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1982

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Non si dimenticherà mai lo sguardo di Enzo Bearzot, quello sguardo che aveva cercato di rado durante la partita. Quella, però, era la partita più importante della sua vita e Antonio Cabrini aveva appena commesso un errore fatale. Madrid, luglio 1982, finale del Mondiale spagnolo contro la Germania Ovest. Altobelli crossa nel mezzo dove Bruno Conti viene messo giù dal tedesco Briegel: il rigore è netto. Siamo al primo tempo, minuto 25, e la partita può già prendere una svolta. Ma chi lo batte? Cabrini è il secondo rigorista della squadra azzurra, ma Giancarlo Antognoni è in panchina perché Bearzot ha preferito inserire il diciottenne Beppe Bergomi. Così tocca proprio al ragazzo venticinquenne terzino sinistro prendersi la responsabilità.

Un giocatore tedesco si avvicina per dargli fastidio, poi un fumogeno cade vicino al pallone. Antonio Cabrini non può più aspettare, deve affrontare il momento più delicato della sua carriera: inizia la rincorsa, arriva quasi sul pallone, poi alza lo sguardo e butta un occhio sul portiere tedesco. Vede che si muove, lui non sa che però è solo una finta. E Cabrini ci casca, calciando dalla stessa parte dove si butta Harald Schumacher. Una ciabattata.

Risultati immagini per antonio cabrini germania ovest

In realtà non inquadra nemmeno lo specchio, il tiro va proprio fuori. Eppure anche nei tabellini recenti questo suo errore dal dischetto è stato rimosso. Poco importa, perché l’Italia quel Mondiale lo vince per 3-1 e la carriera di Cabrini era ancora “salva”. Lui che in quell’edizione spagnola della Coppa del Mondo un gol l’aveva anche segnato, e decisivo, nel 2-1 contro l’Argentina nel complicatissimo Girone C. E immaginate la reazione dei tifosi italiani, come ha raccontato Cabrini stesso intervistato da L’Insder, capaci di esaltarsi visceralmente, ma allo stesso tempo di dare l’impressione di essere distaccarsi, salvo poi gioire per le vittorie. Da un gol a un rigore sbagliato. Ma soprattutto lui che, in Nazionale, ha disputato 73 gare realizzando 9 gol, il dato che lo rende il difensore più prolifico nella storia degli Azzurri.

Eppure non voleva tradire la fiducia del ct Bearzot che, al contrario, di fiducia ne aveva data tantissima al ragazzo cresciuto nella Cremonese e poi nell’Atalanta, prima di passare alla Juventus:  ritenuto uno dei primi terzini moderni, nonché uno dei maggiori interpreti del ruolo a livello mondiale, senza aver ancora esordito in Nazionale A, e addirittura senza vantare un posto di rilievo – ancora – tra i bianconeri, sul promettente Cabrini scommise il commissario tecnico degli Azzurri, il quale lo convocò per il campionato del mondo 1978 in Argentina. Fece il suo esordio il 2 giugno 1978, a vent’anni, nella partita Italia-Francia (2-1) disputata a Mar del Plata; conquistato il posto di titolare, giocò tutte le partite della rassegna iridata, chiusa dagli Azzurri al quarto posto, venendo inoltre premiato dalla FIFA come miglior giovane dell’edizione.

File:Mondiali 1978 - Italia vs Argentina - Daniel Bertoni e Antonio Cabrini.jpg

Nella storia dei fatali e più sciagurati errori dagli 11 metri il suo nome non c’è: Antonio Cabrini ha sollevato la Coppa del Mondo al cielo e un po’ deve ringraziare Rossi, Tardelli e Altobelli.

Da un lato Dino Zoff e Franco Causio, dall’altro il ct Enzo Bearzot (e la sua pipa) e il presidente della Repubblica, Sandro Pertini. In mezzo un tavolo. Al centro la luccicante Coppa del Mondo e un mazzo di carte. E’ probabilmente la foto più iconica della vincente spedizione Mundial dell’Italia del 1982.

