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Bisogna volare basso. Con i sogni e con i paragoni pressanti. Ma una paginetta, magari anche minuscola, lui l’ha già scritta. Hyeon Chung, 21 anni, surclassando con un netto 3-0 (7-6 7-5 7-6) il suo idolo Novak Djokovic, è diventato il primo tennista sudcoreano a mettere il naso e la racchetta ai quarti di finale di un torneo del Grande Slam, in questo caso gli Australian Open.

Cresciuto in una famiglia di tennisti, in un paese dove il tennis è fuori dal podio degli sport popolari tra calcio, basket, volley e anche pattinaggio sul ghiaccio, di Chung a colpire a prima vista sono quegli occhiali da miope bianchi e sgargianti. Non porta le lenti a contatto, ma se grande carriera sarà in parte sarà merito anche del suo oculista: da bambino, infatti, fu il dottore che tenere gli occhi su qualcosa di verde – come il campo, appunto – avrebbe migliorato la sua debole vista. Così a 6 anni, Hyeon ha scelto la sua prima racchetta e non l’ha mai più mollata.

Oltre agli occhiali, Chung ha impressionato per la sua agilità e a qualcuno ha ricordato proprio Nole, come detto la sua ispirazione. Eppure il ragazzotto è numero 58 ranking Atp, viene da due anni di infortuni e problemi fisici, ma non ha mai mollato. Forse lo sport è l’unica isola davvero meritocratica che c’è rimasta, bisogna volare basso con i paragoni scomodi, si diceva. Sì perché Chung si è fatto notare già da junior, quando nel 2013 ha raggiunto la finale del torneo giovanile di Wimbledon. Ricordate contro chi?

Dall’altra parte della rete ha trovato un coetaneo italiano, Gianluca Quinzi, all’epoca lanciatissimo verso il tennis pro. Quinzi s’impose su Chung in due set (7-5, 6-2) e l’azzurro divenne il secondo italiano, dopo Diego Nargiso nel 1987, a vincere il torneo junior a Wimbledon. Ma nel 2018 la storia è capovolta: Chung è il Next Gen più forte in circolazione, Quinzi è numero 334 e cerca ancora la sua strada.

Sui campi di Melboune, Chung non ha ancora detto tutto: in semifinale dell’Australian Open affronterà l’americano Tennys Sandgren, ma non solo: vuole superare in classifica il miglior sudcoreano di sempre, Hyung Taik-Lee, che nel 2007 fu numero 36 del ranking.

Si è dovuta arrendere alla numero 4 del mondo nonché sua connazionale, Elina Svitolina, per rompere l’incantesimo agli Australian Open. Si tratta della quindicenne Marta Kostyuk, la prima tennista del 2002 a giocare un terzo turno in un torneo del Grande Slam.

Nata a Kiev il 28 giugno 2002, la giovanissima Marta è riuscita a giocarsi un posto per gli Ottavi di finale dopo aver battuto atlete molto più forti e blasonate di lei come la cinese Peng Shuai (n° 25 del tabellone) e la ceca Barbora Krejcikova (n° 13 del tabellone).

Nonostante la sconfitta però, la giovanissima Kostyuk ha un gran futuro davanti a sé, tant’è che si parla di baby fenomeno.

L’anno scorso proprio sul terreno di Melbourne ha vinto il torneo a livello Juniores. Qualche mese più tardi ha trionfato anche agli Us Open nel doppio, oltre a parecchi tornei sempre prestigiosi.

Poco più che adolescente, la giovanissima Marta Kostyuk ha cercato di cogliere tutto il meglio che un torneo come quello australiano ha saputo offrirle. Ha acquisito più consapevolezza dei mezzi oltre che un pizzico di esperienza e malizia che nello sport non guasta.

La Kostyuk gioca a tennis da piccolina e lo ha fatto per stare più vicina alla madre (anche lei tennista) la quale lavorava moltissimo.

Mia madre lavorava molto quando ero piccola, non ricordo bene, ma mi disse che avrei dovuto giocare a tennis per vederla di più.
Ho altre due sorelle, una più grande e una più piccola. Era il periodo in cui mia madre lavorava di più, non la vedevo molto ma io volevo stare con lei, perciò ho iniziato ad allenarmi. In estate stavo in campo dalle 8 del mattino alle 20 di sera, dall’età di 4 o 5 anni.

