Tag

allegri

Browsing

C’è un allenatore che, oltre ottant’anni fa, aveva potuto eguagliare Massimiliano Allegri, il recordman in panchina con 5 scudetti consecutivi. La leggendaria Juve del quinquennio negli anni ’30 vince, appunto, per un lustro di seguito: dal 1930 al 1935. I primi quattro titoli portavano la firma di Carlo Carcano in panchina, varesino classe 1891, allievo del Ct Vittorio Pozzo con cui vincerà da assistente i Mondiali del 1934. Nel 1930, dopo un’esperienza da allenatore ad Alessandria, approda alla Juventus. Quattro anni dopo, qualche mese successivo al trionfo in Coppa del Mondo, fu licenziato in tronco dai bianconeri. La verità sarebbe venuta a galla decenni dopo.

L’Italia del 1930

L’Italia degli anni Trenta è l’Italia fascista immersa in quel ventennio che la porterà al disastro della II guerra mondiale. Un Paese schiavo del duce in cui anche il calcio è veicolo di propaganda. La Juventus di Edoardo Agnelli, papà di Gianni e Umberto e nonno di Andrea, sceglie Carlo Carlin Carcano dall’Alessandria. Uno dei padri del celebre Metodo condiviso con Vittorio Pozzo, pionieri del calcio all’italiana con il modulo 2-3-2-3. Palla lunga e pedalare. Carcano, nel suo quadriennio, ha con sé lo scheletro dell’Italia campione nel 1934: Combi, Rosetta, Caligaris, Raimondo Mumo Orsi, Felice Borel detto Farfallino, Giovanni Ferrari, Luisito Monti.

Un addio misterioso

Nel quinto campionato consecutivo sulla panchina della Juve, a dicembre del 1934, la Juventus di Carcano è seconda a due lunghezze di distanza dalla Fiorentina. Eppure quel 10 dicembre il quotidiano della Casa Madre, la Stampa, annuncia che «Carlo Carcano ha lasciato in questi giorni la carica di allenatore della Juventus», sostituito dall’ex capitano bianconero Carlo Bigatto. L’allenatore varesino passò qualche giorno dopo misteriosamente al Genoa in B per poi cadere nell’oblio per qualche anno. Riemerse nel 1941 alla Sanremese e poi dopo la guerra passò all’Inter e all’Atalanta.

Solo molti anni dopo, tra qualche rumor di spogliatoio e qualche ammissione mai esplicita, si è saputo che l’esonero di Carcano fu deciso da Edoardo Agnelli per questioni personali. Probabilmente si trattava della presunta omosessualità dell’allenatore e dei suoi rapporti ritenuti troppo ravvicinati con alcuni calciatori della rosa juventina.

La società annuncia di rinunciare all’allenatore per motivi personali, viceversa la vicenda è molto più complessa. L’omosessualità di Carcano era diventata un problema. Un suo calciatore raccontava sorridente nei ritrovi torinesi: mai abbassarsi i pantaloni davanti a lui. A far esplodere il caso la denuncia di alcuni dirigenti bianconeri: accuse di pederastia a Carcano, Mario Varglien, [Luisito] Monti e a un paio di consiglieri. Hanno sostenuto che attentavano alla virtù di Borel. Nella realtà pare che proprio gl’indignati difensori della morale ambissero alle grazie di Felicino. Agnelli jr, ha avuto la forza di evitare lo scandalo, il regime ha però preteso che venisse cancellata l’onta”

Alfio Caruso, Un secolo azzurro, 2013 Longanesi editore

Carlo Carcano morirà, a 74 anni, nel 1965 a Sanremo, lì dove si era ritirato a vita privata allenando i Carlin’s boys, una squadra intitolata come il suo soprannome. Lontano dai successi e dalle voci di corridoio che, ancora oggi, continuano a offuscare la sua storia.

Sono passati pochi minuti dopo le 14 quando nella sala stampa della Continassa entra l’intera squadra. Dal capitano Chiellini a Cristiano Ronaldo, da Barzagli sul punto di ritirarsi a Pjanic e Mandzukic. Poi arrivano Massimilino Allegri e Andrea Agnelli. “Scambiamo i ruoli? I calciatori fanno le domande, i giornalisti giocano”, rompe subito il ghiaccio Max fuori microfono, come sua consuetudine nelle conferenze stampa pre gara. Ma questa non è una qualsiasi, è il suo passo d’addio alla Signora sancito dalla presenza del presidente. E il numero 1 della Juve prende subito la parola, mette la società davanti a tutto, snocciola i numeri da record di Allegri, parla di una “riflessione della società” che ha portato alla rottura e di un allenatore come amico trovato in acciughina. Si sottrae a qualsiasi interrogativo sul futuro della panchina bianconera.