La sera dell’11 luglio, una sera calda e afosa dell’estate madrilena, l’Italia sconfigge la Germania Ovest per 3-1, dopo una cavalcata progressiva, un climax ascendente semi-miracoloso. «Campioni del Mondo, Campioni del Mondo, Campioni del Mondo», scandisce religiosamente Nando Martellini, mentre Pertini si alza dalla tribuna in un’esultanza di giubilo.
Il Mondiale spagnolo, quello di Pablito Rossi e della parata del secolo di Dino Zoff contro il Brasile, dell’urlo di Marco Tardelli al raddoppio, in finale, preceduta da una santa discesa di Scirea che, recuperata palla dalla sua difesa, si fa tutto il campo correndo senza sfera e, poi, in area di rigore ragiona, ragiona come un difensore non dovrebbe fare e con lucidità consegna la palla al mitico “urlo”.
Quell’Italia fu l’unica nella storia del torneo a battere una dopo l’altra le detentrici dei tre precedenti titoli, ovvero Argentina (campione nel 1978), Germania (1974) e Brasile (1970).

E poi la foto iconica. Sull’aereo di ritorno che riporta gli azzurri a casa, prima del bagno di folla. Traspare un clima disteso, serio e meticoloso che solo le partite di carte sanno trasmettere. Con lo scopone non si scherza.
Gli accoppiamenti sono Zoff-Pertini contro Causio-Bearzot e pensare che il ct, non un incallito giocatore di carte, nemmeno doveva trovarsi in questo scatto immortale: al tavolo, infatti, doveva sedere Cesare Maldini, allora allenatore in seconda, che si alzò un secondo, nel secondo sbagliato, e la contesa iniziò senza di lui.

Ma non è l’incipit a entrare nella storia, bensì l’epilogo. Sono passati 35 anni e ogni occasione è buona per fermare Zoff o Causio e chiedere come andò realmente la faccenda. E “il Barone” ricorda ancora con orgoglio da guascone un passaggio chiave dell’incontro:

Io feci una furbata: calai il sette, pur avendone uno solo. Pertini lo lasciò passare e Bearzot prese il Settebello. Abbiamo vinto così quella partita

Pertini non la prese bene, rimproverò il suo compagno Zoff e criticò anche Bearzot per il furto del Settebello. Ma a sbagliare fu proprio il presidente. In pubblico, uomo d’orgoglio, non lo ammise mai, ma in cuor suo, genuinamente, confidò l’errore. Il 3 giugno 1983, un anno dopo, quando SuperDino appese i guanti al chiodo, smettendo con il calcio giocato, Pertini inviò un telegramma sincero:

Vieni a trovarmi. Giocheremo a scopone e cercherò di non fare più gli errori che mi hai giustamente rimproverato

Il portierone conserva ancora quel pezzo di carta ingiallito dal tempo, ma sacro. Noi tutti conserviamo un frammento piacevole della nostra vita legato a quel Mondiale. Un’avventura spensierata, partita male, malissimo con il polverone e le ombre nefaste del Totonero e il silenzio stampa imposto da Bearzot alla Nazionale, dopo un avvio a singhiozzo.
Come la stessa finale giocata nel Santiago Bernabeu, partita con una falsa speranza, con il rigore sbagliato di Cabrini al 25‘, con il possibile contraccolpo psicologico. Ma non andò così: Rossi, Tardelli e Altobelli unirono un paese in tre boati di gioia. E poi la festa quando l’arbitro Coelho alzò il pallone al cielo scandendo tre fischi. Tre volte Campioni del Mondo.

Una partita che sa di spareggio quella tra Polonia – Italia che andrà di scena questa sera a Chorzow, città a novanta chilometri a ovest di Cracovia. Una partita tra due squadre che sono appaiate a quota 1 punto dopo due match del girone 3 di Nations League. Le due nazionali si giocano la permanenze in Serie A.

Sebbene quella di stasera sarà una partita fondamentale per gli azzurri, soprattutto dal punto di vista del risultato, un’altra importante sfida è stata quella di ventisei anni fa, disputata al Camp Nou di Barcellona l’8 luglio 1982. Era la semifinale del Mondiale in Spagna e gli azzurri di Bearzot incontravano la sorprendente Polonia di Boniek. Stessa Polonia che avevamo incontrato anche nella fase a gironi ma a cui riuscimmo a strappare un bruttissimo 0-0.

La cronaca della semifinale però è stata completamente diversa con un’Italia convinta dei mezzi e proiettata verso la finale di Madrid.

