il 16 aprile, la Repubblica dedica un pezzo intero al ragazzotto romano: “Classe Nesta: la mia forza è l’indifferenza”. E poi l’attacco:

Cosa fa un giovane campione, reduce da una notte trionfale, lanciato a vele spiegate verso il Mondiale, chiamato “immenso” dal suo datore di lavoro Cragnotti e “fuoriclasse ventiduenne” dal suo allenatore Eriksson? Monta sulla sua Golf cabrio nel giorno di riposo e va dalla mamma, in campagna, nella casa che lui stesso ha comprato con i soldi guadagnati come calciatore. Località Collevecchio, provincia di Rieti, rifugio dei Nesta da quando Alessandro ha cominciato a percorrere la sua strada. Quella del predestinato…

Lanciato a vele spiegate verso il Mondiale. Quello di Francia 1998. Già.

Lunedì 8 gennaio 2007. Il giorno in cui, come lo stesso numero 13 ha avuto modo di dire, Nesta si è convinto di aver vinto il Mondiale berlinese.

…Fino a quel momento nella mia testa ne era mancato un pezzettino. E’ squillato il cellulare, ero a Miami, a curarmi la spalla dopo l’ennesimo infortunio della mia carriera. Ancelotti mi aveva concesso il permesso di andare dall’altra parte del mondo e il Milan anche. Non ero proprio carico, anzi, non andava bene niente a livello fisico. Mi sentivo un condannato al dolore, sia in Nazionale che nel club: se guarivo, poco dopo mi rifacevo male. Stancamente, in maniera quasi scocciata, ho risposto:

“Pronto…”

“Ale, sono Lippi”

“Mister, che piacere”

“Il piacere è tutto mio. Ascolta qui, senti cosa sta succedendo”

In sottofondo udivo una voce calda, importante. Era il presidente della Repubblica Napolitano. Al Quirinale stava rendendo omaggio ai Campioni del Mondo.

“Ale, siamo a Roma, ci stanno premiando per il Mondiale vinto. Sei uno di noi. Hai capito? Sei uno di noi, uno dei ventitre, non te lo dimenticare mai”

Nesta e i tre Mondiali sono questo. E questa è l’icona più fedele della sua elegante, mortale e cristallina carriera da difensore. Come le sue scivolate. Pacchetto “all-inclusive”: il migliore difensore al mondo con il rischio di lasciarti sul più bello. Tre volte convocato alla Coppa del mondo da titolare, tre volte infortunato. 

In Francia, terza partita del Gruppo B di qualificazione: Italia – Austria 2-1. Nesta gioca solo tre minuti: duro scontro, lesione del legamento crociato anteriore, sei mesi di stop e addio sogni. Al suo posto entra Bergomi. Un dejà vu quattro anni dopo, anzi, forse anche peggio: ancora Gruppo di qualificazione, è quello G, ma è la seconda partita: Italia – Croazia 1-2. Nesta esce zoppicante dopo 24 minuti, il giorno dopo è un tam-tam di speranze tra infiltrazioni, riposo e preghiere. Riesce a essere in campo nell’ultima partita del girone pareggiata 1-1 contro il Messico, ma guarderà dalla panchina la mattanza beffarda coreana con il golden gol di Ahn. 

E arriva il 2006. Quello della maturità piena di Nesta e Cannavaro come centrali difensivi dopo che Maldini ha abdicato dal trono di leader della Nazionale. Con Buffon, un reparto inespugnabile come effettivamente sarà. Ma per Alessandro il nemico peggiore è quello muscolare. Terza partita del Gruppo E, contro la Repubblica Ceca. Diciassette minuti e il ct. Lippi e il dottor Castellacci si guardano, quasi affranti, mentre Nesta fa cenno che qualcosa non va. Distrazione al muscolo ileo-pettineo, entra Materazzi ed è il momento sliding-doors di quel Mondiale italiano. Marco segna dopo nove minuti, l’Italia vince 2-0 e vincerà il quarto Mondiale.