Le bordate a Conte non mancano, iniziando dall’aneddoto sulla finale Champions del 2013 (“Eravamo a Londra con Paratici, vidi Max e dissi a Fabio che sarebbe diventato il nostro allenatore, abbiamo dovuto aspettare un anno e mezzo”). Agnelli rifiuta qualsiasi accenno diretto all’ex ct, anche se quando parla di “decisione più sofferta” da quando a presidente indirettamente si riferisce alla burrascosa estate 2014. Quando l’allenatore leccese abbandonò la barca il secondo giorno di ritiro, a metà luglio. I richiami del presidente all’azienda Juve e alle dinamiche dietro una decisione del genere, presa dalla società, sono ripetuti più volte.

Poi è il turno di Allegri. Più volte ci si è chiesti se esistesse un allegrismo come esiste il sarrismo, l’ancelottismo, il guardiolismo e il sacchismo. Ecco, lo stile di Max sta tutta nel suo passo d’addio alla Juve. Completamente agli opposti rispetto a quello del suo predecessore su quella panchina. Il legame con Agnelli è sincero e solido, così come quello con la squadra, schierata proprio davanti al tecnico livornese, seduta in prima fila. Allegri spesso non riesce a trattenere le lacrime, emozionato ma lucido, passionale ma cinicamente freddo quando dell’eterno dibattito tra risultati e bel gioco. “Io non so cosa significhi il bel gioco”, dice sornione tra una parola dolce per Barzagli e una metafora ippica come quelle che ama. Se qualcuno cercava dove fosse l’allegrismo, l’ha trovato nell’addio di Massimiliano da Livorno alla Juventus.

Otto formazioni per otto scudetti. Con campionissimi irrinunciabili, ma anche preziosi gregari. Le otto Juventus scudettate dal 2012 a oggi sono il perfetto mix di talento e sacrificio nel segno della continuità. Come da Buffon a Szczesny, da Lichtsteiner a Cancelo, da Pirlo a Pjanic, da Tevez a Ronaldo. Da Conte ad Allegri. Il comun denominatore si chiama Andrea Agnelli, faro del progetto bianconero anche dopo l’addio di Marotta. Abbiamo provato a stilare la formazione tipo di questi otto scudetti. Non è stato facile, ogni ruolo aveva il suo sostituto perfetto e ciò dimostra l’abbondanza costante della rosa juventina. Il modulo scelto è il 4-3-3

La top 11

Buffon (Szczesny)

Il numero 1 dei numero 1 ha trovato il suo erede perfetto. Buffon, neo campione di Francia con il Psg, è stato il capitano e protagonista assoluto per 7 anni. Il portiere polacco ha avuto il grande merito di raccogliere in maniera degna il testimone.

Alex Sandro (Evra)

Il brasiliano arriva con grandi speranze dal Porto nel 2016. Parte subito forte, si afferma come uno dei migliori al mondo in quel ruolo. Poi, un lento declino fino a questa stagione. Evra, da par suo, nelle stagioni bianconere ha sempre garantito la sua esperienza sulla fascia.

Bonucci (Benatia)

Croce e delizia di questi anni scudettati. Leonardo Bonucci è stato il play basso da cui far partire l’azione, il libero fuori tempo con piede da regista. L’addio burrascoso lo scorso anno, poi il ritorno da figliol prodigo scalzando Benatia che l’aveva sostituito.

Chiellini (Barzagli)

Qui siamo di fronte a due monumenti del calcio italiano. Chiellini e lo stesso Bonucci non sarebbero diventati così grandi senza la guida del prof Barzagli, al suo passo d’addio.

Cancelo (Dani Alves, Lichtsteiner)

Dibattito aperto sulla fascia destra. Prendiamo Cancelo per il potenziale non ancora completamente espresso. Dani Alves nella sua unica annata a Torino ha parzialmente deluso, anche se per lui parla il cv. Lo Swiss Express è il ritratto della Juve operaia e vincente.