I polacchi erano privi della loro stella Zbigniew Boniek, costretto a saltare la semifinale per squalifica dopo il match contro il Belgio in cui aveva realizzato una tripletta.
L’Italia invece era senza Claudio Gentile, colonna importante della difesa azzurra, ma in più aveva un super Paolo Rossi che, dopo la tripletta al Brasile nel turno precedente, rifilò anche una doppietta ai biancorossi. Da quel giorno era sempre più in voga il nome di “Pablito”.

Il futuro Pallone d’oro e capocannoniere del Mundial sfiorò subito il gol in avvio di partita, poi trovò il guizzo vincente al 22esimo minuto, deviando, da buon opportunista d’aera di rigore, una punizione di Antognoni. Intorno al 73esimo minuto Rossi si ripete: Bruno Conti si involò sulla fascia sinistra e servì un delizioso cross proprio sulla testa del numero 20, a cui bastò inginocchiarsi per appoggiare il pallone nuovamente alle spalle del portiere Mylnarczyk.

Qualche anno più tardi proprio Rossi dirà che su quella palla calciata da Conti c’era scritto “Basta spingere”.

Stasera il valore della partita è sicuramente diverso, ma una vittoria darebbe fiducia a un gruppo che dalla mancata qualificazione al Mondiale di Russia 2018 non è riuscita ancora a rialzarsi del tutto.

La sorte ha voluto che il 15 giugno 1982, giorno del debutto nel calcio che conta davvero, il Camerun debba affrontare il Perù. Un assist per la redazione de La Stampa che con sapiente ironia coloniale individua i veri primattori del match: gli “stregoni, che [da ambo le parti] stanno combattendo una battaglia a colpi di spilloni e filtri magici contro il malocchio e i rispettivi nemici”.
Il 18 giugno 1990 su L’Unità si parla ancora di Gris-Gris, stregoni e marabuti, a margine delle incredibili imprese che la nazionale camerunese sta compiendo nel Mondiale italiano, ma sembra solo folklore giornalistico teso ad alimentare la sottocultura da rotocalco. I veri maghi sono i giocatori, che dopo otto anni di successi in Africa sono pronti a regalarsi un sogno grande quanto il mondo.

Tutto ha inizio un po’ prima dell’incontro di La Coruña con il Perù. Solo un’altra squadra dell’Africa subsahariana si è qualificata per la fase finale di una Coppa del Mondo prima del 1982: lo Zaire nel 1974 ed è finita malissimo. Dal Mondiale spagnolo la Confederazione Africana ha due posti a disposizione, ma la nazionale del Camerun non è certo tra le favorite. Del resto è in attività solo dai primi anni sessanta e vanta come miglior risultato della sua storia un terzo posto nella Coppa d’Africa del 1972, di cui era anche nazionale ospitante (e questo si sa che aiuta).
Il fatto è che la rosa dei verdi ha qualcosa che permette loro di battere nettamente le avversarie nelle qualificazioni e di ben sperare per il futuro. Qualcosa che gli zairesi, nel 1974, non avevano: giocatori che militano in Europa, più precisamente in Francia. Tra loro spicca Roger Milla, trentenne attaccante del Bastia, forte fisicamente e dotato di buona tecnica individuale, trascinatore dei suoi nello spareggio col Marocco.

Al Riazor, contro il Perù della perla nera Cubillas, Milla si presenta subito con un sinistro da fuori (deviato in angolo dal discusso Quiroga), con un colpo di testa che finisce sul palo e con un gol ingiustamente annullato per fuorigioco. Il Perù esce alla distanza, ma lo 0-0 non si schioda perché il Camerun è stato ben disposto in campo dal francese Jean Vincent e perché in porta c’è un altro giocatore destinato a rimanere nella memoria di tutti: il venticinquenne Thomas N’Kono, che a guardarlo, con la sua lunga tuta nera da dopolavoro, sembra uno messo a fare il portiere per caso e che, invece, è agilissimo e bravo nelle uscite, anche se a volte esagera.
Il Camerun ha già fatto meglio dello Zaire, ma tutti sono pronti a scommettere che contro la Polonia per i simpatici africani ci sarà poco da fare. Invece, Boniek e compagni si devono accontentare di uno 0-0: Lato coglie la traversa, c’è un salvataggio di Ndjeya sulla linea, ma nel finale è Młynarczyk a fare gli straordinari sui tiri di Kunde (centrocampista di quantità che ci accompagnerà a lungo in questa storia), di M’Bida e di Milla.