L’ex difensore di Lazio, Milan, Montreal Impact e Chennaiyin FC, a caldo, dice di non sentire sua questa medaglia. Non c’ha creduto fino a lunedì 8 gennaio 2007. Quel ragazzotto scoperto da uno scout della Roma, ma passato alla Lazio perché il babbo era laziale, che ha fatto il suo esordio in Nazionale prima squadra a 20 anni con Arrigo Sacchi e che ha detto definitivamente “ciao” all’azzurro l’11 ottobre 2006 nel match contro la Georgia,  quel ragazzo che si aggiustava continuamente la sua luccicante acconciatura a ogni colpo di testa, che sì, nonostante gli infortuni, ha vinto tutto. Che ha sollevato timidamente la Coppa assieme ai suoi compagni quasi in difetto e in dovere nei loro confronti. E ha messo tutti d’accordo: Alessandro Nesta, la tempesta perfetta.

Da un lato uno strapotere straboccante, intinto di pomposità e megalomania, la brama di far vedere a tutti la supremazia della razza ariana e della Germania nazista. Dall’altro un ragazzo di 23 anni, nero proveniente da una famiglia povera americana del Sud, durante gli anni difficili della depressione degli Stati Uniti.
Ancora, da un lato Adolf Hitler che vuole sfruttare l’eco di un evento sportivo magnifico come l’olimpiade per fare propaganda, dall’altro il ragazzo che eclisserà in quell’istante il Führer e che legherà il suo nome per sempre allo sport e alla narrazione dell’Olimpiade del 1936 a Berlino.

Jesse Owens, il velocista e lunghista statunitense che veniva dall’Alabama, capace di vincere quattro medaglie d’oro nella stessa edizione dei Giochi Olimpici. Nessuno come lui nell’atletica leggera. Un primato solo eguagliato dal connazionale Carl Lewis alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1984.
Settimo di dieci figli di un agricoltore, nato il 12 settembre 1913, il suo vero nome era James Cleveland: si faceva chiamare J.C. che se letto all’inglese ha il suono “Geisi”. Da qui Jesse il passo è breve anche perché a causa del suo accento marcato, a scuola la maestra capì Jesse e iniziarono a chiamarlo tutti così.

 

Jesse Owens ha vinto di nuovo - John Doe - Medium

Il legame che lega l’atleta statunitense alle Olimpiadi di Berlino è forte, viscerale e trascina con sé tante altre storie che inquadrano la difficile impresa di questo ragazzo. Il 3 agosto vinse i 100 metri, il 4 agosto il salto in lungo, il 5 agosto i 200 metri e il 9 agosto la staffetta 4×100. Owens, sazio di successi e non sapendo che era prossimo a stabilire un record storico, disse di rinunciare alla staffetta per lasciare il posto alle riserve che, secondo lui, meritavano un po’ di spazio e di gloria. «Giammai», dissero i dirigenti che spinsero per vederlo gareggiare.

Si è detto tanto del saluto-non saluto di Hitler al corridore americano: lui stesso ha smentito una cerca narrativa che vedeva il dittatore tedesco lasciare anticipatamente lo stadio per non dover stringere la mano al ragazzo nero. In realtà ciò non accadde. Ma fu un eroe senza patria: Owens, tornato in America, non ricevette l’omaggio del presidente Roosevelt, in un’epoca in cui vigeva la segregazione razziale in un momento di piena campagna elettorale.