Ha anche confessato che il tennis non l’è mai realmente piaciuto, ma che tutto sommato è sempre stata brava.

Ora si sente soddisfatta di essere entrata tra le professioniste, perché per lei il lavoro è importante.

Prima di Marta Kostyuk anche altre tenniste adolescenti si sono trovate catapultate in un torneo del Grande Slam.

È stata la più giovane al terzo turno di uno Slam dal 1997, dalla prima storica semifinale di Mirjana Lucic, allora non ancora coniugata Baroni, allo Us Open. Ma Kosyuk non è una quindicenne come le altre, e ai primati lei non ci pensa.  Inoltre con questo piccolo exploit la giovane ucraina entrerà tra le 250 del WTA femminile (prima di Melbourne era partita come 520esima).

Tuttavia il record di precocità lo detiene l’ex tennista svizzera Martina Hingis, la quale nel 1997 a soli 16 anni e 4 mesi riuscì a vincere un torneo del Grande Slam, proprio gli Open di Australia. In quello stesso anno riuscì ad arrivare in finale anche negli altri tre torni del circuito del Grande Slam, perdendo solo a Parigi al Roland Garros. Record quasi imbattibile.

Comunque quando Martina Hingis trionfava a Melbourne, Marta Kostyuk aveva solo 4 anni e mezzo. 

Manca pochissimo ormai al via della competizione australiana più attesa di questo inizio 2018, gli Australian Open, e nel frattempo i tennisti azzurri sono impegnati in altre gare nell’hinterland australiano, con ottimi risultati.

Sydney International Wta Premier

Nella competizione Wta Premier del Sydney International spicca sul tabellone il nome di Camila Giorgi, che è riuscita a battere in soli due set la campionessa degli ultimi Us Open Sloane Stephens, numero 13 del mondo.

Una vittoria che ha dell’incredibile e che si è consumata in fretta senza dare la possibilità all’avversaria di potersi difendere. Nel primo set la Stephens ha tentato di rimontare ma senza risultato e si è concluso per 6-3. Il secondo set invece è stato dominato interamente dalla tennista italiana che ha vinto per 6-0.

Camila Giorgi, numero 100 del ranking Wta, ai avvia quindi verso gli ottavi di finali della competizione australiana e si sfiderà contro la ceca Petra Kvitova. La tennista dopo questa entusiasmante vittoria, si sente carica e determinata ad andare fino in fondo e si appresta ad affrontare il prossimo match con ottimismo e grandi aspettative.

East Hotel Canberra Challenger, Atp

In Australia è in corso anche il torneo challenger Atp, East Hotel Canberra Challenger, dove il tricolore italiano viene portato alto dal nostro Andreas Seppi, che vince sul tedesco Maximilian Marterer.

Il match, però, non è stato facile come per la Giorgi, ma Seppi ha faticato parecchio prima di uscirne vincitore. 3-6 6-3 7-6(7) è il resoconto di un testa a testa che si è prolungato per ben due ore e dove il nostro tennista ha rischiato anche di farsi battere dal numero 95 del ranking atp.

Seppi, che occupa la posizione numero 75 del ranking ATP, si avvia verso il prossimo match nel quale si sfiderà contro Nathan Pasha, numero 618, e non potrà permettersi gli stessi sbagli della scorsa partita. Il sua avversario proviene dalle qualificazioni e si prospetta per lui una vittoria facile se rimarrà concentrato e determinato per tutto l’incontro.

Doveva rappresentare il suo vero grande ritorno sul campo da tennis dopo la maternità ma, alla vigilia degli Australian Open, Serena Williams dà forfait. La tennista, che per molto tempo è stata la numero uno, aveva già ripreso la racchetta in occasione del torneo di Abu Dhabi, ma con risultati poco soddisfacenti, vista la sconfitta inflitta da Jelena Ostapenko.