L’1-1 con l’Italia futura campione del mondo vale poi come una vittoria, anche se fa passare il turno solo agli azzurri, per via del gol segnato in più a parità di differenza reti. Il pareggio di M’Bida a un minuto di distanza dalla rete di Graziani e la poca propensione all’attacco dei leoni indomabili nella parte finale del match (nonostante il risultato li svantaggi) sono stati motivi di spunto alcuni anni dopo per un’indagine giornalistica condotta da Oliviero Beha e Roberto Chiodi, che ha suffragato l’ipotesi di un accordo sotto banco in cui era certamente coinvolto Vincent.
Ad ogni modo da quel pareggio escono tutti contenti e, mentre l’Italia in silenzio stampa volerà verso una inattesa vittoria, il Camerun torna in patria e si gode il bagno di folla per le sue non sconfitte. Adesso c’è un continente su cui far valere personalità ed esperienza maturata nell’avventura spagnola.

Nelle tre edizioni successive della Coppa d’Africa il Camerun ottiene due vittorie e un secondo posto, anche se una inattesa débacle patita a Lusaka contro lo Zambia il 7 aprile 1985, lo costringe a vedere i Mondiali messicani in TV.
Il primo trionfo continentale arriva nel 1984. La fase finale è in Costa d’Avorio e sono proprio i camerunesi a far fuori, con un secco 2-0, i padroni di casa nell’ultimo turno del girone eliminatorio. Milla, autore del gol del vantaggio contro gli ivoriani sigla poi uno dei rigori che decidono la semifinale senza reti con l’Algeria di Madjer ed entra nell’azione decisiva della finale. Con la Nigeria la partita è sull’1-1, per i gol di Lawal (solo omonimo dell’ala che propizierà l’autorete di Zubizarreta ai Mondiali del 1998) e di N’Djeya su punizione. Siamo all’79’ quando Théophile Abega parte in azione personale sulla parte destra del campo, chiede e ottiene triangolo con Milla a limite dell’area e batte il portiere Okala. Poi Ebongué sigla il definitivo 3-1 con un gran tiro che s’infila sotto la traversa.

Abega, il “dottore”, Pallone d’oro Africano nel 1984, uno dei più amati in patria e uno dei più rappresentativi tra i leoni indomabili, è anche tra i selezionati per la Coppa d’Africa 1986, ma gioca solo uno spezzone della prima partita, vinta 3-2 a fatica contro il solito ostico Zambia. L’allenatore francese Claude Le Roy, in carica dal 1984, ha iniziato il necessario cambio generazionale dopo l’imprevista eliminazione nella corsa a Messico ’86. Milla, Kunde e N’Kono sono, però, ancora lì e Roger, in particolare segna quattro gol, che, insieme ai due gol di M’Fede allo Zambia e ai due di Kana Biyik all’Algeria, permettono al Camerun di raggiungere la finale, dove lo attende l’Egitto padrone di casa. Questa volta non porta fortuna né incontrare il paese ospitante, né arrivare ai rigori: l’errore di Kana Biyik al sesto tiro e la realizzazione di Kasem danno la terza Coppa d’Africa agli egiziani, venticinque anni dopo l’ultimo successo ottenuto come R.A.U..
I leoni indomabili si rifanno, alla grande, nel 1988. 1-0 all’esordio nel girone, proprio contro l’Egitto grazie a un gol di Milla, ovviamente. Seguono due pareggi e l’approdo in semifinale, dove ancora una volta li attende la Nazionale del paese ospitante, che stavolta è il Marocco. A risolvere è il talentuoso Makanaky, ancora in versione capello corto, con un “destraccio al volo forse deviato”, come lo si definisce in modo poco lusinghiero nella telecronaca di Telecapodistria. In finale la Nigeria è favorita, ma ci pensa Milla con una sua accelerazione a rompere l’equilibrio. Eboigbe lo falcia appena arrivato in area e Kunde trasforma il rigore, nonostante l’opposizione di Rufai. La formazione che farà miracoli a Italia 90 è quasi pronta: oltre Makanaky anche i difensori Massing e Tataw si sono ritagliati un posto da titolari, mentre i centrocampisti M’Fede, M’Bouh e Kana Biyik lo sono ormai da due anni. Omam Biyik è invece in panchina, a far compagnia a Le Roy. In quel 1988 manca solo N’Kono, che è all’Espanyol da tempo e quell’anno arriverà a un attimo dal conquistare la Coppa UEFA.

