Hanno venduto il 96% dei biglietti disponibili: significa che ci saranno almeno 1.728.000 spettatori totali (a fronte di cinqu emilioni di richieste), con una media di 36.000 presenze a partita sulle 48 in programma, in dodici stadi di dodici città. Dall’estero arriveranno 400.000 appassionati, spendendo a testa una cifra equivalente a 165 euro al giorno. Secondo un recente sondaggio, cinque giapponesi su sei sono a conoscenza del fatto che oggi, al Tokyo Stadium, proprio con i padroni di casa opposti a una Russia squadra-materasso, prende il via la Coppa del Mondo 2019 (al via alle 12:45, orario italiano – diretta tv RaiSport).
La rassegna quadriennale, giunta alla nona edizione, sbarca per la prima volta in un Paese asiatico, lontano dai confini ovali tradizionali. E la scommessa – a dieci mesi dall’Olimpiade che sarà ospitata dalla capitale nipponica – al di là degli aspetti sociali e culturali è rischiosa. Ma a giudicare dall’attesa, dalle stime del relativo giro d’affari e dall’accoglienza nei giorni scorsi riservata alle venti Nazionali coinvolte, sembrerebbe già vinta. Un esempio? Lunedì, al primo allenamento ufficiale del Galles – attuale quinta forza del ranking internazionale – sugli spalti del Mikuni Stadium di Kitakyushu si sono presentati in 15.000. Non ci sta una persona di più.
Gli aspetti economici legati alla manifestazione non sono mai stati così significativi. L’indotto generato dal torneo dovrebbe aggirarsi sui 3,6 miliardi di euro, mezzo miliardo in più rispetto a Inghilterra 2015 che, pure, già fece segnare un netto record rispetto alle edizioni precedenti della rassegna. Questo grazie soprattutto al portafoglio degli appassionati stranieri, attesi in prevalenza da Gran Bretagna, Australia, Irlanda, Stati Uniti e Hong Kong.
A Tokyo hanno preparato tutto con estrema cura, a partire dalle scorte di birra. Sanno fare bene di conto gli organizzatori giapponesi e hanno osservato che i tifosi di palla ovale bevono sei volte più birra di quelli di calcio; e che il giapponese medio consuma 53,5 litri di birra l’anno, mentre britannici, australiani e neozelandesi tracannano il doppio, secondo i dati di Euromonitor, anche quando non vanno allo stadio e quattro volte di più durante le partite (117 litri a testa gli irlandesi; 89 inglesi e scozzesi). Quindi, ordine ai bar dell’Impero: incrementare le scorte per non fare brutta figura con gli ospiti.
Le immagini del Mondiale, inoltre, verranno diffuse in 217 Paesi, con oltre 800 milioni di abitazioni raggiunte, altro primato. L’obiettivo, come ben testimonia l’approdo in Oriente, in generale è coinvolgere nel movimento nuovi mercati. E la disponibilità ricevuta in Giappone di 13.000 volontari, più la creazione di 25.000 posti di lavoro, fa dire sin d’ora che il bersaglio è stato centrato.
Gli impianti sono all’altezza, ma il problema sarà il caldo e, ancor più, l’umidità: in questi giorni ci si allena con palloni «bagnati» d’olio e shampoo. Per fortuna alcuni stadi, dotati di aria condizionata, possono diventare indoor. Certo, storia e tradizione specifiche sono quelle che sono. Cioè modeste. Il rugby del Sol Levante, partendo da un sistema scolastico all’avanguardia, da un valido campionato universitario e da club che sfruttano gli investimenti di multinazionali, solo nelle ultime stagioni ha fatto passi importanti. Anche sulla scorta di questa occasione. Fino all’attuale decima piazza nel ranking mondiale della Nazionale, in Coppa sempre presente.
Ora con un traguardo ambizioso e possibile: l’approdo per la prima volta ai quarti di finale. In Inghilterra il sogno è stato sfiorato, complice la leggendaria vittoria sul Sudafrica nella fase di qualificazione («La favola di Brighton»). Stavolta potrà diventare realtà. L’entusiasmo è alle stelle, la passione è contagiosa. Per i prossimi 43 giorni sarà rugbymania.
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