Forse la disfatta subìta o forse la consapevolezza di non essere ancora in forma sono il motivo scatenante della rinuncia al grande torneo australiano che prenderà il via il prossimo 15 gennaio. E Serena Williams non prende questa decisione senza provare una certa amarezza:

Dopo aver giocato ad Abu Dhabi, ho realizzato che nonostante ci sia molto molto vicina, non sono ancora dove personalmente vorrei essere. Il mio allenatore e il mio team mi hanno sempre suggerito di andare ai tornei solamente quando sono preparata sotto tutti i punti di vista. Ora possono competere, ma non voglio solo competere, voglio fare molto di più, e per riuscirci ho bisogno di ancora un po’ di tempo. Sono dispiaciuta per questo, ma ho deciso di non partecipare all’Australian Open. Le memoria del titolo dello scorso anno accompagneranno me e Olympia, e non vedo l’ora di tornare di nuovo a Melbourne

La tennista, che è diventata mamma lo scorso settembre, non potrà dunque riprendersi il titolo vinto nel 2017 in questa competizione di grande rilievo e per gli organizzatori del torneo è un duro colpo perdere anche lei. Di recente, infatti, anche Murray e Nishikori hanno annunciato di non poter partecipare.

Il direttore Craig Tiley, però, rispetta la decisione della tennista e ha così commentato la notizia del suo ritiro:

La vera campionessa che è Serena emerge dallo sforzo erculeo che ha fatto negli scorsi mesi, manifestando il suo desiderio di giocare l’Australian Open. Serena trascende lo sport nella misura in cui si approccia ad ogni aspetto della sua vita dando tutta se stessa. Per lei competere non sarà mai abbastanza, vuole concedersi tutte le possibilità di vincere. È per questo che si è spinta fino all’ultimo per prendere la decisione finale

La campionessa indiscussa del tennis ha dimostrato ancora una volta di voler essere la numero 1 e se non sarà questo torneo ad incoronarla nuovamente regina non importa: quando si sentirà di tornare in campo le sue avversarie dovranno sicuramente temerla perché siamo certi che Serena Williams non si accontenterà del secondo posto.

Dopo una stagione costellata di successi, Rafael Nadal è costretto ad allungare la sua pausa per riprendersi fisicamente dai problemi che ancora gli causa il ginocchio destro.

Il vincitore del Roland Garros e dell’Us Open deve quindi lasciare ancora un po’ la racchetta appesa al chiodo per dedicarsi al suo recupero, in modo tale da ricominciare la nuova stagione in perfetta forma.

Presa la decisione, diventa inevitabile rinunciare all’ATP 250 di Brisbane che avrà inizio domenica prossima, dopo aver già detto no anche ai tornei di Abu Dhabi e al Fast4 di Sydney che comincerà l’8 gennaio.

Il numero 1 Atp del mondo motiva su Twitter la sue decisione con queste parole:

L’intenzione era di giocare, ma non sono ancora pronto dopo la lunga stagione dello scorso anno e il tardivo inizio della mia preparazione. Vedrò i miei fan australiani quando andrò il 4 gennaio a Melbourne per preparare l’Australian Open

Anche se qualcuna ipotizza un suo forfait anche nella prima competizione importante di stagione, in scena in Australia, Nadal ha chiaro in testa il suo obiettivo e vuole riuscire a recuperare in tempo per partecipare nel pieno della sua forma.

I problemi al ginocchio per il tennista maiorchino sono cominciati a diventare insopportabili già dall’inizio del mese scorso, quando è stato costretto a ritirarsi dal Masters 1000 di Parigi-Bercy. Proprio poco prima del match contro il serbo Filip Krajnovic ai quarti di finale, Nadal ha annunciato il suo ritiro per occuparsi del suo ginocchio e poter partecipare alle competizioni di maggior rilievo.

E non era il primo torneo al quale Nadal ha dato forfait: il suo problema fisico va avanti già da un po’ di tempo e in occasione del Torneo di Basilea del mese di ottobre (in cui Nadal non ha partecipato) il tennista aveva fatto delle dichiarazioni in proposito:

Sto soffrendo un problema da stress al ginocchio da Shanghai, il che mi costringe ora a prendermi un periodo di riposo su consiglio del dottore. Dopo due grandi settimane in Cina, è tempo di riposare. Voglio mandare un messaggio speciale ai tanti tifosi svizzeri che mi hanno sempre mostrato supporto e rispetto nelle partite con Roger (Federer ndr.) Spero di vedervi il prossimo anno 

Adesso non resta che sperare in suo veloce recupero per vederlo nuovamente in campo agli Australian Open per cominciare un’altra incredibile stagione di successi e regalare spettacolo come ha sempre fatto.