Ma Jesse Owens è stato tanto altro, anche prima dell’Olimpiade. E se l’impresa berlinese è irripetibile e immortale quella del 25 maggio 1935 è davvero titanica. Nel giro di 45 minuti, al Big Ten meet di Ann Arbor, nel Michigan, Jesse stabilì tre record del mondo, eguagliandone un quarto: salto in lungo con la misura di 8,13 metri, 220 iarde piane in rettilineo (20″3), 220 iarde a ostacoli in rettilineo (22″6, primo uomo a scendere sotto i 23″), ed eguagliò quello delle 100 iarde (9″4). Ma non è tutto: fece anche i record delle 100 e delle 220 iarde, ma quelle sono distanze americane che non si corrono alle Olimpiadi.

I più grandi 45 minuti nella storia dello sport. Un record ogni 10 minuti circa di media. Sport Illustrated, ironizzando, ha scritto:

Per trovare una simile scala di successo bisogna percorrere il campo dell’arte e pensare a Mozart che in solo sei settimane ha composto le sue ultime tre sinfonie nell’estate del 1788 o di Shakespeare che scrive “Enrico V”, “Giulio Cesare” e “Come vi piace” nello stesso anno

Non è una leggenda, è tutto vero. Ma non solo: cinque giorni prima della competizione, Owens cadde dalle scale del suo dormitorio presso l’Ohio State University. E la stessa mattina de 25 maggio, la situazione non migliorò: secondo i documenti dell’epoca, i compagni lo aiutarono a scendere dalla macchina del team e, una volta arrivato allo stadio, il ragazzo di Alabama non riusciva nemmeno a piegarsi.
Poi si fece un bagno caldo di mezz’ora e corse verso il trionfo e la storia

Jesse Owens' Nazi-era Olympic medal up for auction | The Times of ...

Nove luglio 2006. In molti ricorderanno dove hanno trascorso quella serata, quando la nazionale di Marcello Lippi batteva la Francia in finale a Berlino e conquistava la quarta Coppa del Mondo della storia. Dopo un’ora e mezza di sofferenza, la lotteria dei rigori per gli Azzurri arrivati in Germania in pieno scandalo Calciopoli, tra le polemiche più feroci.

Nella finalissima, giocata all’Olympiastadion, la Francia passa in vantaggio con il solito Zidane già al 7′ su calcio di rigore, dopo un contatto in area tra Materazzi e Malouda. Zidane calcia il rigore a “cucchiaio”, la palla colpisce prima la traversa e poi rimbalza dentro la linea di porta. L’Italia reagisce pareggiando con Materazzi al 19′ sugli sviluppi di un calcio d’angolo (il secondo gol su calcio d’angolo per lui). Dopo un primo tempo in cui l’Italia gioca meglio (con un colpo di testa di Materazzi salvato sulla linea e un colpo di testa di Toni che finisce sulla traversa), nel secondo tempo gli azzurri soffrono chiudendosi in difesa e lasciando spazio alle giocate transalpine, che però non riescono a produrre importanti azioni da gol, grazie a una difesa italiana ben schierata.

Anche durante i supplementari i francesi continuano ad attaccare creando due grandi pericoli: un tiro di Frank Ribery, di poco fuori, e un colpo di testa di Zidane, sventato grazie a una grande parata di Gianluigi Buffon, eletto miglior portiere del torneo. Al 111’ però Zidane viene espulso dall’arbitro, su segnalazione del quarto uomo, per aver colpito intenzionalmente Materazzi con una testata, che susciterà enormi polemiche. Al termine dei 120 minuti il risultato è ancora fermo sull’1-1 e, per la seconda volta nella storia, la Coppa del Mondo viene decisa ai tiri di rigore, dopo i Mondiali 1994, in cui l’Italia aveva perso contro il Brasile per 3-2.

Dopo 4 rigori a testa l’Italia è a punteggio pieno mentre la Francia è ferma a 3 (Trezeguet ha sbagliato il 2° tiro colpendo la traversa, mentre hanno segnato Pirlo, Materazzi, De Rossi e Del Piero per l’Italia, e Wiltord, Abidal e Sagnol per la Francia). Fabio Grosso, che aveva già deciso le sfide con l’Australia e con la Germania, segna il rigore del definitivo 5-3 e permette all’Italia di vincere il 18° Campionato mondiale di calcio, il quarto della storia azzurra dopo i successi del 1934, 1938 e 1982.