Chi è, invece, ormai ritenuto superfluo è Le Roy, inaspettatamente allontanato dalla Federazione prima dell’inizio delle Qualificazioni Mondiali. Al suo posto arriva lo sconosciuto sovietico Nepomnyashchy, che, pur rinunciando a un ormai attempato Milla, non fallisce l’obiettivo. Il “vecchio” leone ha, infatti, deciso di lasciare il campionato francese dopo dodici anni e di prendersi una vacanza nell’isola di Réunion, dove gioca con la Jeunesse Sportif Saint-Pierruase, Poco prima dei Mondiali, però, una telefonata del presidente Biya obbliga praticamente Nepomnyashchy ad aggregarlo alla rosa dei partenti. Sembra un’operazione nostalgia. Non lo sarà.

Anche Thomas N’Kono è dato per panchinaro, a vantaggio di Bell, titolare nelle ultime due Coppe d’Africa. E, invece, l’altro “ambasciatore del Camerun”, a dispetto anche del suo numero 16 sulla maglia, si ritrova in campo titolare contro l’Argentina campione del mondo il giorno in cui a San Siro inizia il Mondiale italiano. Milla quel giorno entra in campo solo all’82’, perché Vautrot, il principe dei fischietti servili, si adegua subito alle nuove direttive diramate da Blatter ed espelle Kana-Biyik a inizio ripresa per un fallo da dietro, ma non da ultimo uomo, su Caniggia. Prima della fine i leoni indomabili rimangono addirittura in nove per l’espulsione di Massing, ma -quel che più conta- vanno in gol grazie a Omam Biyik, che sale in cielo e schiaccia di testa, e grazie a Neri Alberto Pumpido, che vede sbattere la palla sul suo ginocchio e finire in rete.

Con la Romania, al caldo del pomeriggio barese, il mondo rivede lo N’Kono di un tempo, bravo sulle punizioni di Hagi, ma sempre approssimativo nelle uscite. Per il resto sembra una partita incanalata verso lo 0-0, quando entra Roger Milla. Il trentottenne attaccante rincorre un pallone al limite dell’area di rigore, lo sottrae ad Andone e batte Lung in uscita. Non contento, dieci minuti dopo, fa fuori di nuovo Andone con una finta e manda la palla sotto la traversa. Due prodezze che lo fanno diventare il più anziano marcatore in un Mondiale, due festeggiamenti vicino alla bandierina del corner degni del miglior Juary. Il gol finale di Balint non cambia nulla, il Camerun è già agli ottavi  e Nepomnyashchy può permettersi l’omaggio alla sua URSS che sta morendo come nazione e che è già fuori dal Mondiale come squadra.

L’articolo completo è su Calcio Romantico

All’inizio di ogni Mondiale il Brasile è inserito di diritto nella rosa dei favoriti, se non addirittura additato come la squadra da battere. Spagna ’82 non fa eccezione e ci sono una serie di validi motivi: Arthur Antunes Coimbra detto Zico, stella assoluta del Flamengo che fa gola a molte società italiane; Paulo Roberto Falção, che in Italia ha giocato la stagione appena passata facendo fare un ulteriore balzo in avanti in termini di qualità alla già competitiva Roma di Liedholm;  Socrates, il Dottore, leader del Corinthians che sta sperimentando una gestione democratica dello spogliatoio in un periodo in cui il Brasile è ancora in mano ai militari; Leo Junior, che a Torino farà il regista difensivo dai piedi eccelsi, ma che al Flamengo gioca sulla fascia per la sua abilità nei cross; Eder, giocatore dell’Atletico Mineiro un po’ meno fantasioso dei quattro compagni di squadra sopracitati, ma in possesso di un sinistro potentissimo.

