Se ti trovi sulla linea marrone puoi scendere alla fermata “Lionel Messi” e da qui prendere la gialla; oppure se ti trovi sulla nera dalla fermata “Roger Federer” si potrebbe arrivare a “Nadia Comaneci” e salire sulla metro che porta alla fermata “Pietro Mennea”. Un viaggio iperfuturistico nella storia vincente dello sport? No, è stato prendere la metropolitana di Londra durante le Olimpiadi del 2012.
Una boutade rimasta solo su carta realizzata da Alex Trickett, curatore Bbc della sezione sportiva e da David Brooks, studioso di sport, ma che ha omaggiato i tanti atleti che tra record, battaglie, sfide e medaglie si sono ritagliati un posto nell’olimpo eterno.
Dall’atletica, al basket passando per il calcio, il nuoto e il tennis, ben 361 nomi, uno per ogni fermata della storica linea metro della capitale inglese inaugurata il 10 gennaio 1863. E tra loro, come visto, c’era anche Pietro Mennea, la “Freccia del Sud” come veniva soprannominato, una coincidenza ironica e anche un po’ beffarda visto che il suo Sud è spesso bistrattato e poco collegato con il resto d’Italia e dell’Europa.
Ma questo riconoscimento è un ulteriore spilla al valore e alla grandezza dell’atleta nato a Barletta il 28 giugno 1952 e prematuramente scomparso a Roma il 21 marzo 2013, a causa di un tumore.
Per 17 anni è stato il detentore del record mondiale sui 200 metri piani, che aveva corso nel 1979, in Città del Messico, in 19 secondi e 72 centesimi. Quel tempo, battuto nel 1996 dallo statunitense Michael Johnson (anche lui presente nella metro londinese) è tuttora il miglior tempo di sempre fatto registrare da un europeo.
Mennea, inoltre, è anche l’unico atleta a essersi qualificato per quattro finali olimpiche consecutive, dal 1972 al 1984.
Avrà sorriso nel vedere una fermata della London Underground ribattezzata con il suo nome (è la High Street Kensington tube station, per l’esattezza) accanto ad altri italiani come Dorando Pietri, Paola Pezzo, Paolo Bettini, Edoardo Mangiarotti e i fratelli Abbagnale.
L’onore, invece, di rappresentare le due fermate più vicine al parco olimpico, Stratford e Stratford International, è andato a Michael Phelps, l’atleta più titolato nella storia delle Olimpiadi moderne con 23 medaglie d’oro, e a Cassius Clay, come si chiamava quando vinse l’oro nel pugilato, categoria pesi massimi, ai Giochi di Roma del 1960, prima di diventare Muhammad Ali.
Il pugile e il corridore pugliese si incontrarono una volta, in California: Mennea venne presentato a Muhammad Ali come l’uomo più veloce del mondo. «Ma tu sei bianco!», gli disse Cassius Clay; «Ma dentro sono più nero di te», rispose Pietro.
E’ vero: il barlettano correva più forte dei bianchi dell’Est e dei neri dell’Ovest. Da ragazzino per racimolare un po’ di soldi, sfidava le macchine in una gara di velocità: in 50 metri correva più veloce delle Porsche e delle Alfa, per guadagnarsi 500 lire che gli avrebbero permesso di andare al cinema assieme alla ragazzina che voleva conquistare.
Lo spirito di Mennea è racchiuso nella sua determinazione. Non era dotato di caratteristiche fisiche eccelse, non era scultoreo, si è dovuto costruire da solo, costantemente, ogni giorno – festività incluse – in allenamento. Raggiungere un obiettivo, metterselo in testa e riuscirci. Del resto lui diceva:
La fatica non è mai sprecata: soffri, ma sogni
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