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2002

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Voleva davvero calciare verso la rete o no? La domanda impazzirà per tutta l’eternità e non importa quante volte ascolteremo i protagonisti, guarderemo le fotografie o rivedremo le riprese da ogni angolazione: è impossibile avere una certezza.
Ci viene in mente un caso simile: il golazo di Shevchenko, con la maglia del Milan, che perforò Buffon dopo un’azione da solista con un tiro radiocomandato talmente pazzo da non sembrar voluto.

Ecco, il 21 giugno 2002, i 47mila spettatori nello Shizuoka Stadium, in Giappone, e i miliardi di tifosi incollati davanti alla tv si domandarono: quello di Ronaldinho è un tiro intenzionale o un cross troppo largo? David Seaman, portiere icona dell’Inghilterra, avrebbe potuto fare di più? E se la palla fosse andata di un ciuffo più in alto o di qualche centimetro a sinistra, ricorderemmo ancora questa partita? Le domande non finiscono mai.

Quello che però solca gli annali è una pennellata di classe di una giovane stella nascente che grazie al suo magico talento e istinto ha deciso una partita classica del calcio internazione.  Ai Mondiali del 2002 in Corea del Sud e Giappone, i due colossi si ritrovano faccia a faccia nei quarti di finale.
Da un lato la Seleção che andrà a vincere la Coppa contro la Germania laureandosi pentacampeao, dall’altra l’Inghilterra che passa come seconda nel suo girone, estromettendo però l’Argentina (altra storica rivale) e che agli ottavi gonfia il petto con un netto 3-0 contro la Danimarca. Firme di Rio Ferdinand, Owen ed Heskey.
Dall’altro lato ci sono Rivaldo, c’è Ronaldo il fenomeno che trascina la squadra verso il titolo e che vincerà il Pallone d’Oro nello stesso anno, c’è Roberto Carlos e c’è Ronaldo de Assis Moreira, meglio noto come Ronaldinho per non far torto al “vero” Ronaldo (ai Mondiali Under-17 in Egitto nel 1997, infatti, portava ancora il nome Ronaldo sulla maglia).

Gaúcho è un funambolico talento che sta assaggiando il calcio europeo nel Psg. Un antipasto, a dire il vero, perché i suoi numeri e le sue giocate gli valgono ben presto inchiostro e grafite sui taccuini dei tanti osservatori che scrivono il suo nome per proporlo ai rispettivi club. In terra francese ci rimane fino al 2003 quando il Barcellona, stizzito per l’arrivo di Beckham (suo obiettivo) al Real Madrid, vira sul brasiliano.

L’altro enfant prodige, Michael Owen, intanto decide di sbloccare il match al 23’: Heskey lancia in profondità, Lucio si accartoccia su se stesso ciabattando malamente il pallone che viene scippato dal furetto del Liverpool e infila Marcos. I Tre Leoni passano in vantaggio anche se hanno costruito poco. Ci pensa però il duo Ronaldinho-Rivaldo in pieno recupero di primo tempo a ridare senso al match. Il futuro del Barcellona con il presente blaugrana, quasi un’investitura: il giocatore del Paris Saint Germain prende palla da centrocampo, avanza con la sua progressione fatta di finte, doppi passi e movimenti, vede Rivaldo completamente smarcato sulla destra e lo serve. Tiro di prima ed è 1-1.

Al 5’ della ripresa arriva il sorpasso brasiliano, in questo match poco verde e poco giallo, ma tanto blu. E’ il gol che osanna Ronaldinho, è la rete che da lì in poi segna la carriera del ragazzo. E’ questa qui:

 

E’ la rete del sorpasso, la seconda rete del fantasista in questo Mondiale (la prima su rigore contro la Cina) e sarà anche l’ultimo gol segnato con il Brasile all’interno di un campionato del Mondo: in Germania 2006, infatti, rimane a secco. Il match contro l’Inghilterra lo vede in campo ancora per qualche minuto: sette minuti dopo il gol arcobaleno, l’arbitro messicano Felipe Ramos Rizo lo espelle con un rosso diretto per fallo su Mills.