Pirlo (Pjanic)

C’è altro da aggiungere rispetto al Maestro rigenerato da Conte e punto di riferimento della prima Juve di Allegri? Il bosniaco studia nella stessa scuola, ma non è ancora la stessa cosa.

Pogba (Emre Can)

Il polpo è uno dei grandi rimpianti dei tifosi bianconeri che sperano ogni anno in un cavallo di ritorno. Per il momento hanno trovato il tedesco che lentamente si è preso la Juve 2018/2019 dopo un bel po’ di guai fisici.

Vidal (Matuidi)

Se Antonio Conte andasse in guerra, penserebbe al cileno come primo soldato da portarsi insieme. Ma anche il francese campione del Mondo non lo butterebbe via.

Cristiano Ronaldo (Higuain)

L’unica indiscutibile casella. L’extraterrestre portoghese non ha classifica, il Pipita gli ha lasciato spazio dopo due ottime annate allo Stadium.

Del Piero (Dybala)

Il capitano è sempre il capitano, anche se per una sola stagione. Il suo erede con la 10 è stata la Joya, che si è un po’ spenta dopo aver illuminato i suoi primi anni torinesi.

Tevez (Mandzukic)

Prendete il gol segnato al Parma, o l’anno della finale di Berlino. L’Apache era il volto brutto e cattivo di una Juve umile, ma spietata. Mario è il fedelissimo buone per tutte le guerre sportive da combattere.

Allegri (Conte)

Qui la scelta divide l’Italia e il mondo: meglio chi ha dato una stabile identità europea alla squadra o chi ha dato vita al progetto vincente? Dibattito aperto, noi preferiamo la halma sapiente di Max.

 

 

Corse di cavalli, piogge torrenziali, maglie scambiate con rispetto. C’è questo ed altro nella partweeta della domenica delle Palme del campionato. Ecco le dieci migliori perle che il web ha offerto nel weekend prolungato fino al lunedì.

Darsi all’ippica

I’m coaching in the rain

Gli scambi di maglia, quelli belli

Buone Palme

I promessi sposi

Social down

Photoshop

Talismani

Spalletti style

Eppure…0-0

E’ forse l’unica classifica in cui il podio non è in discussione. Michels, Ferguson, Sacchi sono il meglio che gli allenatori hanno offerto negli ultimi decenni. Ma essendo il calcio materia soggettiva per definizione, si discute di chi c’è e soprattutto di chi è stato escluso. Un po’ come accade con il Pallone d’Oro, un’altra lista non a caso stilata dallo stesso periodico, il francese France Football. Accanto ai grandi nomi (Guardiola, Mourinho, Cruijff, Van Gaal, Hiddink, Herrera, Lobanovsky), compresi un buon manipolo di italiani (Capello, Ancelotti, Lippi, Conte, Rocco oltre al già citato Sacchi), ci sono un po’ di esclusi eccellenti. Perché è difficile pensare alla presenza, ad esempio, di Simeone e Bielsa e non a quella di Allegri, Tabarez, Liedholm e altri.

Allegri out

Il primo nome a cui molti hanno pensato è stato proprio il tecnico della Juve. Ormai 5 scudetti consecutivi, quattro Coppe Italia di fila, due supercoppe italiane e due finali di Champions finora non sono bastate. Allegri può vantare anche un campionato e una supercoppa vinti col Milan. Manca ancora il sigillo continentale nella massima competizione, sfuggito anche al Cholo Simeone che però si è rifatto con l’Europa League. Ma acciughina non è il solo a restare fuori dai magnifici 50. Non c’è l’ultimo allenatore vincente in un Mondiale, Didier Deschamps. E neanche il suo predecessore con la Germania, Joaquim Löw.

Gli altri esclusi

All’asciutto anche Oscar Washington Tabarez, il santone del calcio sudamericano con il suo Uruguay. E poi Cesar Menotti, che vinse il Mondiale con l’Argentina nel 1978. Niels Liedholm, guru svedese del calcio italiano sulle panchine di Milan e Roma. Vittorio Pozzo, l’unico allenatore ad aver vinto due Coppe Rimet (antenate della Coppa del Mondo) consecutive con l’Italia nel 1934 e nel 1938. E poi Claudio Ranieri, vincitore del campionato più incredibile del calcio degli ultimi anni con il Leicester. O il giramondo Bora Milutinovic, uno che ha guidato cinque Nazionali in cinque Mondiali diversi.