E se è vero che ci ricordiamo con chi eravamo, nella nostra memoria sono impresse anche le frasi celebri di quei Mondiali tedeschi: dai “po-po-po” al “il cielo è azzurro sopra Berlino”. E per questo rivivere le lotterie dei calci di rigore con la radiocronaca di Riccardo Cucchi è un infinito brivido che corre lungo la schiena.

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Meglio di Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, una campionessa sempreverde e, nonostante le 40 primavere, non ha intenzione di dire basta.

Stiamo parlando di Francesca Piccinini, capitana dell’Igor Volley Novara, fresca vincitrice della Champions League in finale contro Conegliano. Per la schiacciatrice massese è il settimo titolo europeo in carriera per colei che è un’icona della pallavolo italiana e mondiale.

Un po’ come il portiere Gianluigi Buffon, Francesca vuole continuare a vivere le emozioni che il campo le offre. L’età sembra solamente un numero perché i fatti sono ben altri. La campionessa continua a stupire e a regalare prestazioni top da protagonista, non ultima nella super finale di Berlino.

Il suo intento è quello di giocare almeno per un altro anno, forse ancora a Novara.

I segreti di questa longeva carriera sono legati al gruppo e al sacrificio. Anche se con molte sue colleghe ci sono quasi venti anni di differenza (un esempio Piccinini classe ’79, Paola Egonu ’98) le compagne di squadra non lo fanno certamente pesare trattandola, appunto, come loro coetanea.

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Francesca Piccinini durante i festeggiamenti davanti ai tifosi dell’Igor Novara

Altrettanto importante è il lavoro e la voglia di mettersi in gioco. Si allena tutti i giorni e gli acciacchi non ci sono, pertanto l’idea di dire basta è ancora abbastanza lontana.

La pallavolo ha regalato tanto alla schiacciatrice toscana ma è anche lei che ha offerto tanto a questo sport, donando tantissime gioie con tantissimi titoli in bacheca, ma anche valori. Quei valori che Francesca Piccinini, sottolinea, che sono un po’ smarriti nella società attuale.

Una bacheca infinita iniziata con la medaglia d’argento all’Europeo 1994 con la nazionale Under 19 e con i primi successi a livello di club nella Volley Modena in Coppa delle Coppe e Supercoppa Europea. Da lì in poi una serie di traguardi raggiunti e un palmares che continua ad arricchirsi di medaglie.

In 25 anni di carriera, nei club, ha conquistato: 5 scudetti, 4 Coppe Italia, 5 Supercoppe Italiane, 7 Champions League, 1 Supercoppa Europea, 1 Coppa Cev e 1 Coppa delle Coppe. Praticamente tutto.

Successi anche con la nazionale italiana (senza calcolare i titoli minori): 1 oro Mondiale; 1 oro, 2 argenti e 1 bronzo europeo; 2 argenti e 3 bronzi al World Grand Prix; 1 oro in Coppa del Mondo e 1 oro al Grand Champions Cup.

Una prossima sfida, extrasportiva, sarà la partecipazione alla trasmissione televisiva “Ballando con le stelle” in cui la Piccinini sarà appunto ballerina per una notte. Una sfida, per quando afferma la schiacciatrice, ancora più difficile dato che il ballo non è proprio il suo punto forte.

Ce l’hanno fatta. I ragazzi di coach Fefè De Giorgi raggiungono per il secondo anno consecutivo la finale di Cev Champions League e se la vedranno nuovamente contro lo Zenit Kazan, campione delle ultime quattro edizioni.

Dopo il successo per 3-0 in Polonia, i cucinieri si sono ripetuti all’Eurosuole Forum, conquistando prima i due set utili per strappare il pass per la finale (25-15, 25-20) nella capitale tedesca del 18 maggio prossimo, per poi vincere anche l’ultimo (27-25).