 

L’esordio della verde-oro è previsto al Sanchez Pizjuan di Siviglia in data 14 giugno. Avversaria è l’Unione Sovietica di Oleg Blokhin, Pallone d’Oro nel 1975, anno in cui con la Dinamo Kiev aveva trionfato in Coppa delle Coppe e nella Supercoppa Uefa, e del blocco georgiano della Dinamo Tbilisi, che la Coppa delle Coppe l’ha vinta invece nel 1981: ci sono i difensori Sulakvelidze e Chivadze, quest’ultimo anche capitano, il centrocampista offensivo Daraselja, che a dicembre del 1982 troverà la morte in un incidente stradale, e Ramaz Shengelja, attaccante dalle non grandi doti fisiche ma con un buon fiuto del gol.
Pronti via e Zico si produce una bella percussione centrale. Il Galinho tira e Rinat Dasaev, portiere dello Spartak Mosca, risponde senza paura: l’impressione è che sarà un bel match, ma che alla fine la Seleção non avrà difficoltà a vincere. Forse una sorta di riedizione di Brasile contro Jašin del 1958.

In effetti, per Dasaev sarà una serata da ricordare, il suo “debutto” sulla scena internazionale, l’inzio di una carriera il cui profilo seguirà in tutto e per tutto ascesa e declino della Nazionale con la scritta CCCP sulla maglietta. Ma, a dire la verità, nel resto del primo tempo il portiere non deve compiere parate molto difficili, si trova sempre ben piazzato e poi ha la fortuna che come terminale del gran gioco macinato dai brasiliani si ritrovi sempre Serginho, autentica ira di Dio in patria -è accreditato di 242 reti in 399 presenze col San Paolo tra il 1973 e il 1982-, ma decisamente impreciso nella serata sivigliana. E non solo…

Le cose per i verde-oro peggiorano decisamente quando i sovietici cominciano a mettere la testa fuori. Un fallo da rigore su Shengelija viene beatamente ignorato dall’arbitro spagnolo Lamo Castillo, poi al 34′ un tiro innocuo di Bal non viene trattenuto da Valdir Peres e finisce dentro.
I presenti allo stadio e gli avversari alla TV capiscono in quel preciso momento il bug di quella Seleção mondiale: ché se hai un attaccante che non segna ma tanti uomini di classe, allora prima o poi la butti dentro lo stesso; ma se hai un estremo difensore che non ti dà sicurezza, per vincere di gol te ne serviranno sempre tanti. Vedi Sarrià qualche settimana dopo…

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Per chi queste partite le ha viste dal vivo e, oggi, le ricorda con un pizzico di magone che si trattiene in gola. Per chi non era ancora nato e guarderà i prossimi Mondiali in Russia per la prima volta da vero appassionato di calcio. Per chi può dire “io c’ero” e chi, invece, “ci sarò”. Il 14 giugno prossimo, con il match inaugurale tra Russia e Arabia Saudita, prenderà ufficialmente il via la 21a edizione dei Campionati mondiali di calcio e con Facebook e i social che, anche solo rispetto a quattro anni fa, sono entrati ancor più nella nostra quotidianità perché non rivivere alcune vecchie partite del torneo “iridato”?

Così la Fifa, sulla pagina Facebook ufficiale del Mondiale in Russia 2018, a partire dal pomeriggio di venerdì 16 marzo trasmette, per nove settimane, altrettante partite amarcord che in qualche maniera hanno segnato la proseguo della storia dei Mondiali e di noi stessi.
E l’inizio, per noi italiani, è col botto: la prima partita, infatti, è Italia – Brasile, di Spagna 1982. Il match, giocato il 5 luglio, allo stadio Sarriá di Barcellona, vede gli azzurri, trascinati da “Pablito” Rossi, imporsi per 3-2 sulla Nazionale Verdeoro: tale partita, considerata da alcuni come uno dei più grandi incontri di calcio di tutti i tempi, segna l’eliminazione della nazionale brasiliana dalla competizione e viene definita dalla stampa verdeoro “Tragedia del Sarriá”.

Qui potete vedere il cammino delle due squadre prima dello scontro diretto:

 

E’ possibile seguire la diretta dell’intero incontro all’interno di questo articolo a partire da venerdì 16 marzo. Per l’occasione, Mondiali.it vi fa entrare nell’atmosfera di quel caldissimo pomeriggio spagnolo grazie a un racconto di chi, in quello stadio, c’è stato e ricorda splendidi ricordi e qualche cimelio prezioso:

? QUEL GIORNO HO VINTO ANCH’IO

? DURA UN ATTIMO, LA GLORIA. DINO ZOFF E LA PARATA CONTRO IL BRASILE

?LE CURIOSITA’ E LE STORIE DEI MONDIALI

Ecco la partita integrale:

 

 

Qui potete vedere le prossime partite in programma. Avete segnato la data?