La caduta delle due Juve d’Italia. Entrambe le ultime imbattute in Italia, entrambe ko nel giro di poche ore. Indolore la sconfitta per la Vecchia Signora, con lo scudetto praticamente in tasca e la testa scarica dopo la Champions. Più pesante quella della sorellina campana dello Stabia, finita sotto nello scontro diretto con il Catania in serie C. Nel girone C le “vespe”, prime in classifica, devono guardarsi dalle siciliane che rincorrono. Più tranquillo Allegri, chiamato solo a gestire un vantaggio di 15 punti nelle ultime 10 giornate. Basteranno cinque vittorie per avere la certezza matematica dell’ottavo scudetto consecutivo, se il Napoli dovesse vincerle tutte.

Un ko indolore

La sconfitta di Genova era scritta nel destino, dice Andrea Pirlo, uno che di cose di campo se ne intende giusto un po’. Impossibile chiedere di più a una squadra reduce dall’impresa degli ottavi di finale contro l’Atletico Madrid. Orfana di Ronaldo, la Juve ha offerto la classica prestazione da campionato. In gestione, in attesa del colpo vincente, arrivato con il gol di Dybala annullato per fuorigioco millimetrico di Emre Can. Il karma ha poi rovesciato tutto. Stefano Sturaro, ex del match, fermo da quasi un anno per un infortunio, al centro delle polemiche per un’esosa plusvalenza tra Genoa e Juve, il primo ad aver salutato Ronaldo in estate a favore di fotografi. Una serie di coincidenza sintetizzate nel piazzato del 72’ che, complice un rimbalzo velenoso, ha sorpreso Perin.

Le siciliane incombono

Qualche minuto dopo il ko bianconero, al Massimino di Catania la Juve Stabia sfidava i padroni di casa in uno scontro diretto per la promozione in serie B. Ma il match è stato subito in salita per i campani dopo il rigore trasformato da Lodi all’11’. Fortuna ha voluto che i secondi in classifica, il Trapani, abbiano perso 4-2 a Francavilla. La squadra di Fabio Caserta è ancora capolista a 63 punti, due in più del Trapani mentre il Catania si è rifatto sotto a 57. Equilibri in bilico a 7 giornate dalla fine. E domenica gli stabiesi possono rifarsi contro il Rieti quartultimo, esattamente come l’Empoli che sfiderà la Juventus allo Stadium dopo la sosta della A.

 

Massimiliano Allegri chiude i social, Mauro Icardi sceglie ancora il web per lanciare nell’etere il suo pensiero. Strategia opposte per due tra i maggiori protagonisti del calcio italiano e non. L’allenatore della Juventus ha deciso di sospendere (temporaneamente?) i suoi account su instagram e twitter. L’attaccante dell’Inter ha, invece, preferito i social con una lettera di orgoglio e rabbia verso i colori nerazzurri. Nell’era di internet 3.0 (o 4.0) il posizionamento mediatico scorre via sui nuovi media. Più immediati, più dirompenti, più vicini al destinatario finale siano essi stampa e tv piuttosto che i tifosi. Per avere un titolo basta un clic o un mancato clic.

Il silenzio di Allegri

La mossa di Allegri ha spiazzato tutto. La loquacità social del tecnico livornese era via via aumentata a seguito del noto #fiuuu lanciato dopo il match di Champions nel 2014 contro l’Olympiacos. Al termine di ogni match l’allenatore della Juve sintetizzava il suo pensiero in massimo 280 caratteri, come impone twitter. Non è ancora chiaro il motivo del suo addio social. Le voci si rincorrono. E’ il primo segnale di un altro abbandono, ben più rumoroso, quello alla Juve a fine stagione dopo 5 anni. Oppure è un modo per riacquistare serenità e concentrazione in vista del ritorno con l’Atletico Madrid. Anche se, a onor del vero, un post al giorno non leva il medico di torno. Anche il silenzio social può essere una mossa, senza dover obbligatoriamente chiudere il proprio account.