Questa è la storia di un tennista sud coreano di ottime speranze, capace nel 2013 di diventare, a 14 anni e 321 giorni, il secondo giocatore più giovane ad entrare nella classifica Atp (dopo l’americano Stefan Kozlov), conquistando il primo punto grazie alla vittoria su Masatoshi Miyazaki al torneo di Tsukuba.

Ma perché raccontare, fra i tanti, la vicenda di questo ragazzo di belle speranze? Perché è una storia che ha dell’incredibile, che è difficile da comprendere, che fa bene al tennis e allo sport in generale, perché parla di un atleta che, grazie alla sua forza di volontà e alla sua tenacia, è riuscito a sconfiggere le difficoltà estreme che la vita gli ha riservato sin dalla nascita, ritagliandosi un ruolo da protagonista nel tennis dei grandi. Stiamo parlando di Lee Duck-Hee , il tennista sordo.

LA STORIA

Lee Duck-Hee è nato a Jecheon City, in Corea del Sud, il 29 Maggio del 1998. A 7 anni, nel 2005, ha scoperto ufficialmente di essere sordo. Più o meno nello stesso periodo la famiglia ha deciso di fargli provare una racchetta da tennis, facendogli così seguire le orme del cugino. Una scelta che non poteva rivelarsi più azzeccata.

Sin da subito si è imposto come uno dei talenti più promettenti emersi negli ultimi anni grazie ad un tennis aggressivo e spumeggiante ma le difficoltà sono, da sempre, estreme. Inevitabili, infatti le conseguenze del deficit uditivo: Lee Duck-Hee non può sentire i giudici di linea, non può sentire l’avversario, non può sentire il rumore della pallina. Può ‘sentire’ solo ed esclusivamente le vibrazioni della sua racchetta. Ma tanto è bastato per permettergli di arrivare fino alla 131ma posizione del ranking mondiale ATP e di arrivare ad un passo dal tabellone principale degli Australian Open venendo estromesso dalla kermes della Rod Laver Arena solo all’ultimo turno di qualificazione dall’altro astro nascente Alexander Bublik.

D’altronde per capire la tempra del baby fenomeno asiatico, basta seguire il senso delle sue dichiarazioni:

“La cosa più difficile è la comunicazione con gli arbitri e i giudici di linea, il non poter sentire le loro indicazioni. Soprattutto quando chiamano la palla out e io invece continuo a giocare. È un po’ difficile, ma niente di clamoroso o impossibile.

E ancora:

“Il mio deficit non mi preoccupa, anzi, mi aiuta a concentrarmi sul gioco, evitando le distrazioni. È persino comodo giocare così”.

Parole da grande, da uomo in grado di dominare la disabilità, trasformando la menomazione in un punto di forza. Chapeau.

I RECORD

Lee Duck-Hee è già riuscito ad entrare nella storia del tennis professionistico nel 2014 quando, a 16 anni e 1 mese, ha vinto il suo primo titolo future, a Hong Kong. E’ stato il sesto più giovane di sempre a vincere un torneo professionistico. E prima di lui? Richard Gasquet, Mario Ancic, Andrey Rublev, Rafael Nadal e Novak Djokovic. Se escludiamo il russo che non ha ancora dimostrato appieno il suo talento – ma l’età è dalla sua – non c’è molto da aggiungere sugli altri nomi citati.

Con questi presupposti, difficile ipotizzare dove Lee Duck-Hee potrà arrivare. Di certo sogna in grande (e come potrebbe essere altrimenti?) e ambisce a seguire le orme del suo idolo di sempre, quel Roger Federer che, ancora bambino, aveva avuto modo di conoscere personalmente mentre Roger si trovava a Seoul per un’esibizione:

“È stato incredibile vederlo. Mi piacerebbe essere come lui un giorno, e giocare come lui”.