In un presente tecnologico e all’avanguardia in cui viviamo adesso, non potremmo mai immaginare di lasciar andare un gol irregolare, soprattutto durante una partita del Mondiale di calcio. Con il VAR o con tutti gli arbitri presenti in campo, viene difficile pensarlo.

Fino ad ora la “moviola in campo” sta facendo il suo dovere nei maggiori campionati di calcio europei e sarà utilizzato anche al Mondiale di Russia 2018, come ha più volte confermato il presidente FIFA, Gianni Infantino.

Fino a qualche anno fa, questa rivoluzione non era stata presa in considerazione e se facciamo un salto indietro, nel 1982 al Mondiale spagnolo, c’è chi ha messo in pratica una VAR a modo suo.

Siamo a Valladolid allo stadio José Zorrilla, 21 giugno 1982, e si sta disputando il match Francia – Kuwait, valida per la prima fase a gironi. I francesi sono largamente favoriti rispetto ai kuwaitiani e poi tra le file bleus ci sono campioni, su tutti Michel Platini.
La squadra dell’emirato, allenata dal commissario tecnico brasiliano Carlos Alberto Perreira, schiera in campo quattro giocatori appartenenti all’esercito nazionale. Nella gara d’esordio, gli arabi hanno ottenuto un buon punto contro la Cecoslovacchia e possono giocarsi una miracolosa qualificazione proprio contro i francesi.

La partita scorre in maniera agevole dalla parte dei transalpini che all’80esimo minuto sono su un rassicurante 3-1, grazie alle reti di Genghini, de “Le Roi” Platini e Six; gol della bandiera per Abdullah Al-Buloushi.
Al minuto 81, l’episodio che non ha segnato solamente quel Mondiale, ma la storia degli annali calcistici.
I francesi segna la quarta rete: Platini serve una gran palla ad Alain Giresse, che non deve far altro che insaccarlo in rete alle spalle del portiere Ahmad Al-Tarabulsi. Al momento dello stop del centrocampista francese, però, i difensori in maglia rossa sembrano fermarsi un attimo, per poi cercare di chiudere invano su Giresse.
L’arbitro sovietico, Miroslav Stupar, convalida la marcatura e indica il centrocampo. Qualcosa però sembra non andare per il verso giusto: i calciatori kuwaitiani circondano il direttore di gara per contestare la rete francese. Gli arabi, infatti, rivelano di essersi completamente fermati per aver sentito un fischio. A fischiare però non è stato l’arbitro Stupar, ma un tifoso in tribuna. Il direttore di gara convalida il gol, ma sempre in tribuna comincia ad agitarsi lo sceicco Fahad Al Ahmed, presidente della Federazione nonché fratello del re del Kuwait. Al Ahmed scende addirittura in campo per parlare con l’arbitro riguardo questo episodio, il tutto davanti ai calciatori francesi e ai quasi 30mila spettatori presenti sugli spalti.
Dopo 7 minuti d’interruzione e di viavai, l’arbitro Stupar decide di annullare il gol francese e decide di far ripartire il match da una palla contesa.

Dopo quella partita le polemiche non si placarono. La decisione di non convalidare il gol di Giresse costò caro a Miroslav Stupar, dal momento che quella fu la sua ultima direzione internazionale e venne poi radiato. Per la federazione calcistica del Kuwait, invece, la punizione della Fifa fu consistente per i tempi (10mila dollari), ma praticamente simbolica per l’immensa facoltà economica dello sceicco.

Per li Kuwait fu l’unica apparizione a un Mondiale di calcio, ma quella partita l’ha fatta entrare di diritto nella storia.

