Pierre Ndaye Mulamba, bomber dello Zaire, racconta il 9-0 subito dalla Jugoslavia ai Mondiali del 1974, in uno spezzone tratto da “I Mondiali dei vinti: Storie e miti delle peggiori nazionali di calcio” di Matteo Bruschetta
«L’esordio non fu positivo, ma fu solo l’inizio di un incubo. Prima della seconda partita, a Gelsenkirchen contro la Jugoslavia, abbiamo scoperto che non ci avrebbero dato i premi che ci spettavano. Il Ministro dello Sport non era presente in tribuna contro la Scozia, sospettavamo che avesse depositato i nostri soldi in un conto in Svizzera a suo nome. Ci avevano regalato una casa, una vacanza e una macchina, ma era solo una piccola parte del denaro incassato dalla federazione per la partecipazione ai Mondiali e la vittoria in Coppa d’Africa.
Il nostro capitano Kibonge ha persino telefonato al presidente Mobutu, che l’ha tranquillizzato, dicendo che avrebbe inviato uno dei suoi consiglieri a Monaco di Baviera, per farci avere i nostri premi. Io avevo fiducia nelle parole del presidente, molti miei compagni no. Ricky Mavuba, lo scherzoso del gruppo, era furioso, mi disse che ero un ingenuo, credevo alle favole e pensavo che Mobutu fosse come Babbo Natale. Le sue parole mi ferirono nell’orgoglio.

Il capitano Kibonge avvisò i consiglieri del presidente che eravamo in sciopero e non saremmo scesi in campo contro la Jugoslavia. Il comitato organizzatore e i dirigenti della FIFA provarono a farci cambiare idea per non rovinare l’immagine della Coppa del Mondo. Ci fossimo ritirati, sarebbe stato un colpo basso per il calcio africano e l’idea di João Havelange di aumentare a due le partecipanti del nostro continente nei Mondiali successivi. Mezz’ora prima del calcio d’inizio, il Ct Vidinić entrò negli spogliatoi e ci disse che aveva parlato al telefono con un furioso Mobutu. Se non fossimo scesi in campo, al nostro ritorno a Kinshasa non avremmo ritrovato le nostre mogli, i nostri figli e i nostri famigliari. Abbiamo deciso così di giocare ma alcuni, come Kazadi, Kibonge, Kakoko e Mavuba, giurarono di non impegnarsi. Io rimasi in silenzio, non sapevo cosa pensare e a chi credere.
A Gelsenkirchen eravamo in campo con il corpo, ma non con la testa. Fu un disastro: dopo diciotto minuti perdevamo già 3-0 e l’allenatore decise di cambiare il portiere Kazadi con il suo secondo, Tubilandu Ndimbi. Era piccolo di statura ma un buon portiere, giocava con me nell’As Vita ed era stato titolare in finale di Coppa d’Africa. Quel cambio però non aveva senso, perché Kazadi era esente da colpe nei tre gol subiti. Abbiamo poi scoperto che la sostituzione non fu un’idea di Vidinić, ma una decisione presa dall’alto. Lontano dagli occhi indiscreti dei funzionari di Mobutu, il nostro Ct confessò al giornalista del Vrij Nederland che Lockwa, il rappresentante del Ministro dello Sport, gli aveva ordinato di togliere Kazadi.
La prima azione di Ndimbi fu raccogliere in rete il quarto gol di Josip Katalinski. Secondo noi era fuorigioco. Il terzino destro Mwepu Ilunga esagerò con le proteste e rifilò un calcio nel sedere all’arbitro. Il colombiano Omar Delgado sentì il calcio ma non vide chi glielo aveva dato ed espulse uno a caso, cioè io. Mwepu provò a discolparmi, ma Delgado non sentì ragione e nelle interviste si giustificò dicendo che “i negri sono tutti uguali”. Per me il Mondiale era finito e, qualche giorno dopo, il comitato disciplinare della FIFA mi condannò a un anno di squalifica. Un’ingiustizia».
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