Frase fatta? forse. Il sogno di molti? Di sicuro. Ma aspirazioni ordinarie assumono un sapore tutto particolare se a porsele è un ragazzo non-ordinario come Lee Duck-Hee, un campione nel silenzio.

Michele De Martin

Abbiamo dovuto aggiornare per l’ennesima volta il foglio con le imprese di Roger Federer: da oggi (ma chissà per quanto ancora) la più grande è la vittoria all’Australian Open 2017, ottenuta a 35 anni e mezzo, con una finale fantastica e faticosa di cinque set nella quale ha messo da parte il suo nemico di sempre Rafael Nadal, dopo sei mesi fuorigioco per un ginocchio malandato.
L’eco di una pagina storica non si è ancora placato, ma Re Roger, il giorno dopo il suo trionfo, era già con il pensiero altrove: ha trovato un attimo, un istante per fermarsi e dedicare la vittoria a una persona speciale. La persona che ha creduto in lui quando era un ragazzino, quando il talento c’era, acerbo, ma andava indirizzato, andava preparato alle sfide più mature e difficili della vita. Un ragazzino troppo duro con sé stesso per quanto voleva essere perfetto. Quella persona era Peter Carter, il suo allenatore australiano.

Carter era nato ad Adelaide, cresciuto come tennista anche se una serie di continui infortuni intaccarono un fisico non eccessivamente sportivo. Così a 27 anni, Carter disse “stop” al tennis giocato. Dopo l’addio dalle scene decise di trasferirsi, dopo qualche tempo, in Svizzera. Era il 1991.
Coincidenze, segno del destino? Peter fu contattato dal circolo della zona di Basilea, l’Old Boys Tennis Club, dove avrebbe allenato i giocatori del club e disputato partire qua e là.
E fu proprio lì che, per la prima volta, vide Roger Federer. Aveva solo 10 anni e tra i due passavo 17 anni di differenza, eppure tra i due c’era un rapporto non solo professionale, ma anche di amicizia. Fratello maggiore e fratello minore.

Il primo agosto del 2002, a una settimana dal 21esimo compleanno di Federer, Peter Carter perse la vita in Sudafrica in un incidente stradale. Un colpo profondo per il giovane svizzero.
Il 14 agosto, nella chiesa di San Leonardo, a Basilea, si celebrarono i funerali e lì Roger vide per la prima volta, in quell’occasione, i genitori di Peter. E, nella recente finale di Melbourne, si sono incrociati di nuovo.
In un’intervista all’Australian Associated Press, Federer ha parlato dell’impatto che il suo ex-coach ha avuto sulla sua carriera. L’impatto maggiore, dice, sul suo meraviglioso stile di gioco; il mentore più influente per lui:

Peter Carter ha avuto il maggiore impatto su di me e sulla mia tecnica. Sono stato in grado di perfezionare il mio stile in seguito nella mia vita, ma lui è stato fondamentale per la mia crescita ed è per questo che sono così felice che i suoi genitori erano alle finali di ieri e mi hanno visto vincere. Significava davvero molto per me.

 

E’ giunto il momento di tirare le somme sull’Open d’Australia appena concluso con la memorabile impresa di Roger Federer capace, a 35 anni e 174 giorni, di vincere nuovamente uno slam a quasi 5 anni di distanza (ultima affermazione a Wimbledon 2012) partendo dal N. 17 ATP, emulando la mitologica impresa di Pete Sampras agli US Open 2002.

Senza dubbio la kermesse australiana ci lascia, oltre alla sfavillante cornice della Rod Laver Arena, interessanti spunti per valutare chi saranno i top players del circuito nel prosieguo del 2017 tennistico e anche per ipotizzare gli “slam hunters” del futuro.

Prima le note stonate: Chi ne esce con le ossa rotte sono senza dubbio Marin Cilic e Milos Raonic.

Il croato aveva incantato con un finale di 2016 fenomenale (vittorie a Cincinnati e Basilea e conquista delle Finals di Londra oltre al best ranking N. 6 ATP) ma ha finora deluso in questo inizio di 2017 venendo anche sopravanzato da Nadal. L’occasione era ghiotta per fiondarsi in top 5 anche tenuto conto degli scarsi risultati ottenuti all’inizio del 2016 ma le sconfitte al primo turno di Chennai (con il non certo irresistibile Kovalik!) e al secondo turno a Melbourne (con un Evans in salute) portano ad una bocciatura senza appello. Ha ancora tempo e modo per aggredire il quinto posto di Nishikori ma serve un deciso cambio di marcia.