A noi tutti, però, pa partita di Ronaldinho è cristallizzata in quella parabola magica e spietata. Noi ci facciamo delle domande, lui, Ronaldinho quasi quasi non ne può più:

«Mi è stata posta questa domanda così tante volte che ho perso il conto. La mia risposta è sempre la stessa: è stato un tiro. Cafu e io avevamo parlato di come il loro portiere fosse spesso fuori dalla sua linea di porta, quindi ho calciato verso lo specchio. Certo, non posso dire che intendevo che la palla andasse esattamente in quel punto, ma stavo cercando di metterla in rete anche da quella distanza»

Hanno fatto vedere al mondo una danza speciale con sorrisi e con tutto l’entusiasmo del mondo. Il Senegal ha avuto i riflettori addosso nella partita inaugurale del girone A del Mondiale 2002 contro la fortissima Francia, campione uscente del 1998.

Un destino storico per due nazioni che hanno comunque vissuto in relazione dal punto di vista politico, a causa proprio della colonizzazione transaplina del Paese africano in cui la lingua ufficiale è proprio il francese.

Un intero Paese africano il 31 maggio 2002 ha festeggiato, quasi come fosse festa nazionale, la vittoria della partita da parte dei Leoni del Teranga. Vittoria ottenuta proprio all’esordio in un Mondiale, contro Zidane e compagni.

Una nazionale che ha impressionato tutti, con calciatori talentuosi e con la gran voglia di dimostrare che il calcio africano era in fase di crescita. Su tutti la stella di El Hadji Diouf, talentuoso attaccante che ha avuto modo di giocare anche in Europa, in Premier League, Ligue 1 e Scottish Premier League.

Alla prima apparizione, però, non è il solo Diouf a brillare ma tutta la nazionale africana e, ciliegina sulla torta, il trionfo grazie al gol vittoria di Bouba Diop alla mezz’ora del primo tempo.

Durante il caldo all’ora di pranzo italiana, la freccia con i capelli biondo platino Diouf con la maglia numero 11 si mangia tutta la fascia sinistra. Mette in mezzo un pallone e Diop raccoglie, conclude a rete, si fa respingere il tiro, ma poi ribadisce in porta. Il gigante Diouf scappa verso la bandierina, si toglie la maglia, la mette a terra, danza in cerchio con i compagni attorno a quella maglia.

Una vittoria storica davanti al pubblico sudcoreano di Seul e davanti ai milioni di spettatori collegati da tutto il mondo.

Uno degli artefici di quella sorprendente nazionale è stato il commissario tecnico Bruno Metsu. Allenatore francese che con la sua mentalità aperta ha dato una speranza intera.

Quella nazionale, infatti, riuscì a raggiungere i quarti di finale del Campionato del mondo, sorprendendo davvero tutti e andando ben oltre qualsiasi aspettativa.

La retroguardia era solida con il capitano Aliou Cissé a guidare tutta la fase difensiva. Il centrocampo con Bouba Diop e le frecce Diouf e il numero 10 Fadiga sulle fasce.

Dopo quella storica vittoria contro i transalpini sono arrivati due pareggi contro Danimarca e Uruguay. Contro la Celeste uno scoppiettante 3-3 dopo che gli africani conducevano 3-0 al 38esimo del primo tempo. Il ritorno dell’Uruguay fino al pari siglato da Recoba su rigore ha lasciato un intero Paese in sospeso, fino al fischio finale dell’arbitro Wegereef.

Agli ottavi di finale gli africani hanno superato la Svezia. L’attaccante scandinavo Larsson porta in vantaggio i gialloblu, ma Henri Camara s’inventa un gol favoloso: stop di petto, controllo di destro, palla spostata un metro più in là, fucilata di destro all’angolino. Pari. È una furia, Camara. Un motorino instancabile, su quella fascia destra corre come non ci fosse un domani, corre come se fosse l’unica cosa possibile da fare per continuare a campare. Il portiere Tony Sylva continua a dire di no a tutto, e si va ai supplementari.

Un palo salva gli africani al quinto minuto del primo extratime (con golden gol). Palo invece che aiuta i senegalesi a vincere quel magico match. Pape Thiaw si inventa un colpo di tacco che spiazza tutta la difesa svedese. Lascia palla a Camara che fa partire un sinistro sporco. La palla rotola verso il palo e poi s’insacca in rete per il gol qualificazione.

Il Golden gol però nel match successivo contro la Turchia sarà fatale per i Leoni del Teranga, i quali saranno beffati dalla rete di Mansiz al 94esimo.

Certo però nulla può cancellare il grande Senegal visto in Corea e Giappone, per quella che è stata una piacevole sorpresa in Oriente.

La capriola al volo in avanti e il gesto dell’ok, la sua firma al termine di ogni gol. Di capriole ne ha fatto più di 300 durante la sua lunga e prolifica carriera di attaccante, Miroslav Klose che si è ritirato a 38 anni, alla fine del 2016. Svincolato dalla Lazio dopo cinque anni in cui ha dimostrato di essere ancora attratto dal gol, rimasto senza squadra, ha rifiutato possibili trasferimenti esotici e ha deciso di appendere le scarpe al chiodo.

Cecchino di area di rigore, ariete puntuale con i suoi stacchi di testa o le incursioni sul filo del fuorigioco, Klose, nato a Opole, in Polonia, nel 1978, si è trasferito a Kusel, con papà Jozef e mamma Barbara, nel 1986. Ha iniziato nella squadra locale di Blaubach-Diedelkopf , da qui è iniziato il suo rapporto di “dipendenza” con la rete, con il gol e l’esultanza: 339 gol in totale tra Homburg, Kaiserslauter, Werder Brema, Bayern Monaco, Lazio e Nazionale di calcio tedesca, una sfilza di portieri impallinati e soprattutto il record di miglior marcatore assoluto nella storia dei Mondiali di calcio, con ben 16 reti.

Meglio di Ronaldo, fermo a 15 reti, meglio del so connazionale Gerd Müller coi suoi 14 gol; più letale del francese Fontaine (13 realizzazioni in una sola edizione, Svezia 1958) o di Pelé. Un traguardo raggiunto l’8 luglio 2014, durante il Mondiale in Brasile, nella semifinale passata alla storia per il 7-1 che i tedeschi hanno rifilato ai padroni di casa. Una convocazione acciuffata in extremis a 36 anni, la quarta partecipazione in una fase finale per l’attaccante di origini polacche che sin dal suo esordio, in Corea e Giappone nel 2002, si è presentato al mondo dimostrando di essere “über Alles”.

Al di sopra di tutto e tutti, lui che guarda gli altri dall’alto, dal suo imperioso e letale colpo di testa: nella prima inaugurale, contro l’Arabia Saudita, Klose segna tre gol con altrettanti colpi di testa. Anche Irlanda e Camerun si piegano al suo stacco, così, Miro chiude l’edizione del 2002 con cinque realizzazione. Bisogna aspettare il Mondiale del 2006, in casa, per vedere la prima rete realizzata di piede: doppietta, nel match inaugurale contro il Costa Rica e altri due gol anche contro l’Ecuador. Chiude quell’anno con una rete (ovviamente di testa) contro l’Argentina.

Klose non si ferma e al top della carriera, viene convocato anche per Sudafrica 2010: sono quattro le reti con Australia, Inghilterra e per due volte l’Argentina, costrette a soccombere. Con 14 reti realizzate in tre Mondiali e Ronaldo raggiunto in vetta, è proprio nella casa del Fenomeno che Klose completa la rimonta: nel trionfo della Germania che solleva la Coppa del Mondo c’è anche spazio per la gloria personale. Il gol segnato contro il Ghana è solo il preludio alla sedicesima rete messa a segno contro la Seleçao nella disfatta passata alla storia come il Mineirazo.

E’ salito sul tetto del mondo con la maglia della sua Nazionale, ha realizzato 71 gol in 131 incontri e da qui è ripartita la sua nuova avventura come assistente al fianco del ct Joachim Löw. Sul sito della federazione ha detto:

In Nazionale ho festeggiato i miei più grandi successi, che non dimenticherò mai. Mi piace tornare a disposizione della Dfb: volevo rimanere in piazza, ma farlo con una nuova prospettiva, quella di un allenatore che legge il gioco, sviluppa strategie e tattiche. Ringrazio Löw per l’opportunità