I russi hanno battuto in semifinale la sir Safety Conad Perugia la quale, dopo il beffardo 3-2 subito all’andata, ha perso anche nel ritorno in Russia, per 3-1.

Sfumata per poco una finale azzurra anche tra gli uomini per quello che sarebbe stato qualcosa di meraviglioso. Tra le donne è successo grazie alle vittorie dell’Imoco Volley Conegliano e dell‘Igor Volley Novara.

Per Civitanova però, ora è tempo di vincere. Le ultime finali giocate, a livello nazionale e internazionale, sono state tutte perse, pertanto bisogna fare tutto il possibile per portare a casa il trofeo europeo, come dice il patron Giulinelli:

Fare otto finali di seguito penso che sia un qualcosa di esaltante e il ripetersi vuole dire che abbiamo fatto un lavoro eccezionale. Lo voglio rimarcare, perché noi vediamo che nel campionato e nelle coppe c’è un’alternanza delle squadre, invece la Lube è sempre lì e stavolta Berlino sarà la nostra finale!

La Lube ha fatto un percorso quasi perfetto nella Cev Champions League grazie ai 10 successi su altrettanti match. Quasi perfetto perché c’è da vincere una finale, e solo dopo si potrà parlare di perfezione.

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La gioia di Juantorena

Uno dei migliori di questa stagione è sicuramente Juantorena. L’azzurro ha realizzato 12 punti contro i polacchi, prima di rifiatare un po’ grazie ai cambi di coach De Giorgi.

Abbiamo avuto un percorso difficile ma costante in questa competizione, dieci vittorie di fila e finalmente siamo a Berlino per giocare alle Super-Finals”.

Grande gioia e soddisfazione agli Europei di ciclismo su pista 2017 che si stanno svolgendo in Germania, nella città di Berlino.

Ieri, 19 ottobre, la squadra delle azzurre ha compiuto una vera e propria impresa, conquistando l’oro con un tempo record totale di 4’17”853.

Le protagonista di questa grande conquista sono Letizia Paternoster, Elisa Balsamo, Silvia Valsecchi e Tatiana Guderzo, che riescono a battere una Gran Bretagna molto combattiva che fino alla fine ha cercato di rubarle il primo posto nel podio.

Le aspettative e la fiducia nel quartetto italiano sono cominciate già dalla semifinale, quando l’avversaria da affrontare era la Polonia. In uno scontro decisivo dove l’Italia ha primeggiato quasi completamente, si registra la prima importante vittoria che fa volare direttamente in finale le nostre azzurre.

Con la Gran Bretagna la gara di inseguimento è stata sicuramente più complicata: le avversarie britanniche hanno dato del filo da torcere alle neo campionesse europee, che nella prima parte erano addirittura in svantaggio. Verso metà gara hanno tentato una rimonta che però non ha sortito l’effetto desiderato. Soltanto verso la fine, praticamente agli ultimi giri, lo slancio delle azzurre è stato determinante e porta l’Italia al comando fino al traguardo.

Incredule le avversarie britanniche sono costrette ad accettare la vittoria dell’Italia che viene incoronata regina d’Europa!

Per l’Italia è una doppia soddisfazione, perché oltre a trionfare con un oro, può vantarsi di aver stabilito anche il nuovo record mondiale italiano.

un quartetto vincente

Che dire, dunque, delle nostre vincitrici? La grande conferma è sicuramente Elisa Balsamo, che nonostante la sua giovanissima età, si ritrova già al suo secondo trofeo nell’inseguimento a squadre femminile. A distanza di un anno, eccola dunque a festeggiare nuovamente il titolo di campionessa d’Europa insieme alle sue compagne.

