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2011

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Una folla oceanica si era radunata nella zona di atterraggio dell’aeroporto internazionale Narita di Tokyo, in attesa di vedere la Nazionale giapponese scendere dall’aereo con in mano la prima storica Coppa del Mondo. Tifosi, parenti, ma anche giornalisti, circa 300, per un’accoglienza mai vista prima in Giappone. Nemmeno per la Nazionale maschile, pensava Homare Sawa, stella e leader della formazione nipponica che nel luglio del 2011 vinse il Mondiale femminile in Germania.

E proprio dalle terre tedesche, dopo un viaggio interminabile, arrivava in Giappone il primo successo a livello internazionale di un team, poco importante se maschile o femminile. Con 205 partite e 83 gol, nel dicembre 2015, Homare Sawa ha annunciato il suo ritiro dal Nazionale giapponese: ritenuta la più forte giocatrice della storia del paese, ha disputato la sua prima partita all’età di 15 anni.

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La lega nazionale femminili vide la luce ufficialmente nel 1989 e due anni dopo una giovane Sawa, di soli 12 anni, fece il suo debutto contro una squadra di soli ragazzi perché al tempo era impossibile metter su 11 giocatrici con cui allenarsi e gareggiare. Da qui è nato il suo stile di gioco intelligente e calcolatore, un modello riconosciuto e ammirato a livello globale: «Non mi piaceva perdere contro i ragazzi, per questo ho sempre giocato con la testa, con la psicologia», ha detto anni fa l’attaccante.

Il suo debutto in Coppa del mondo è stato all’età di 16 anni, nel 1995. Il Giappone è uno dei pochi Paesi ad aver partecipato a tutte le edizioni possibili e Sawa ha preso parte a sei di queste, saltando solo la prima nel 1991 e quest’ultima, ormai ritirata. Sei Mondiali e un record superato proprio in Francia dall’immortale Formiga che però non scalfisce la storia scritta dall’attaccante giapponese che, agli inizi del 2000, fu stimata anche negli Stati Uniti dove andò a giocare su iniziativa della Federazione del Paese asiatico per potenziare le atlete e renderle più competitive.

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Così, lontano dal Giappone, Sawa ha giocato prima i Denver Diamons (1999-2000), poi per Atlanta Beat (2001-2003) e, infine, per Washington Freedom (2009-2010). «E’ il tipo di giocatrice che è sempre nel posto giusto al momento giusto», aveva detto l’ex stella americana Abby Wambach, sua compagna a Washington e sua rivale nella finale dei Mondiali del 2011.

Il Giappone non è mai partito tra le squadra favorite, ma quell’anno Homare Sawa, con la sua fascia da capitano addosso sembrava trascinare il resto del gruppo. La sua tripletta nella vittoria per 4-0 contro il Messico, nella fase a gironi, fu il primo segnale. Ai quarti di finale, contro le teutoniche padrone di casa, il Giappone vinse 1-0 ai supplementari e Sawa, per festeggiare l’incredibile impresa, decise di personalizzare lo smalto delle sue unghie con la bandiera della sua Nazione e un pallone stilizzato. Decise che quel gesto sarebbe diventato il suo portafortuna e in qualche fotografia ravvicinata si può vedere l’attaccante mantenere lo stesso look anche in semifinale contro la Svezia e poi contro gli Usa.

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Era il 17 luglio e si giocava alla Commerbank-Arena di Francoforte. La finale verrà ricordata come le più pazze e rocambolesche di sempre, con Alex Morgan e compagne due volte in vantaggio, due volte riprese, nonostante due pali clamorosi e poi la sconfitta ai calci di rigore, al termine del 2-2 dei supplementari. Homare Sawa, eletta miglior giocatrice del torneo e capocannoniere della manifestazione, centrò il 2-2 del pareggio al minuto 117 con un perfetto e preciso colpo di tacco al volo, sugli sviluppi di un calcio d’angolo.

E’ evidente che in quella partita, fu la Storia a mettersi di traverso: quattro mesi prima il Mondiale, il Giappone fu devastato da uno spaventoso tsunami che causò un terremoto, l’incidente nucleare di Fukushima e più di 15mila morti con 4mila dispersi e migliaia di senzatetto. Il ct della Nazionale Sasaki, consapevole dell’impatto sulle sue giocatrici, mostrò diverse immagini del Paese devastato nel prepartita. Il messaggio era chiaro: il trionfo non sarebbe stato solo per lo sport, ma per tutta una Nazione. «Saremo sempre grati per quello che ci hanno dato i nostro connazionali: abbiamo potuto continuare ad allenarci e giocare quando un paese intero era in ginocchio», disse il capitano Sawa.

Così, coloro che piangevano per una tragedia, continuarono a versare lacrime, sì, ma di gioia. Sawa è stato il manifesto di un momento storico cruciale per il Giappone, ma anche di un intimo modo di vivere la vita, espressione di un popolo intero. Il sentimento di un Paese, caduto più volte, per il quale la sconfitta non è mai stata una possibilità.

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