Da santo a giullare e tutta una vita passata a riabilitarsi per una partita. Per una sola partita storta. Capro espiatorio di una debacle collettiva, eppure i mirini di stampa, tifosi e popolo era tutti puntati su di lui. Valdir Peres è l’incarnazione umana delle parole leggere e pungenti dello scrittore Eduardo Galeano che, nel romanzo “Splendori e miserie del gioco del calcio”, alla voce portiere dice questo. Da leggere tutte d’un fiato:

Lo chiamano anche portiere, numero uno, estremo difensore, guardapali, ma potrebbero benissimo chiamarlo martire, paganini (nella zona rioplatense indica scherzosamente chi paga il conto), penitente, pagliaccio da circo. Dicono che dove passa lui non cresce l’erba. E quando la squadra ha una giornata negativa, è lui che paga il conto sotto una grandinata di palloni, espiando peccati altrui. Gli altri giocatori possono sbagliarsi di brutto una volta o anche di più, ma si riscattano con una finta spettacolare, un passaggio magistrale, un tiro a colpo sicuro: lui no. La folla non perdona il portiere. E’ uscito a vuoto? Ha fatto una papera? Gli è sfuggito il pallone? Le mani di acciaio sono diventate di seta? Con una sola papera il portiere rovina una partita o perde un campionato, e allora il pubblico dimentica immediatamente tutte le prodezze e lo condanna alla disgrazia eterna. La maledizione lo perseguiterà fino alla fine dei suoi giorni

Valdir Peres è stato questo. Semplicemente vittima. Lui era l’estremo difensore della Nazionale brasiliana durante il Mondiale del 1982, quello disputato in Spagna e a noi, italiani, tanto caro quanto immortale.
Voluto dal ct Telé Santana per difendere i pali, Valdir Peres si trovò davanti l’uragano Paolo “Pablito” Rossi nella partita vinta dall’Italia 3-2 contro i verdeoro. Era il 5 luglio 1982, la “Tragedia del Sarrià”, venne ricordata da sponda brasiliana quella disfatta, a Barcellona, nell’Estadio Sarrià. Portiere contro portiere: da un lato, Zoff osannato e benedetto con tanto di parata del secolo a tempo scaduto; dall’altro il brutto anatroccolo.
Quella fu anche l’ultima partita per Peres in Nazionale: ritenuto uno dei maggiori colpevoli non sarà mai più convocato nella Seleção. Al rientro a casa, fu deriso da tutti: un ragazzino, all’aeroporto, gli consegnò un disegno, la sua caricatura con su scritto “Valdir Peres, specialità polli allo spiedo”.

A vedere e rivedere le immagini di quella partita, Peres non commise alcun errore grossolano o pacchiano sui tre gol subiti. Non aveva responsabilità, almeno lui. In realtà, tutto quel Mondiale fu una gogna: all’esordio contro l’Urss intervenne a “saponetta” su un tiro innocuo di Bal che segnò la rete del vantaggio dei sovietici. E giù con le critiche che si trascinarono anche a rassegna terminata.

Valdir sembrava un pesce fuor d’acqua in una squadra di prime donne tutte altezzose, lui pelato a 25 anni assieme a compagni dalla chioma fluente. Eppure prima del Mondiale 1982, Peres era un vincente: quattro campionati paulisti, una Copa do Brasil e un titolo nazionale oltre alla conquista, nel 1975, del Bola de ouro, il pallone d’oro brasiliano, primo portiere a vincere il trofeo  e ad aprire le porte ai vari Taffarel e Rogerio Ceni.

Ma non bastava. Così da santo divenne giullare. Sì, venne anche chiamato Sao Valdir: era il 19 maggio 1981, amichevole di prestigio Stoccarda, tra Brasile e Germania Ovest. A dieci minuti dal termine, con i verdeoro avanti 2-1, i tedeschi beneficiarono di un rigore e sul dischetto si presentò lo specialista Breitner. Il primo tentativo fu respinto da Peres, ma per il direttore di gara il portiere si era mosso anzitempo e il penalty era da ripetere. Al secondo tentativo Breitner cambiò angolo, ma il numero uno brasiliano respinse nuovamente: 

Al rientro in albergo il personale di servizio dell’hotel mi portò in trionfo. Avevano visto la partita in tv ed erano rimasti impressionati dalle mie prodezze. Rimasi sorpreso di fronte a tale slancio emotivo. La stampa brasiliana il giorno dopo parlò apertamente di Sao Valdir

La rivincita delpelato contro il capellone.
E’ morto il 23 luglio 2017, all’età di 66 anni colpito da un infarto durante una festa di compleanno a Mogi Mirim, nello stato di San Paolo. Non poteva andarsene via se non nel mese di luglio. Splendori e miserie del gioco del calcio.

 

Fonti:
Storie di calcio;
Calcioesteronews.it