Silvia Valsecchi e Tatiana Guderzo insieme ad Elisa Balsamo si riconfermano, infatti, delle grandi cicliste che non intendono mollare il titolo di campionesse d’Europa, continuando a regalare all’Italia delle enormi soddisfazioni.

La new entry nel gruppo, rispetto all’anno precedente, è Letizia Paternoster, che riesce ad amalgamarsi benissimo con le altre e andare dritto verso la vittoria. Rappresenta un’altra giovane promessa del ciclismo che a soli 18 anni ha già conquistato dei titoli molto importanti come i 4 ori mondiali.

Edoardo Salvoldi, il commissario tecnico delle nazionali femminili di ciclismo, continua a collezionare successi. Poco prima dell’inizio degli Europei aveva espresso ai giornalisti tutta la sua fiducia e l’ottimismo che riponeva proprio nella squadra femminile formata da Paternoster, Balsamo, Valsecchi e Guderzo.

Non era difficile leggere tra le righe che aspirava al bis d’oro, ed eccolo accontentato! Come aveva previsto e sperato, non solo le azzurre hanno vinto, ma hanno anche registrato un nuovo record mondiale. Ed ecco cosa aveva detto proprio all’inizio delle gare europee:

Adesso ci concentriamo sull’Europeo, ma dal prossimo anno iniziamo a pensare in ottica olimpica

I suoi obiettivi sono ben precisi e dopo questo trionfo si guarda alle Olimpiadi di Tokyo 2020 con maggiore fiducia e maggiore concretezza.

Ottimo inizio per gli azzurri impegnati ai campionati europei di ciclismo su pista a Berlino, al via ieri con le qualificazioni dei quartetti donne e uomini.
Per le azzurre del CT Salvoldi un inizio davvero con il botto: loro il miglior tempo in qualifica, con il quale volano alla semifinale contro la Polonia. Non certo da meno gli azzurri del CT Villa, che con il secondo miglior tempo in qualifica accedono alla semifinale contro la Russia. Oggi per l’Italia sarà veramente da…cardiopalma!

Quartetto uomini 

I quattro “moschettieri” Liam Bertazzo, Filippo Ganna, Francesco Lamon e Michele Scartezzini hanno chiuso i tempi di qualifica in 3’58”720, registrando il secondo miglior tempo alle spalle della Francia (detentrice del titolo europeo nella disciplina olimpica) che ha chiuso il suo torneo in 3”58”060. Terzo tempo alla Russia (3’59”434). Per la Gran Bretagna, specialista nella disciplina, un 4’07 ed una caduta che è valsa la conclusione del torneo.

europei di ciclismo su pista

Gli azzurri sono scesi sulla pista di Berlino con grande determinazione, consapevoli del loro valore: quello già dimostrato ai Mondiali di Hong Kong con la conquista del bronzo iridato e con un argento della passata edizione continentale, conquistato in 3’58”871, proprio alle spalle della Francia.

Da metà gara in poi hanno acceso il gas e recuperato il ritardo accumulato. Un esordio che li ha visti in perfetta armonia con Ganna, l’iridato dell’inseguimento individuale nel 2016, che ha tirato sul finale, per oltre tre giri. Ben fatto per gli azzurri e con il pass in tasca guardano a domani, giovedì 19 ottobre (dalle 17.00), dove l’Italia affronterà al primo round, valido per l’accesso alla finale, la Russia.

Quartetto donne

Dopo l’oro conquistato nella passata edizione, il CT Salvoldi ha schierato al via una formazione inedita con le giovanissime Elisa Balsamo e Letizia Paternoster affiancate alle più esperte Silvia Valsecchi e Tatiana Guderzo. Inedita, certo, ma che non ha deluso! Scese sull’anello tedesco le azzurre hanno trovato subito la giusta sincronia in gara e hanno registrato il miglior tempo in qualifica 4’20”636, staccando la Gran Bretagna (secondo miglior tempo in 4’21”219) e la Germania, terzo tempo in 4’25”355. Quarto tempo per la Polonia (argento nel 2016) in 4’26”462 che sfiderà l’Italia nella semifinale di domani.

IL PROGRAMMA DI OGGI

(6 titoli)

17.00 – 18.40
Primo turno inseguimento a squadre maschile e femminile
Qualificazioni team sprint maschile e femminile

19.30 – 22.20
Primo turno team sprint maschile e femminile
Finale eliminazione donne
Finale scratch uomini
Finali inseguimento a squadre maschile e femminile
Finali team sprint maschile e femminile

Azzurri al via oltre agli azzurri del quartetto uomini e donne:
Maria Giulia Confalonieri – Eliminazione
Scratch Uomini – Francesco Lamon
Velocità a squadre Donne – Miriam Vece Elena Bissolati
Velocità a squadre uomini – nessun azzurro al via

Ieri 23 settembre si è conclusa la Maratona di Berlino, che ha incoronato unico vincitore il keniano Eliud Kipchoge. La sua performances è stata ottima e probabilmente se non fosse stato ostacolato dal tempo piovoso e dall’asfalto bagnato sarebbe riuscito anche a battere il record. Il giovane atleta ha tagliato il traguardo con un tempo di 2h 03’32”, che è un risultato eccezionale.

Il record attuale di 2h 02’57” che è stato totalizzato da un altro keniano, Dennis Kipruto Kimetto rimane, dunque, imbattuto dal 2014, sempre nella città tedesca.

Ma il trionfo di Kipchoge è stato comunque un gran successo: è riuscito a mantenere l’andatura e le energie per tutto il percorso, anche se in alcuni momenti sembrava fosse in difficoltà. Nonostante la grande vittoria nel suo viso al termine della gara si leggeva un po’ di delusione per non essere riuscito a centrare il suo obiettivo e battere il record.

Al secondo posto a gran sorpresa vince Guye Adola con un tempo di 2h 03’46”. Il giovane ha stupito tutti con la sua prestazione e nessuno si aspettava da lui un risultato così sorprendente. Possiamo dire che è stato la grande rivelazione di questa maratona di Berlino.
Grande delusione invece per gli atleti Wilson Kipsang e Kenenisa Bekele. Entrambi facevano parte della schiera dei favoriti insieme al vincitore Kipchoge, ma non sono riusciti a aggiudicarsi un posto importante nella classifica finale.

Il keniano Kipsang è stato costretto ad interrompere la gara in seguito ad una forte nausea, che lo ha costretto al ritiro dopo aver percorso 30 km. L’etiope Bekele, invece, ha forse accusato un improvviso e inaspettato calo di energie proprio nel bel mezzo della gara, che lo ha portato a rallentare l’andatura e di conseguenza a perdere ogni possibilità di arrivare tra le prime posizioni. Consapevole del gap si ritira poco dopo.
Fuori anche Sammy Kitwara, che come il keniano, lascia la gara dopo circa una trentina di chilometri.

Senza avversari temibili la corsa verso il traguardo di Kipchoge è proseguita in modo alquanto facile, con l’unica minaccia rappresentata dall’etiope Adola che non riesce comunque a raggiungerlo.

Nel gruppo femminile il trofeo va alla keniana Gladys Cherono, che ha totalizzato un tempo di 2h 20’23”, riconfermando il suo grande talento già affermato con la vittoria del 2015. Dopo un periodo di riposo forzato in seguito ad una frattura si temeva non fosse ancora in forze per gareggiare. I timori erano, però, infondati e l’atleta ha dimostrato a tutti quanto vale.

Una nota di merito va sicuramente anche all’azzurra Catherine Bertone, che raggiunge la sesta posizione, con un tempo di 2h 28’34”: un grande risultato per la categoria over 45. Peccato per un’altra italiana in gara, Anna Incerti, che per un problema di salute è stata costretta a ritirarsi.