Raonic era invece chiamato alla definitiva consacrazione, vista anche la prematura uscita di scena di Murray e Djokovic, il gigante canadese non è riuscito ad imporre il suo gioco con Nadal nei quarti e a confermare, almeno, la semifinale del 2016, dovendo rimandare ulteriormente l’appuntamento con il primo slam della carriera (arriverà mai?). L’impressione che lascia è quella di un potenziale fuoriclasse che difetta però nella cattiveria nei momenti decisivi. La speranza è quella che riesca a ripetere l’estate 2016 e, magari, superare l’ultimo step nell’erba londinese.

Al contrario, prova di maturità ampiamente superata per Grigor Dimitrov: Il ragazzo di Haskovo sembra avere risolto i problemi di convinzione e cattiveria agonistica che lo avevano attanagliato dopo l’ottimo 2014, culminato con le vittorie ad Acapulco, Bucarest e Londra, e ha già confermato e rafforzato le buone impressioni destate sul finire del 2016. Emblematica la prestazione in semifinale al cospetto di Rafa, dove il bulgaro ha mantenuto per ben 5 ore un tennis di qualità elevatissima senza mai togliersi dalla lotta e capitolando solo per la maggiore esperienza del mancino di Manacor. Grigor è in fiducia, ha sempre avuto le stimmate del campione assoluto e mai come in questo 2017 pare lanciato verso la definitiva consacrazione da “Baby Fed” a “Fed 3.0”. Una fine 2017 a ridosso dei primi 5 è più che una probabilità.

E chi saranno le sorprese? I primi nomi da considerare sono Alexander Zverev e Juan Martin Del Potro.

Il tedesco ha confermato la grande bontà di Madre Natura e sicuramente avrà un futuro non roseo, ma dorato. L’uscita ai sedicesimi con Nadal ha però evidenziato che Sascha, al meglio dei 5 set, non è ancora pronto per determinare contro avversari con un approccio fisico e che riescano a disinnescare la sua profondità di colpo da fondo campo. Il golden boy ha ancora grossi margini di miglioramento, forse più fisici che psicologici, ma potrà essere la vera sorpresa nei major estivi (pronostichiamo grandi cose a Wimbledon).

Che dire su Palito: sarà sicuramente la scheggia impazzita del 2017. Finchè non rientrerà nei primi 20 ATP DelPo non potrà che essere lo spauracchio delle teste di serie nei primi turni di ogni torneo. Se saprà gestire le energie e il polso non farà le bizze, il continuo miglioramento nel 2016, culminato con il grande argento olimpico e la vittoria al 250 di Stoccolma, conferma che l’argentino di Tandil saprà regalarci grandissime soddfisfazioni.

Michele De Martin

E’ giunto il momento di tirare le somme sull’Open d’Australia appena concluso con la memorabile impresa di Roger Federer capace, a 35 anni e 174 giorni, di vincere nuovamente uno slam a quasi 5 anni di distanza (ultima affermazione a Wimbledon 2012) partendo dal N. 17 ATP, emulando la mitologica impresa di Pete Sampras agli US Open 2002.

Senza dubbio la kermesse australiana ci lascia, oltre alla sfavillante cornice della Rod Laver Arena, interessanti spunti per valutare chi saranno i top players del circuito nel prosieguo del 2017 tennistico e anche per ipotizzare gli “slam hunters” del futuro.

Prima le note stonate: Chi ne esce con le ossa rotte sono senza dubbio Marin Cilic e Milos Raonic.

Il croato aveva incantato con un finale di 2016 fenomenale (vittorie a Cincinnati e Basilea e conquista delle Finals di Londra oltre al best ranking N. 6 ATP) ma ha finora deluso in questo inizio di 2017 venendo anche sopravanzato da Nadal. L’occasione era ghiotta per fiondarsi in top 5 anche tenuto conto degli scarsi risultati ottenuti all’inizio del 2016 ma le sconfitte al primo turno di Chennai (con il non certo irresistibile Kovalik!) e al secondo turno a Melbourne (con un Evans in salute) portano ad una bocciatura senza appello. Ha ancora tempo e modo per aggredire il quinto posto di Nishikori ma serve un deciso cambio di marcia.