Il #fiuuu di Allegri su twitter

Icardi Inter, amore odio

L’eterna querelle a tre Icardi – Inter – Wanda Nara scorre continuamente lungo il web. L’ultima puntata è stata trasmessa con una lettera dell’ex capitano nerazzurro pubblicata su instagram. Tanto amore per i colori meneghini, ma anche tanto orgoglio e rabbia per quanto accaduto nelle ultime settimane. E’ mancato il rispetto da alcuni che prendono le decisioni, sbotta Maurito. E dalle parti di Corso Vittorio Emanuele non hanno apprezzato l’ennesima mossa nell’etere dell’argentino. Già lo stesso Spalletti in conferenza stampa pre Cagliari aveva riacceso gli animi. «Parlo solo di chi gioca e ha a cuore l’Inter», il suo pensiero per una volta davanti a un microfono e non dietro uno smartphone. Ma la lettera di Icardi riporta la situazione sottosopra. Tra allusioni neanche troppo velate, dichiarazioni criptiche ai media e un post su instagram.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

🙏 #MI9

Un post condiviso da Mauro Icardi – MI9 (@mauroicardi) in data:

 

La prima colpa della Juventus è essere sè stessa. Il successo in chiaroscuro contro la Lazio, il crollo in Coppa Italia e il pareggio beffa subito da Gervinho hanno aperto una prima crepa nelle certezze bianconere. Il momento non è sicuramente dei più buoni, i carichi di lavoro nelle gambe si fanno sentire per poter arrivare al top nel clou della stagione. Ovvero tra meno di 20 giorni, Wanda Metropolitano di Madrid, andata degli ottavi di finale di Champions in casa dell’Atletico. Ma i numeri sono ancora, in modo granitico, dalla parte di Allegri. Dati oggettivi che non possono essere smentiti da interpretazioni più o meno valide.


Con la sconfitta del Psg in Ligue 1 in trasferta a Lione, la Juventus resta l’unica squadra imbattuta nei maggiori campionati europei. Non il Real, Barcellona o il già citato Atletico. Non i super ricchi francesi con Buffon. Nemmeno il Bayern Monaco e neanche Liverpool e Manchester City. Il cammino immacolato di Ronaldo e compagni, con 19 vittorie e 3 pareggi, segna quota 60 punti, 9 in più del Napoli. Un record nella storia della serie A, uno dei tanti raggiunti dal tecnico livornese. Che tuttavia non riesce ancora a entrare pienamente nel cuore dei suoi tifosi.

Abituati troppo bene, probabilmente, i supporter di Madama. Quando è arrivato nell’estate 2014, la Juventus non vinceva la Coppa Italia da quasi 20 anni, dalla doppietta con lo scudetto nel 1995. Con Allegri in panchina i bianconeri hanno fatto double per quattro anni consecutivi. Eppure il ko con l’Atalanta è stato vissuto addirittura come un fallimento in nome di quel triplete sdoganato dall’Inter nel 2010.

Ma, mai come quest’anno, l’obiettivo della Signora è la Champions. Sarà quello il vero bivio della stagione, lo spartiacque che dividerà una stagione da ricordare a una normale se consideriamo normale vincere l’ottavo scudetto consecutivo (e non lo sarebbe in ogni caso). Ciò non significa vincere obbligatoriamente la Coppa, ma certo uscire agli ottavi con l’Atletico sarebbe quello un vero fallimento. Per il momento i tifosi juventini devono accontentarsi di quei 60 punti, dei 17 gol di CR7, di un cammino in A senza sconfitte, di una Supercoppa vinta e di un girone di Coppa concluso al primo posto. Tutto cancellato dopo un ko in Coppa Italia contro la squadra italiana più in forma e un 3-3 a domicilio nato da un’ingenuità di Mandzukic.

La terza era di Martin Caceres alla Juventus inizia contro il Parma, in quella che negli anni ’90 era una classica del calcio italiano. Oggi i bianconeri divorano qualsiasi avversario che incontrano in campionato mentre i gialloblu sono rinati dopo il fallimento nel 2015. Nella sfida dello Stadium Allegri lancia (probabilmente dal 1° minuto) il difensore uruguaiano, tornato a Torino dopo le esperienze con il Southampton, con il Verona e con la Lazio.


La storia del Pelado con la Juve inizia nel 2008 quando la società lo preleva in prestito dal Barcellona. Quella è una squadra ancora in assestamento dopo il ciclone Calciopoli. Tornata in A con Deschamps, centra un terzo e un secondo posto con Ranieri, esonerato poi per lasciar posto a Ferrara in panchina. Ai vertici ci sono ancora Cobolli Gigli e Blanc, Agnelli sarebbe arrivato un anno dopo. Il mercato è stato scoppiettante con i colpi Diego e Felipe Melo, il ritorno di Cannavaro e l’innesto di Grosso. Caceres, vero jolly difensivo, viene schierato come terzino destro. Il suo debutto, a Roma contro la Lazio alla III giornata, è subito celebrato con una bella rete che porta in vantaggio i bianconeri.

Quella squadra, dopo un ottimo avvio di campionato, terminerà il campionato al settimo posto e con Zaccheroni al posto di Ferrara.

Dopo due anni a Siviglia, Caceres torna a Torino nel mercato di gennaio 2012, un po’ come avvenuto quest’anno. Il suo secondo ritorno coincide con il rinascimento juventino. L’allenatore è Antonio Conte, acclamato dai tifosi come l’uomo che avrebbe riportato la squadra in vetta dopo anni di declino. E così sarà: campionato da imbattuti e scudetto vinto contro il Milan di Allegri. Proprio i rossoneri bagnano il secondo debutto di Martin in bianconero. E’ Coppa Italia, si gioca a San Siro l’8 febbraio per la semifinale di andata. L’uruguaiano non si accontenta di un solo colpo, ma piazza addirittura una doppietta. Il secondo gol, in particolare, è una prodezza da vero cecchino al tiro con una punizione in movimento.

 

 

 

Mezz’ala, mediano, a volte centrale di difesa o terzino. Tutto, ma non regista di centrocampo. La gara di Emre Can contro la Lazio è stata disastrosa. Impreciso, svagato, travolto dall’intensità dei biancocelesti in mezzo al campo. A suggellare un match da dimenticare l’autorete su calcio d’angolo che ha illuso la squadra di Simone Inzaghi. Il ribaltone Cancelo – Cristiano Ronaldo ha messo in sordina uno dei possibili problemi nel reparto di metà campo della Juve. L’assenza di Pjanic, pur non nella sua migliore annata, si fa sentire. Il tedesco non può essere il suo ricambio.

Uno delle migliori qualità di Emre Can è la versatilità. La sua capacità di essere il jolly di centrocampo ha conquistato i tecnici che lo hanno allenato in questi anni. Alto 184 centimetri per 82 chili, 25 anni, il tedesco di origine turca gioca prevalentemente come cerniera tra i reparti, ma non sono stati rari i suoi impeghi nelle retrovie. Ai tempi del Bayern Monaco, nella stagione 2012-2013, Heynckes lo posiziona terzino sinistro nelle poche partite che gli concede. Quando va a Leverkusen, si colloca a centrocampo, con qualche parentesi in difesa da esterno e anche centrale.


Nel 2014 il passaggio al Liverpool. Il manager Brian Rodgers impiega Emre nella difesa a 3 come centrale destro. Una buona stagione in cui è titolare fisso dei reds. L’arrivo di Jürgen Klopp ad Anfield riporta il tedesco in mezzo al campo. Ma questo suo andare e tornare tra centrocampo e retroguardia è apprezzato anche in Nazionale. Non di rado anche Joachim Löw lo ha schierato spesso terzino.


Prelevato a parametro zero nella scorsa estate, nella Juventus di Allegri gioca prevalentemente in mezzo al campo. Non è un regista: è un mediano con buon tocco di palla e ottime doti atletiche che, tuttavia, nello stretto ha il limite di essere poco agile. Orfana di Pjanic, il centrocampo della Juve visto all’Olimpico aveva in Emre il regista centrale con Bentancur e Matuidi ai lati. I tre sono andati in bambola rispetto agli avversari che li hanno sovrastati per intensità e superiorità numerica. Lo stesso allenatore bianconero a fine partita ha fatto ammenda. Non è quello il ruolo per cui Can è arrivato a Torino e difficilmente lo rivedremo in quella posizione di campo.

La responsabilità è mia. Ho messo in difficoltà Emre Can perché non ha le geometrie e i tempi ora per giocare davanti alla difesa. Nel secondo tempo lì ho schierato Bentancur e Can, con più libertà, è andato meglio