L’Olimpiade di Rio 2016, l’esaltazione massimo dello sport, dell’agonismo, ma anche della gioia e dell’euforia. Esserci, per molti atleti, fu già considerato un successo. Trionfare e conquistare la medaglia d’oro, poi, una gioia inarrivabile. Ma tra le tante celebrazioni, una su tutte è passata alla storia di questa rassegna.
Fehaid Aldeehani è un tiratore kuwaitiano di 50 anni. Nel 2016 si era qualificato alle Olimpiadi di Rio de Janeiro nella specialità di tiro a volo del double trap, ma ci andò senza poter esibire la sua bandiera. Sì, perché la federazione del Kuwait fu squalificata dal Cio, il Comitato Internazionale Olimpico, a causa di alcune pressioni e ingerenze del governo su di essa. Così tutti gli atleti furono “obbligati” a concorrere come indipendenti.
E così il 10 agosto, Aldeehani, dopo una prestazione superba, precisa e limpida, riuscì a vincere la medaglia d’oro. Il gradino più alto, quasi impensabile, per uno sportivo alla soglia dei 50 anni e che aveva solo precedentemente accarezzato il bronzo. Il primo nella storia olimpica del Kuwait ad aver conquistato una medaglia alle Olimpiadi e un momento altrettanto storico: mai nella storia un atleta indipendente era riuscito a vincere la medaglia più prestigiosa in una Olimpiade.
La squadra degli Atleti Indipendenti raccoglie tutti gli sportivi che non possono concorrere sotto la propria bandiera, o perché il loro paese sta affrontando una transizione politica (come una recente indipendenza) o perché la loro federazione è stata squalificata. In passato gli unici atleti olimpici indipendenti a vincere medaglie erano stati alcuni dei pochi iugoslavi che parteciparono a Barcellona 1992 quando La Iugoslavia venne squalificata dal Cio in seguito all’inizio del conflitto nei Balcani.
Fehaid Aldeehani è entrato, a sue spese, nella storia. Una storia senza inno e senza bandiera.
«Non ho mai mollato, non ho mail mollato un secondo», dice singhiozzando al giornalista al termine del match contro l’Atalanta. Al termine della sua partita d’esordio, in Serie A, a 30 anni. La vittoria di Fabio Pisacane, difensore del Cagliari, nato a Napoli nel 1986, è arrivata dopo una vita tormentata, difficile, resa complicata da una malattia, ma tra strattoni e scossoni, Pisacane è riuscito ad arrivare fino in fondo, più in alto di tutti. Una parabola esemplare, per umanità e rispetto per le regole, e per questo, il Guardian, prestigioso tabloid britannico, ha scelto proprio il terzino come calciatore del 2016.
Un riconoscimento, istituito dal quotidiano proprio a partire da quest’anno, che, ogni stagione, come si legge, eleggerà «un giocatore che ha fatto qualcosa di davvero notevole non solo nel superare le avversità ma anche per aver aiutato gli altri diventando un esempio con il suo comportamento e la sua onestà».
A 14 anni, Fabio Pisacane è stato colpito dalla sindrome di Guillain-Barrè, una malattia che attacca il sistema nervoso: «Mi sono svegliato una mattina e non riuscivo più ad alzare le braccia. Sono rimasto paralizzato per mesi, sono finito in coma. Ma con l’aiuto di Dio sono riuscito a cavarmela». Tre mesi e mezzo in ospedale, 20 giorni di coma, «una malattia che colpisce una persona su un milione», racconta Pisacane al giornalista del Guardian, abbassando lo sguardo verso il pavimento.
«Una volta che si tocca il fondo, o si inizia a stare meglio o è tutto finito».
A settembre Fabio è arrivato in cima, dopo una lunga e tosta risalita. Sin dai primi calci al pallone, in strada, tra le vie dei quartieri spagnoli di Napoli: «Sono nato nel 1986, quindi ho vissuto la più grande faida della camorra nel mio quartiere, tra il 1990 e il 2005 – racconta il terzino al Guardian -. Una volta mentre giocavo a calcio hanno ucciso qualcuno a cinque metri di distanza da noi. Ci siamo fermati un istante e poi siamo tornati a giocare. La cosa brutta è che era diventato quasi la normalità». Superata la malattia, dopo una lenta riabilitazione, Pisacane vive un’onesta carriera professionistica, dalle giovanili del Genoa passato tra svariati prestiti tra Ravenna, Cremona, Lanciano, Lumezzane, Ancona, Terni, Avellino e, infine, Cagliari. Onesta anche perché la sua carriera si impreziosisce di un gesto fuori dall’ordinario che ha spezzato l’omertà che spesso attanaglia il calcio di periferia: nella stagione 2010-2011, ai tempi del Lumezzane, rivelò di aver ricevuto un’offerta di 50mila euro dall’allora direttore sportivo del Ravenna, Giorgio Buffone, per far perdere la propria squadra. Denunciò l’accaduto alla Fifa, dopo aver rifiutato la proposta: anche per questo, il Guardian ha deciso di premiarlo.
Per la perseveranza e la sua integrità, Pisacane è il vincitore del premio inaugurale del tabloid, anche se lui, stupefatto, ha fatto fatica a crederci:
«Devo dire onestamente che non ho fatto niente per diventare un esempio. Non fa parte del mio modo d’essere, sono un ragazzo semplice. Penso di avere un po’ di umiltà e questa umiltà non mi fa pensare che gli altri possano considerarmi un esempio»
Qui potete leggere l’intervista integrale sul Guardian