Raonic era invece chiamato alla definitiva consacrazione, vista anche la prematura uscita di scena di Murray e Djokovic, il gigante canadese non è riuscito ad imporre il suo gioco con Nadal nei quarti e a confermare, almeno, la semifinale del 2016, dovendo rimandare ulteriormente l’appuntamento con il primo slam della carriera (arriverà mai?). L’impressione che lascia è quella di un potenziale fuoriclasse che difetta però nella cattiveria nei momenti decisivi. La speranza è quella che riesca a ripetere l’estate 2016 e, magari, superare l’ultimo step nell’erba londinese.

Al contrario, prova di maturità ampiamente superata per Grigor Dimitrov: Il ragazzo di Haskovo sembra avere risolto i problemi di convinzione e cattiveria agonistica che lo avevano attanagliato dopo l’ottimo 2014, culminato con le vittorie ad Acapulco, Bucarest e Londra, e ha già confermato e rafforzato le buone impressioni destate sul finire del 2016. Emblematica la prestazione in semifinale al cospetto di Rafa, dove il bulgaro ha mantenuto per ben 5 ore un tennis di qualità elevatissima senza mai togliersi dalla lotta e capitolando solo per la maggiore esperienza del mancino di Manacor. Grigor è in fiducia, ha sempre avuto le stimmate del campione assoluto e mai come in questo 2017 pare lanciato verso la definitiva consacrazione da “Baby Fed” a “Fed 3.0”. Una fine 2017 a ridosso dei primi 5 è più che una probabilità.

E chi saranno le sorprese? I primi nomi da considerare sono Alexander Zverev e Juan Martin Del Potro.

Il tedesco ha confermato la grande bontà di Madre Natura e sicuramente avrà un futuro non roseo, ma dorato. L’uscita ai sedicesimi con Nadal ha però evidenziato che Sascha, al meglio dei 5 set, non è ancora pronto per determinare contro avversari con un approccio fisico e che riescano a disinnescare la sua profondità di colpo da fondo campo. Il golden boy ha ancora grossi margini di miglioramento, forse più fisici che psicologici, ma potrà essere la vera sorpresa nei major estivi (pronostichiamo grandi cose a Wimbledon).

Che dire su Palito: sarà sicuramente la scheggia impazzita del 2017. Finchè non rientrerà nei primi 20 ATP DelPo non potrà che essere lo spauracchio delle teste di serie nei primi turni di ogni torneo. Se saprà gestire le energie e il polso non farà le bizze, il continuo miglioramento nel 2016, culminato con il grande argento olimpico e la vittoria al 250 di Stoccolma, conferma che l’argentino di Tandil saprà regalarci grandissime soddfisfazioni.

Michele De Martin

Roger Federer è come il vino: con il tempo migliora. E sembra quasi assurda tale affermazione se pensiamo alla carriera stratosferica del tennista svizzero. Ma a 35 anni, lui che ha sempre fatto spazio a classe ed eleganza, non perde un colpo. La mano, la racchetta e la forza sono calibrate in un perenne gioco di equilibrio per servire colpi autentici da maestro qual è lui.

Per Roger Federer è la 13esima seminale su 14 apparizioni agli Australian Open: spazzato via il tedesco Mischa Zverev che ha giustiziato Andy Murray lungo il suo cammino. In meno di due ore, 3 set a 0 (con il punteggio di 6-1 7-5 6-2) e ad attenderlo e a sbarrare la sua strada verso la finale è il connazionale Stan Wawrinka.
Nella gara contro il tedesco (che gli ha tenuto testa a livello di qualità espresso), Re Roger ha ammaliato gli spettatori con colpi, magie e geometrie, come il doppio “lob” (pallonetto) rifilato nel giro di un paio di scambi: se al primo tentativo Zverev è stato lesto, al secondo si solo potuto inchinare. Ecco il video: