16 gennaio 1998. Per molti questa data gelida di inizio anno, forse, può non ricordare molto, ma per la Nazionale italiana di rugby, senza giri di parole, ha rappresentato una seconda nascita. O meglio, il passaggio dall’adolescenza, all’età adulta. Tra i grandi.
Quel giorno, infatti, a Parigi, il comitato del Cinque Nazioni, uno dei tornei più prestigiosi attorno alla palla ovale, decise di ammettere l’Italia al torneo a partire dal 2000. Cambio di nome con “Sei Nazioni” che, con l’entrata nel nuovo millennio, verrà apprezzato anche nella nostra penisola.
Il cammino dell’Italia nell’élite è stato lungo e tortuoso: ci sono state batoste, sconfitte, settori giovanili da organizzare, sport da promuovere assieme allo spirito fatto di lealtà e sudore. La Federugby ha seminato tanto nei decenni precedenti e, forse, è il 1997 l’anno in cui inizia a raccogliere i frutti. Tanti bei frutti.
Nel primo test-match di stagione, il 4 gennaio, gli Azzurri giocarono un brutto scherzo all’Irlanda. In casa loro, al Lansdowne Road di Dublino, gli irlandesi vennero piegati 37-29: l’Italia andò in meta per ben quattro volte, contro solo una degli avversari. Solo i calci piazzati, ridussero, il gap altrimenti notevole. Quel match, quel primo pezzo di impresa, come spesso capitava in quegli anni aveva un nome tutto esotico: Diego Domínguez, autore di 22 punti (una meta, quattro trasformazioni e tre piazzati) che trascinò i 15 azzurri dove brillarono anche Paolo Vaccari, con due mete, e Massimo Cuttitta, con una.
Il 22 marzo 1997, andò in scena la finale della Coppa Fira. Il Campionato europeo per Nazioni, nato nel 1936, per molti decenni ha rappresentato il più ambizioso e alto evento rugbystico nel Vecchio continente. Con l’esplosione del 6 Nazioni e l’uscita di Francia e Italia (che assieme a Galles, Inghilterra, Irlanda e Scozia, disputano appunto il torneo) la Coppa Fira è scesa di un gradino, trovando nella Georgia, l’attuale dominatrice.
Nel corso delle edizioni, la Francia, che ha il record di vittorie con 25 trofei su 30 partecipazioni, ha per lungo tempo inviato la rappresentativa “B”. Ma il 22 marzo 1997, nella finale tra Italia e Francia, i transalpini scesero con la squadra migliore, in quello che era a tutti gli effetti un test ufficiale.
Si giocò a Grenoble, allo stadio Lesdiguières, non a Parigi, al Parco dei Principi. E forse questa fu l’unica macchia, l’unico peccato di un giorno scolpito nella storia del rugby italiano.
L’Italia, andando contro pronostico, si impose con un 40-32 che a sei minuti dalla fine era ancora un 40-20, frutto di quattro mete di quattro marcatori diversi: Ivan Francescato, Paolo Vaccari, Julian Gardner e Giambattista Croci. Il piede di Diego Domínguez fece il resto, trasformando tra i pali tutte le mete e mettendo a segno anche quattro calci piazzati.
La meta di Croci, che di professione faceva il funzionario in banca, in particolare, frutto di un lavoro di squadra che coinvolse numerosi giocatori, è rimasta nella storia recente del rugby italiano come il momento di svolta di tutto il movimento. Quella fu la prima Coppa Fira alzata dall’Italia.
Sempre quell’anno, prima di Natale, a Bologna, l’Italia fece doppietta, sconfiggendo nuovamente l’Irlanda per 37-22. A gennaio 1998, invece, fu la Scozia a piegarsi per 25-22.
Il suggello perfetto per celebrare la decisione più importante per il rugby azzurro: il 16 gennaio 1998, l’Italia è tra i grandi.
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